Antonio Latella, Morte accidentale di un anarchico | Recensione

Morte accidentale di un anarchico di Antonio Latella al Teatro Bellini | Recensione

Antonio Latella firma la regia di Morte accidentale di un anarchico, in scena al Teatro Bellini di Napoli dal 13 maggio al 1 giugno 2025. Il regista emerge vittorioso da un corpo a corpo serrato con Dario Fo, figura ingombrante del Novecento teatrale e letterario, autore di un testo complesso come lo era la situazione in Italia negli anni Settanta. Un’opera permeata da una comicità che si traduce in riso amaro, sul volto dello spettatore disilluso e disposto a confrontarsi con l’intricata natura del reale.

Morte accidentale di un anarchico è un testo messo in scena per la prima volta il 5 dicembre del 1970, circa un anno dopo la morte di Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico precipitato dalla finestra al quarto piano della Questura di Milano, nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969 e accusato della strage di Piazza Fontana. Numerosi furono i processi affrontati da Dario Fo e Franca Rame. I coniugi tentarono infatti di portare alla luce dell’opinione pubblica una verità troppo scomoda per essere anche solo sussurrata, che seppe creare scompiglio nelle istituzioni. Da qui l’idea di ambientare l’azione nell’America degli anni venti, collegando la morte dell’anarchico Pinelli con un evento similare, che ebbe come protagonista un emigrante italiano precipitato dal palazzo della polizia di New York.

La regia di Antonio Latella è un corpo a corpo con l’opera di Fo

Lo spettatore è coinvolto in un audace gioco prospettico, reso possibile da un allestimento scenico originale: gli attori recitano su una pedana in legno sagomata come le silhouette utilizzate dalla polizia per delimitare il contorno dei corpi sul luogo di un delitto. Il pubblico osserva l’azione perlopiù dall’alto o dal  palcoscenico dove, abbandonati sulle poltrone rosse poste lì per l’occasione, ci sono i fantocci con le fattezze dei protagonisti. 

L’azione ha inizio quando i personaggi, caricati sulle spalle i fantocci in un gesto che indica una presa di coscienza, si assumono la responsabilità di recitare quei ruoli: Questore, Commissario Bertozzo e Commissario Sportivo. Il personaggio che muove i fili dell’azione non porta un fantoccio con sé, non indossa alcuna maschera: è il matto. Interpretato originariamente da Dario Fo stesso, è affidato da Antonio Latella a Daniele Russo, un attore che lo ha colpito – dice durante l’intervista di Alfredo Angelici – per la sua abilità di sedurre e convincere il pubblico. 

Il matto cambia continuamente personaggio: prima è uno psichiatra, poi un giudice revisore e sul finale anche un vescovo. Eppure il suo ruolo resta sempre lo stesso: egli ha il compito di destabilizzare e mettere in crisi le certezze di chi, tra il pubblico, si professa innocente anche solo nello sguardo. Perché, come cantava De Andrè, «anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti». 

Ma cosa vuol dire confrontarsi oggi con questo materiale documentario?

È un testo magmatico, riscritto più volte da Fo che seppe aggiornarlo a seguito dei nuovi sviluppi che interessarono il caso tra il 1970 e il 1973. Ma cosa vuol dire confrontarsi oggi con questo materiale documentario? Lo spettatore allora indaga, come fosse un investigatore in incognito. Crede di osservare il corpo degli attori e soprattutto di Pinelli, la cui presenza/assenza ingombra la platea del Teatro, ma più o meno consapevolmente è lui ad essere indagato, trovandosi nella medesima posizione dell’anarchico nella fatidica notte del 1969.

Latella esalta la potenza di un testo senza tempo, grazie ad un allestimento visionario, ma non solo. Sono le parole di Dario Fo che scuotono ancora, pregne di quella carica rivoluzionaria che solo lui sapeva dargli. Parole che puntano il dito contro il colpevole ed i complici, contro chi crede di vivere davvero nel «migliore dei mondi possibili» per dirla con Fo e con Voltaire ancor prima. 

 Sulla scena restano i fantocci. 

Fonte immagine: Ufficio stampa Teatro Bellini

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