Recensione dello spettacolo “Così parlò Bellavista” di Geppy Gleijeses in scena al Teatro Diana dal 18 dicembre 2018 al 6 gennaio 2019
“Professo’, permettete? Un pensiero poetico”: ci piace immaginare che l’idea di portare a teatro Così parlò Bellavista, dopo quasi 35 anni di ininterrotto successo dall’omonimo film (e più di 40 dal romanzo), sia stata confidata a Luciano De Crescenzo utilizzando le parole del mitico Luigino il poeta, uno dei suoi personaggi più amati.
Lo spettacolo, prodotto da Alessandro Siani con la sua Best Live e la Gitiesse Artisti Riuniti di Geppy Gleijeses, è quasi un regalo di compleanno in occasione delle 90 candeline che il grande filosofo-attore partenopeo ha spento proprio nell’agosto di quest’anno.
A beneficiare del regalo, però, non solo il festeggiato, ma tutti gli amanti di un’opera, Così parlò Bellavista, che è diventata, da subito e a giusta ragione, un film di cult (a Napoli e non solo) grazie alla sua celebre distinzione tra “uomini d’amore” e “uomini di libertà” o alle esilaranti scene del cavalluccio rosso, del Banco Lotto o della lavastoviglie.
Lo spettacolo di Geppy Gleijeses, che ha debuttato al San Carlo a settembre e che sarà in programmazione al Diana per tutto il periodo natalizio, ripropone la maggior parte di queste scene superando con successo i limiti logistici che impone il palco teatrale. Ad adattare il testo e a condurre la regia c’è del resto un maestro come Geppy Gleijeses.
Geppy Gleijeses, punto fermo dal vecchio al nuovo cast
Dal debutto a 17 anni insieme a Mario Scarpetta ai lavori con Eduardo De Filippo, Luigi Squarzina, Mario Monicelli, Roberto Guicciardini, Mario Missiroli, Gigi Proietti (e moltissimi altri), Geppy Gleijeses è un’istituzione nel mondo del teatro. Se, però – come crediamo noi e come ha creduto Siani che l’ha fortemente voluto e aspettato- è l’unico che poteva riuscire nell’importante importante quanto impegnativo compito di mettere in scena Così parlò Bellavista è perché ne visse in prima persona la realizzazione nel 1984: all’epoca interpretava Giorgio (il fidanzato della figlia del professor Bellavista) e, invece, ora ha il ruolo che fu di Luciano De Crescenzo per l’interpretazione del professore.
Insieme a lui del vecchio cast resta solo Benedetto Casillo che, con qualche capello bianco in più ma con la stessa energia, è nelle vesti dello stesso personaggio interpretato nel film: Salvatore, il vice sostituto portiere del grande palazzo di via Foria dove si svolgono le vicende.
A sostituire le magistrali Isa Danieli e Marina Confalone rispettivamente nel ruolo della signora Bellavista e della loro collaboratrice domestica e moglie di Salvatore sono state chiamate, invece, Maurisa Laurito, grande amica di De Crescenzo, e Nunzia Schiano, reduce dal successo televisivo con la sua partecipazione a L’Amica Geniale. Nunzia Schiano, che interpreta anche la signora del Banco Lotto, è tra gli attori più applauditi dal pubblico del Diana la sera del 18 dicembre: acclamatissima, ma forse anche “temutissima” per aver lanciato dal palco (grazie alla magia che solo la finzione scenica può permettere) la famosa lavastoviglie che “non vuole funzionare”.
A completare lo straordinario gruppo ci sono poi altri attori, tra cui: Salvatore Misticone, Vittorio Ciorcalo, Elisabetta Mirra e Gianluca Ferrato nel ruolo del direttore dell’Alfasud, l’iper-milanese Cazzaniga.
Dal piccolo schermo al grande palco
Proprio con l’arrivo di Cazzaniga in una trafficatissima Napoli si apre – come nel film – la pièce.
La scenografia di Roberto Crea ne riproduce l’inconsueto (almeno per gli standard nordici) taxi e, successivamente, la facciata del grande palazzo di via Foria dove arriva con scale praticabili dall’interno e vari elementi che entrano di volta in volta dai lati o dall’alto) raffiguranti il tavolo dei pomodori, il negozio di arredi sacri, il cenacolo, l’ascensore o la Fiat 500 tappezzata di giornali e nido d’amore.
Le musiche sono quelle originali di Claudio Mattone e grande rilievo è dato allo storico coautore Riccardo Pazzaglia che, peraltro, interpreta una leggendaria scena: quella del cavalluccio rosso che si svolge in sala e con il coinvolgimento del pubblico che ogni tanto chiede “scusate ma cosa è accaduto?”.
Come parlerebbe Bellavista oggi?
Sulla bravura degli attori o di coloro che, da dietro le quinte, hanno permesso questo spettacolo non c’è da discutere. Sulla bellezza del testo di Luciano De Crescenzo solo un blasfemo oserebbe (e a torto) dire qualcosa in contrario. Magari, però, ci si può domandare: “Che senso ha Così parlò Bellavista oggi?”
Il passato remoto del titolo sembrerebbe suggerirci un’opera distante nel tempo e completamente distaccata dalla realtà che si vive oggi. Ma, in realtà, il grande affresco corale che restituisce di quella Napoli di fine anni 70, non si è ancora seccato né tantomeno secca o annoia gli spettatori. Certo, tante cose sono cambiate. Ma c’è ancora chi parte al Nord per trovare lavoro, chi viene al sud e non riesce più ad andarsene, qualche famiglia che si riunisce per fare le conserve di pomodori in casa, chi trova il tempo di fare il bagno invece che la doccia e persino qualche professore capace di farsi ascoltare e far innamorare delle cose di cui parla come Bellavista. Se nella vita di tutti i giorni è sempre più difficile distinguere tra uomini di libertà e uomini di amore, non lo è a teatro. Qui, dove per quasi due ore: Così parla Bellavista, al presente storico.