David di Joele Anastasi, la forza utopica dell’ideale

David

In occasione del Napoli Teatro Festival 2020 (NTFI), i Vucciria Teatro tornano a Napoli, portando in scena, nella maestosa cornice di Capodimonte, David (11 e 12 luglio). Drammaturgia e regia di Joele Anastasi.

Silenzio. Figure che si muovono sulla scena, che si cercano senza trovarsi. Che si trovano senza cercarsi. Ancora silenzio.

Dalla stasi la genesi improvvisa di un corpo nudo, quello di David (Joele Anastasi), statuario nelle sue pose plastiche. Dalla morte la vita, dal dolore la grazia che riempie il vuoto di un dramma familiare. Un uomo e una donna, una moglie e un marito che trascinano quel che resta delle loro esistenze in un solco di ricordi e sensi di colpa. Antonino (Eugenio Papalia), un figlio, unico e tuttavia fratello, che annaspa nel mare della sua solitudine aggrappandosi alla forza salvifica dell’immaginazione. Una vicenda familiare sapientemente costruita sull’alternarsi di punti di vista che si incrociano senza mai incontrarsi. 

David è una storia d’amore. L’amore di una madre (Federica Carruba Toscano), che fa del silenzio lo scudo al suo dolore, che non perdona, che non si perdona per quel figlio che non è mai stato e che continua ad essere. L’amore di un padre (Enrico Sortino), che prova a cancellare la sua responsabilità di morte, piantando vita e fiori nel suo orticello. L’amore di un fratello, che partorisce con la sua immaginazione quel bambino mai uscito dall’utero materno, sangue del suo sangue.

David è una storia di assenza. David, figlio respinto, sconfigge ancora una volta Golia, sconfigge l’oblio continuando a vivere pur non essendo mai nato, continuando a sedere a quella tavola imbandita cui non è mai stato invitato, continuando ad essere presente nella sua ingombrante assenza. David è ovunque, nella ricercata agonia della madre, nel tentativo di espiazione del padre, negli occhi di Antonino, che frantuma la sua solitudine dando essenza e forma a quel fratello tanto desiderato, tanto amato da essere odiato. 

Una storia in cui il reale si rifugia nell’ideale, lo insegue, ci si specchia. Perché io sono te. Perché tu, sei me. Vieni qua, fratello mio. Vieni da me. 

Ancora una volta i Vucciria Teatro, interessantissima realtà teatrale siciliana, si impongono sulla scena con il linguaggio dei corpi. Corpi che comunicano pur stando in silenzio, che emozionano pur nella loro fissità. La nudità è un elemento caratterizzante, metafora ora della bellezza della vita, reale o utopica che sia, ora della maternità negata a seni che non hanno bocche da allattare. Di forte impatto visivo, al centro della scena, una vasca piena d’acqua, elemento primordiale che crea, trasforma e distrugge. D’acqua le lacrime, d’acqua il mare, d’acqua il non-luogo in cui torna David, dissolvendosi come il busto di gesso che ha tra le mani. 

Senza alcun risparmio, gli attori siciliani si donano completamente e meravigliosamente sulla scena, con quella loro intensità solita che scuote lo spettatore nella sua comoda seduta, raccontando l’amore nelle sue infinite sfaccettature: quell’amore a volte pesante come una pietra al collo, che costringe giù nell’abisso.

E tuttavia anche lì, nell’abisso, è possibile sopravvivere.

Fonte immagine: www.napoliteatrofestival.it

 

 

 

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A proposito di Rossella Capuano

Amante della lettura, scrittura e di tutto ciò che ha a che fare con le parole, è laureata in Filologia, letterature e civiltà del mondo antico. Insegna materie letterarie. Nel tempo libero si diletta assecondando le sue passioni: fotografia, musica, cinema, teatro, viaggio. Con la valigia sempre pronta, si definisce “un occhio attento” con cui osserva criticamente la realtà che la circonda.

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