Venere e Adone, la rilettura di Roberto Latini al Teatro Civico 14

Venere e Adone

Al Teatro Civico 14 di Caserta è andata in scena la rilettura del mito ovidiano di Venere e Adone di Roberto Latini, attore, autore e regista fra i più acclamati dalla critica in Italia.

Grandissimo successo per Venere e Adone, siamo fatti della stessa mancanza di cui sono fatti i sogni, uno spettacolo scritto, diretto ed interpretato da Roberto Latini – con musica e suoni di Gianluca Misiti, luci di Max Mugnai e produzione della Compagnia Lombardi Tiezzi –, andato in scena il 10 dicembre al Teatro Civico 14 di Caserta.

In un teatro completamente pieno, infatti, l’attore romano ha riletto il mito di Venere e Adone narrato nelle Metamorfosi di Ovidio e ripreso anche da Shakespeare e da artisti come Tiziano, Rubens, Canova e Carracci.

Adone, giovane cacciatore, muore durante una battuta di caccia, colpito da un cinghiale. La notizia fa cadere nella disperazione Venere che, nonostante i cattivi presentimenti e i continui ammonimenti all’amato, non può far nulla per evitare il triste epilogo – rivelando, così come anche gli Dei, in molti casi, possono solo arrendersi al cambiamento. Il mito ovidiano, però, riserva delle sorprese: fra le lacrime della dea, il corpo esanime di Adone scompare all’improvviso e, dal sangue versato, spunta un fiore bianco e rosso. Lo si potrebbe leggere, dunque, come un “mito della primavera”, il mito della rinascita. E infatti, come Latini stesso afferma, il suo Venere e Adonenasce da questi anni intermittenti e dalla speranza che il nostro tempo, seppur tragico, possa regalarci bellezza e colori attraverso il teatro che è convocazione, prossimità, interazione”.

Nella penombra del teatro, ciò che colpisce immediatamente sono i costumi: Latini-Amore si presenta al pubblico in una atmosfera rarefatta e tenebrosa, indossando delle ali di metallo, scarnificate, portate come un peso sulle spalle stanche. Un’armatura scheletrica eppure ingombrante, che obbliga colui che la porta, a dispetto del suo nome, ad ancorarsi a terra più che a levarsi in volo. Il suo volto non conserva niente del ragazzetto irresponsabile del famoso quadro di Caravaggio: al contrario, è vecchio, stanco e si muove con andatura incerta. L’arco con cui un tempo trafiggeva il cuore dei mortali e degli dei è, ormai, ridotto a un bastone che lo aiuta a tenersi in piedi. Eppure, quasi come se fosse obbligato dalla sua natura, non può non reiterare, a vuoto, quel gesto che permette a tutti di “sperimentare la morte in vita”: e così, all’improvviso imbraccia frecce invisibili, prende la mira e le scaglia verso il pubblico. 

È a partire da questo primo quadro – intitolato Amore nonostante la prima parola pronunciata al microfono da Latini-Amore sia, significativamente, “lacrime” – che si susseguono altre quattro scene: Cinghiale, Adone, Venere e Chiunque. L’attore, infatti, prima si immedesima in un cinghiale (sono chiari, in questo caso, i riferimenti al “Riccardo III” shakespeariano, con un Latini con la corona sul capo che gioca a freccette) e poi impersona un Adone esteta in vestaglia di seta che registra una video-lettera all’amante facendosi suggerire il discorso da uno schermo posto dietro alla telecamera. Questo raffinato Narciso – pronto ad ammettere senza troppe remore e con gli occhi fintamente gonfi di lacrime che, in realtà, “il cinghiale non esiste” – cede il posto a una Venere velata di stracci e trafitta da una freccia, che trascina un carrello della spesa contenente spighe di grano. 

La scrittura di Latini è matura, raffinatissima, poetica e a tratti complessa, per via dei tanti riferimenti letterari e delle arti figurative: da Lascia ch’io pianga, una delle arie più famose di George Frideric Haendel, fino alle frasi di Ovidio e alla poesia shakespeariana – scelta non a caso come il vero modello di Venere e Adone. Il regista romano porta sul palco di via Petrarca uno spettacolo spiazzante, sofisticato, mai indulgente con il pubblico, in alcune parti addirittura comico (si pensi, per esempio, alla scena in cui si bagna gli occhi con l’acqua per sembrare dispiaciuto o ai complimenti per le riprese: “ottimo Ado!”, “bravo Ad-uàn!”), che si riappropria del classico attraverso la commistione con il moderno, regalando – anche per via di un’intensa sperimentazione musicale – una potentissima esperienza emotiva e sensoriale. 

Nell’ultima scena, Latini si dimostra ancora una volta fra i registi più fluidi, sperimentatori e avanguardisti del panorama artistico italiano: c’è, infatti, posto per un divertente quadretto tecnologico, con l’incursione sulla scena di un cane-robot che si muove telecomandato da un uomo con il volto bendato e che induce ad alcune riflessioni: l’unico sentimento possibile è davvero quello telecomandato, che ciascuno si fabbrica da sé, a propria immagine e somiglianza? Quale forma d’amore spetta al nostro tempo? E fino a che punto siamo pronti a spingerci? Domande, queste, a cui Venere e Adone non dà alcuna risposta, se non altro perché – come scrive Latini stesso nelle note di regia – è immaginato come un percorso senza tappe, “di versi dispersi” che aprono al pubblico “l’interpretazione del processo creativo, senza alcuna pretesa di prodotto creativo“.

fotografia in evidenza: Simone Cecchetti

Prossimamente

La quattordicesima stagione del Teatro Civico 14 prosegue con Costellazioni – in scena da lunedì 26 a venerdì 30 dicembre – uno spettacolo di Mutamenti/Teatro Civico 14, tratto dalla pièce del drammaturgo inglese Nick Payne, con Roberto Solofria e Ilaria delli Paoli, che proietta su un rapporto di coppia la teoria di fisica quantistica per cui esistono un numero infinito di universi, di scelte e possibilità che prendono forma. Per info: https://www.teatrocivico14.org

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A proposito di Davide Traglia

Davide Traglia. Nato a Formia il 18 maggio 1998, laureato in Lettere Moderne, studente di Filologia Moderna presso l'Università 'Federico II' di Napoli. Scrivo per Eroica Fenice dal 2018. Collaboro/Ho collaborato con testate come Tpi, The Vision, Linkiesta, Youmanist, La Stampa Tuttogreen. TPI, Eroica Fenice e The Vision.

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