Eduardo de Filippo fu uno dei più celebri drammaturghi della cultura italiana e napoletana. Le sue opere teatrali mettono spesso in scena vicende riguardanti gente povera e messa ai margini dalla società, la figura l’emarginato in Eduardo è spesso al centro dell’attenzione. Le sue opere, inoltre, seppur spesso rappresentate utilizzando il dialetto napoletano, possono essere facilmente comprese anche da chi non è avvezzo a questo tipo di italiano diatopico. Eduardo, infatti, attraverso battute, riformulazioni di frasi, rende accessibile a tutti i dialoghi delle sue opere.
Le sue commedie sono suddivise in due macro-sezioni de La cantata dei giorni pari, che raccoglie tutte le commedie scritte da Eduardo nel periodo della sua giovinezza, dal 1920 al 1942, sono caratterizzate da una maggiore positività nei confronti del mondo. Per giorni pari si intende, nella cultura napoletana, un periodo serafico, felice, dove la vita ci appare per la sua semplicità. I giorni dispari, di contro, sono quelli in cui le cose non vanno come vorremmo. Proprio in quest’ultima raccolta, dove il pessimismo è dominante, Eduardo metterà al centro della scena personaggi che vengono spesso tenuti ai margini della società, perché considerati dannosi, poco estetici, a volte addirittura accusati di mettere in imbarazzo le persone di un certo ceto sociale.
Anlizziamo l’emarginato in Eduardo con 3 delle sue opere
L’emarginato in Eduardo è riscontrabile in tante opere diverse, ma Ditegli sempre di sì è una delle prime che porta la suddetta tematica come nucleo centrale. Gli emarginati in questo caso sono più di uno, anche se da un occhio poco attento siamo portati a credere che l’unico emarginato sia il protagonista, Michele Murri, impazzito e costretto a trascorrere un anno in manicomio. Scontato il periodo di permanenza la sorella lo riporta a casa, nella speranza di aiutarlo a vivere una vita normale. L’emarginato in Eduardo viene impersonificato in un uomo molto particolare, un artista, anzi poeta, di nome Luigi Strada. Egli entra in scena proprio condividendo la disperazione per la situazione finanziaria in cui si trova. Pochi lo prendono sul serio, e la sua arte non viene compresa da chi ascolta. Eduardo ci mostra anche un terzo personaggio emarginato, ed è proprio la sorella del protagonista. La ragione per cui è considerata tale è che, nonostante la sua età, rimane nubile, senza considerare il fatto che aver avuto un fratello in manicomio, nella società di allora, era una pesante macchia sociale da portarsi dietro. Al termine della commedia nessuno tra gli emarginati riuscirà ad avere un futuro roseo, perché le loro difficoltà sono state sempre ignorate, tenute segrete per paura di un giudizio, forzando Michele Murri a dover vivere una vita da persona normale senza alcun aiuto da parte della società, questa sua solitudine lo ha reso un emarginato, perché impossibilitato ad adattarsi.
Il teatro è concepito da Eduardo come un’arte, dove è possibile inscenare una realtà nuova, creando personaggi e vicende, donando un corpo alle insidie ed ipocrisie della vita umana. Tuttavia, ciò avviene non solo dietro un sipario, ma nel quotidiano, ogni giorno recitiamo una parte che però non sempre è scelta da noi stessi, può difatti accadere che siano le condizioni esterne ad influenzare la nostra coscienza. Egli ha sempre visto, infatti, nella finzione teatrale una maggiore verità di quanto riusciva a vedere nella vita, dove spesso, incastrati nel portare tante maschere, gli uomini non vivono nell’essere, ma nell’avere.
La scelta di soffermarsi su determinati temi lo rende un autore pieno di modernità; la visione di una società ipocrita è al centro delle sue attenzioni e lo si evince nella commedia Le voci di dentro.
Assistendo a quest’opera teatrale ci rendiamo conto che c’è di più oltre a l’emarginato in Eduardo, c’è il tema dell’ invidia, ipocrisia, malfidenza. Si tratta di una storia di legami familiari, così tanto osannati nella cultura italiana, in special modo quella del Sud, i quali però, non si traducono in azioni benevole e di amore disinteressato. Quando il protagonista, Alberto Saporito, interpretato da Eduardo De Filippo, ha il sospetto di un omicidio nel palazzo, inizia ad indagare, denunciando l’accaduto. Tuttavia non conosceva il nome del colpevole, così gli indiziati erano tutti gli inquilini dell’abitazione. In questa commedia l’emarginato è rappresentato da un uomo anziano, che non si mostrerà mai per tutta la durata dell’opera, egli ha fatto il voto del silenzio, perché sosteneva che parlare con la gente è inutile, un atto che fa soltanto ammalare colui che prova ad esprimere la sua opinione, ma soprattutto, nessuno vorrà mai ascoltarti davvero. Comunicherà esclusivamente con Alberto, attraverso i fuochi d’artificio, unico modo in cui lui, di rado, esprimeva i suoi pensieri. Nella paura dell’accusa, della galera e di perdere l’onore familiare, gli inquilini del palazzo cominciano ad accusarsi l’un l’altro, fino ad arrivare a pensare una risoluzione estrema al problema. Per la paura di essere macchiati a vita da un possibile peccato, sono in procinto di compierne uno realmente.
Eduardo mette in scena anche un diverso modo di sentirsi emarginati: quello tipico del soldato distrutto psicologicamente dalla ferocia dell’essere umano durante la guerra. Questa figura la troviamo in Napoli milionaria, ambientata nella Napoli del dopoguerra. In quest’opera il protagonista è un padre di famiglia il quale è reduce della Prima guerra mondiale ed è dunque scioccato dalle atrocità vissute. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale egli è nuovamente chiamato al fronte e durante la sua assenza la famiglia cerca nuovi mezzi di sopravvivenza ricorrendo al contrabbando ed a furti organizzati, mostrando allo spettatore la situazione in cui si trovavano i ceti più bassi della società. Al suo ritorno egli è ancor più sconvolto, sente la necessità di raccontare al mondo ciò che ha visto e vissuto ma nessuno dimostra di volerlo davvero ascoltare, in questo modo si mostra per la sua vera natura l’emarginato in Eduardo.
In questo modo, sul versante creativo, nasce l’idea che l’arte sia responsabile di catturare le esperienze di angoscia e solitudine esistenziale che ne sono derivate e di esprimerla nelle forme più disparate, suggestive ed originali.
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