Fare teatro oltre lo sguardo, per il CTF | Recensione

Fare teatro oltre lo sguardo, per il CTF | Recensione

Il Campania Teatro Festival per il focus Comunità, Quartieri e Teatri di Vita: Fare teatro oltre lo sguardo va in scena il 20 giugno al Teatro Colosimo di Napoli.

Un progetto di Murìcena Teatro per non vedenti e ipovedenti

Nato da un laboratorio rivolto a non vedenti e ipovedenti, condotto da Raffaele Parisi, nonché dalla penna e dalla prospettiva registica di quest’ultimo, Fare teatro oltre lo sguardo rientra nel focus Comunità, Quartieri e Teatro di vita dell’edizione 2025 del Campania Teatro Festival per un teatro inclusivo e accessibile. La rappresentazione è un progetto curato da Murìcena Teatro, con la cura artistica della Scuola elementare del teatro diretta da Davide Iodice e con le interpretazioni di Rosaria Fusco, Michela Annunziata, Mario Fusco, Giuseppe Carozza, Danilo Mendozza, Luca Progressivo e il cane Nuvola.

Sembrerebbe quasi un paradosso ricreare ombre e vuoti visivi per un’arte che va nel complesso osservata. Eppure, Fare teatro oltre lo sguardo riflette proprio sulla possibilità del teatro di andare oltre il senso della vista, di abbracciare il buio e le sfocature e crearne un’occasione d’arte. Il punto è individuare e potenziare il teatro come esperienza comunitaria per eccellenza, nella quale potere riconoscersi, ritrovarsi e vivere un processo catartico che porti a una crescita sia emotiva che personale. Allora, la pièce realizza spazi apparentemente vuoti e li riempie di creatività, di espressione personale di ciascun artista, di emozioni e, soprattutto, di quel bisogno fondamentale di comunicazione.

Fare teatro oltre lo sguardo: il teatro come risorsa da condividere in gruppo

Fare teatro oltre lo sguardo restituisce l’idea di una democratizzazione dell’arte. Spesso si discute sulle modalità di inclusione della “diversità” rispetto ai canoni imposti sia socialmente che esteticamente per quanto riguarda le arti performative. Pertanto, lo spettacolo ne offre un punto di vista interessante partendo innanzitutto dal creare un percorso formativo, uno spazio in un certo senso sicuro in cui sentirsi liberi di esprimere una profondità e, perché no, una richiesta di riconoscimento magari in altri contesti purtroppo escluse. È da questa concezione del gruppo che ne deriva l’arte della condivisione, quel momento scenico come relazione con sé stessi e con l’altro.

Dalla relazione, che Fare teatro oltre lo sguardo intende come incontro con l’altro, «i partecipanti sviluppano un repertorio di gesti autentici, espressioni spontanee e libere associazioni, scoprendo la propria creatività come risorsa da condividere nel gruppo» – come si legge nella sinossi. La magia dello spettacolo consiste, appunto, nell’assemblare voci e gesti entrambi frutto di un viaggio che ha accolto e unito l’idea dell’alterità senza pregiudizi, anzi, trasformando quest’ultima in una potenziale occasione di espressione e di contatto. Un susseguirsi di immagini in cui linguaggio verbale e linguaggio non verbale si incontrano per una comunicazione emotiva forte.

L’accessibilità alla scena come inclusione sociale

Volendo provare a riassumere in una sola parola lo spirito che guida Fare teatro oltre lo sguardo, si potrebbe proporre l’accessibilità. A questo punto, l’arte diventa veicolo di quel messaggio per cui è fonte di inesauribile ricchezza, intesa nei termini di una crescita emotiva, incontrare l’altro e permettergli di accedere senza pregiudizi. L’ingresso sulla scena, allora, diventa metafora anche di un ingresso in una società più inclusiva, accogliente. Perciò, per un tipo di lavoro del genere l’obiettivo in fin dei conti fondamentale è arrivare all’emozione, dare spazio d’espressione a quell’io profondo e unico in ciascun individuo, quella parte che non conosce apparenze.

Fare teatro oltre lo sguardo, dunque, nasce sicuramente come un esperimento artistico, ma si trasforma in un atto politico e poetico insieme. Attraverso una ricerca spontanea e autentica, sulla scena viene rappresentato ciò che normalmente resta invisibile, non tanto perché nascosto quanto perché ignorato. È un teatro che non chiede di essere guardato, ma sentito, attraversato, abitato. Un attraversamento dove ogni barriera si fa permeabile, ogni differenza diventa linguaggio. È l’arte che si scompone in numerose e varie opportunità per includere e ampliare il proprio significato. Un teatro, infine, che non accoglie “nonostante”, ma “grazie a”.

Fonte immagine di copertina: Ufficio Stampa

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson è giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2023. Appassionata di cultura in tutte le sue declinazioni, unisce alla formazione umanistica una visione critica e sensibile della realtà artistica contemporanea. Dopo avere intrapreso gli studi in Letteratura Classica, avvia un percorso accademico presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e consegue innanzitutto il titolo di laurea triennale in Lettere Moderne, con una tesi compilativa sull’Antigone in Letterature Comparate. Scelta simbolica di una disciplina con cui manifesta un’attenzione peculiare per l’arte, in particolare per il teatro, indagato nelle sue molteplici forme espressive. Prosegue gli studi con la laurea magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo, discutendo una tesi di ricerca in Storia del Teatro dedicata a Salvatore De Muto, attore tra le ultime defunte testimonianze fondamentali della maschera di Pulcinella nel panorama teatrale partenopeo del Novecento. Durante questi anni di scrittura e di università, riscopre una passione viva per la ricerca e la critica, strumenti che considera non di giudizio definitivo ma di dialogo aperto. Collabora con il giornale online Eroica Fenice e con Quarta Parete, entrambi realtà che le servono da palestra e conoscenza. Inoltre, partecipa alla rivista Drammaturgia per l’Archivio Multimediale AMAtI dell’Università degli studi di Firenze, un progetto per il quale inserisce voci di testimonianze su attori storici e pubblica la propria tesi magistrale di ricerca. Carta e penna in mano, crede fortemente nel valore di questo tramite di smuovere confronti capaci di generare dubbi, stimolare riflessioni e innescare processi di consapevolezza. Un tipo di approccio che alimenta la sua scrittura e il suo sguardo sul mondo e che la orienta in una dimensione catartica di riconoscimento, di identità e di comprensione.

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