Il Deserto dei Tartari, alla Galleria Toledo | Recensione

Il Deserto dei Tartari, alla Galleria Toledo | Recensione

Dal romanzo alle scene: Il Deserto dei Tartari

Dal 27 al 28 aprile è andato in scena alla Galleria Toledo di Napoli Il Deserto dei Tartari, tratto dal romanzo di Dino Buzzati e adattato alla scena da Massimo Roberto Beato, con la regia di Jacopo Bezzi e l’interpretazione di Massimo Roberto Beato, Tommaso Paolucci e Francesco Terranegra. Lo spettacolo è il primo capitolo parte integrante di un progetto di ricerca teatrale della Compagnia dei Masnadieri, la Trilogia degli sconfitti, che si ripropone di riflettere sui cosiddetti “anti-soggetti”, ovvero su coloro i quali sono destinati a vivere in un mondo da cui non vogliono farsi trascinare e a cui non riescono ad adattarsi, tentando fino in fondo di non farsi rinchiudere nell’arbitrarietà dell’esistenza.

La recensione

Il Tenente Drogo, de Il Deserto dei Tartari, è a tutti gli effetti un “anti-soggetto”: costretto a prendere posizione alla Fortezza Bastiani, si ritrova in una dimensione silenziosa, oscura, imprigionata nella sua immobilità. Attraverso le sue mura dilaga l’eco di una leggenda lontana, i Tartari che di lì a poco, si dice, verranno dal Deserto ad attaccare la fortezza, e come uno spirito invisibile si diffonde tra le sentinelle assumendo le sembianze di una tragica speranza, una disperata attesa che accada finalmente qualcosa in quel Deserto del nulla. Anche Drogo, intimorito dalle sembianze della fortezza, resta aggrovigliato e si potrebbe dire addirittura aggrappato a quella speranza ignota e leggendaria.

Ma il tempo scorre inesorabile. Il Deserto dei Tartari, non a caso, inizia con un flashforward del Tenente Drogo ormai anziano sul punto di soccombere al suo destino. La morte ci viene rappresentata come un qualcosa che chiara e limpida si presenterà nelle vesti di fine e soluzione inevitabile di un’esistenza vissuta attraverso il sogno, attraverso la speranza derivante da questo. Un atto coraggioso quello di Drogo di portare avanti le proprie convinzioni fino all’ultimo respiro esalato o una vita vissuta all’insegna di un’ingenua vigliaccheria? O forse entrambe le cose.

Se ne Il Deserto dei tartari il Tenente Drogo raffigura un’umanità statica nella sua impossibilità di slanciarsi, persa nel vuoto assordante della fortezza, disperata per una certa noia nel credere a qualcosa che non accadrà mai quasi sicuramente, è anche vero che si fa portavoce di un “anti-soggetto” che porta a compimento la sua lotta per non assuefarsi all’inerzia. La speranza del nostro protagonista, allora, diventa veleno, malattia ma allo stesso tempo incantesimo e antidoto. E lo spettacolo adattato da Beato e diretto da Bezzi rende bene il senso della vicenda tramite un’atmosfera fredda e visionaria, con una recitazione non molto coinvolgente ma giustificata tutto sommato nel suo apparire frammentata e restia a porsi. È una pièce che non aggiunge né toglie nulla al romanzo di Buzzatiun peccato? – e lascia parlare il Realismo Magico di quest’ultimo, apprezzabile perché grandiosa la storia da cui è tratta.

Foto immagine: Galleria Toledo

 

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson è giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2023. Appassionata di cultura in tutte le sue declinazioni, unisce alla formazione umanistica una visione critica e sensibile della realtà artistica contemporanea. Dopo avere intrapreso gli studi in Letteratura Classica, avvia un percorso accademico presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e consegue innanzitutto il titolo di laurea triennale in Lettere Moderne, con una tesi compilativa sull’Antigone in Letterature Comparate. Scelta simbolica di una disciplina con cui manifesta un’attenzione peculiare per l’arte, in particolare per il teatro, indagato nelle sue molteplici forme espressive. Prosegue gli studi con la laurea magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo, discutendo una tesi di ricerca in Storia del Teatro dedicata a Salvatore De Muto, attore tra le ultime defunte testimonianze fondamentali della maschera di Pulcinella nel panorama teatrale partenopeo del Novecento. Durante questi anni di scrittura e di università, riscopre una passione viva per la ricerca e la critica, strumenti che considera non di giudizio definitivo ma di dialogo aperto. Collabora con il giornale online Eroica Fenice e con Quarta Parete, entrambi realtà che le servono da palestra e conoscenza. Inoltre, partecipa alla rivista Drammaturgia per l’Archivio Multimediale AMAtI dell’Università degli studi di Firenze, un progetto per il quale inserisce voci di testimonianze su attori storici e pubblica la propria tesi magistrale di ricerca. Carta e penna in mano, crede fortemente nel valore di questo tramite di smuovere confronti capaci di generare dubbi, stimolare riflessioni e innescare processi di consapevolezza. Un tipo di approccio che alimenta la sua scrittura e il suo sguardo sul mondo e che la orienta in una dimensione catartica di riconoscimento, di identità e di comprensione.

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