Finanziamenti allo spettacolo dal vivo, cosa sta succedendo e perché si parla di ‘disastro culturale’?
L’Italia si fregia da sempre del titolo di “paese della cultura”. Culla della poesia e della commedia dell’arte, patria di Goldoni, Pirandello e Eduardo, ma anche luogo in cui tradizione e avanguardia si sono spesso intrecciate in modo fecondo. Noi italiani raccontiamo spesso il nostro paese come terra di palcoscenici, grandi autori, pubblici colti e passionali. Ma cosa resta oggi di questa narrazione?
Poco o nulla se ad essere penalizzati dai nuovi risvolti politici sono proprio i teatri vivi, la ricerca e la sperimentazione artistica, attraverso nuovi parametri che incentivano l’aumento del costo dei biglietti a scapito dell’accessibilità e di una cultura viva, attiva e per tutti.
I lavoratori dello spettacolo dichiarano lo Stato di Disastro Culturale: si dimettono 3 membri su 7 della Commissione Consultiva per il Teatro
Facciamo anzitutto chiarezza sui finanziamenti allo spettacolo dal vivo. Il Fondo Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo (FNSV ex FUS) è stato infatti istituito con la finalità di garantire sostegno finanziario a enti, associazioni e organismi operanti nel settore delle attività musicali, di danza, teatrali, circensi e dello spettacolo viaggiante. Per la prima volta dall’elezione del governo Meloni, teatri, festival e compagnie presentano al Ministero della Cultura la domanda triennale per ricevere fondi pubblici, grazie ai quali essi si sostentano.
C’era nell’aria un clima non positivo, ed infatti il 19 giugno tre (Alberto Cassani, Carmelo Grassi, Angelo Pastore) dei sette professionisti, parte della Commissione e chiamati a esaminare le domande per i finanziamenti inerenti al triennio 2025-2027, si sono dimessi a causa della decisione, presa dalla maggioranza, di declassare la Fondazione Teatro Nazionale della Toscana. La vicenda ha suscitato una forte reazione nel settore culturale: numerosi giornalisti e testate si sono uniti nel richiedere il ripristino di modalità di lavoro più eque, per un’assegnazione dei fondi libera da condizionamenti politici.
Una dichiarazione pubblica di preoccupazione è stata diffusa e può essere sottoscritta e condivisa da chiunque. «Si sta cercando di rendere marginale il concetto di innovazione, sia nella distribuzione dei soggetti nelle diverse caselle, sia nella valutazione, facendo pesare i risultati economici nella considerazione della qualità artistica.» Così racconta Alberto Cassani, ex assessore alla cultura di Ravenna.
Dunque il rischio concreto è che i teatri, chiamati a spendere sempre meno, decideranno di investire soltanto sui cosiddetti “grandi nomi”, per inserire in programmazione spettacoli già rodati, penalizzando così ricerca e innovazione teatrale.
E non è finita qui.
«VOGLIAMO TUTT’ALTRO!» è il grido dei lavoratori dello spettacolo
Il 17 giugno 2025 sono stati pubblicati gli esiti della Commissione Consultiva per la Danza e Multidisciplinare, da cui emerge la volontà del governo di marginalizzare e in seguito annientare, un certo tipo di arte. Un D.M. che, come scrive Franco D’Ippolito, si priva quasi del tutto delle parole ‘innovazione’ e ‘rischio culturale’ ed è la premessa a una volontà spaventosa, che è appena diventata realtà. Scompaiono anche concetti come ‘contemporaneo’, ‘innovazione’ e ‘transdisciplinarietà’.
Già a partire dall’anno scorso artist come Valerio Sirna, MOTUS, Marco D’Agostin e Silvia Gribaudi, si erano espress attraverso la cassa di risonanza offerta dalla pagina Instagram Assemblea_lavorat_spettacolo, che ha promosso pratiche di resistenza. Questa nasce per dare voce al dissenso creatosi intorno alla programmazione e direzione artistica del Teatro di Roma, e ha messo a disposizione un utile toolkit, aperto e pensato per essere utilizzato, condiviso, diffuso, letto pubblicamente.
Alcune realtà storiche e di innovazione del panorama performativo italiano, come la compagnia Abbondanza/Bertoni di Rovereto, Spazio Danza di Cagliari, progetti formativi come DA.RE. di Adriana Borriello. Risultano sei i festival eliminati, che non avranno accesso al finanziamento e moltissimi altri quelli che hanno registrato un sensibile abbassamento del loro punteggio che mette a rischio la loro sopravvivenza. Anche il festival di Santarcangelo, tra i più longevi e significativi d’Italia, si dovrà accontentare di un punteggio di 14, contro i 28 della scorsa valutazione.
Finanziamenti allo spettacolo. Non sono un errore amministrativo, e non si tratta di negligenza o ignoranza: è anzi un atto di violenza
Una violenza subdola, ma incisiva, che agisce sul piano culturale al pari dei respingimenti in mare dei migranti, trasportati poi in Albania; e si inserisce nella medesima logica repressiva degli attacchi alla libertà di protesta espressi nel Ddl 1660, e segue alla perfezione la linea di pensiero dei tagli costanti e sistematici all’università e alla scuola. Cancellare il dibattito, la ricerca, la sperimentazione artistica e la critica vuol dire ridurre al silenzio la cultura condannandola ad una lenta eutanasia.
L’invito, allora, è a guardarsi sempre intorno, con attenzione e spirito critico, diffidando dalle semplificazioni che scindono il mondo in bianco e nero. Scegliere di prendersi cura della complessità – che esiste, resiste e ci attraversa – è allora un atto, oggi più che mai, necessario.
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