Fuoco su Napoli al Teatro Trianon | Recensione

Fuoco su Napoli

In occasione del Campania Teatro Festival 2023, il 14 giugno va in scena, al Teatro Trianon, Fuoco su Napoli. Lo spettacolo prende forma a partire da un testo liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Ruggero Cappuccio, con rielaborazione drammaturgica, regia e disegno luci a cura di Nadia Baldi.

Fuoco su Napoli si inserisce all’interno di un progetto laboratoriale, che coinvolge il personale federiciano (Laboratorio Il suono dei sensi – Il senso dei suoni) e vede la partecipazione di un gran numero di studenti, di età più disparate, professionisti e non, tutti amanti dell’arte e del teatro.

L’Università degli studi di Napoli Federico II è rappresentata sul palco da: Teresa Perna, Alfonso Di Leva, Gaia De Meo, Antonio Di Criscito, Rosa Cerullo, Chiara Di Bernardo, Irene De Rosa, Barbara Lauletta, Emanuele Zappariello, Tiziana Angrisano, Marco Gallotti, Chiara Malvano, Cristiano Scotto Di Galletta, Anna Giannino, Matteo Tafuro, Benito De Masi,Titta Feliciello, Luigino Palermo, Eliseo Fusco, Lorenzo Laurato, Alessandro Monteriso, Mattia Esposito, Marco Simonetti, Martina Scarrone, Carmine Beneduce, Paola Galante, Serena Catapano, Valentina Lopresto, Marco Napolitano, Martina Cristofaro, Bruno Buonomo, Ludovica Franco.

Fuoco su Napoli è una voce corale che parte dal basso ventre, fa tremare il palco e scuote le menti

Il sipario si apre su Napoli: l’immagine che si spalanca davanti ai nostri occhi è di una Donna vulcanica, in piena eruzione di risentimenti, di rabbia da tempo repressa. È una Donna sfigurata, tormentata, isterica e incompresa.

Napoli parla, apre la bocca del Vesuvio, si fomenta ed esplode, tira fuori tutto il suo magma sedimentato. Napoli va a fuoco, e noi non possiamo far altro che prestarci all’ascolto, contribuire a questo racconto incendiario, molto poco risolutorio, ma capace di mirare alle coscienze, di farle risvegliare.

La prima attrice che compare sul palcoscenico confessa di essere stata vittima di uno stupro, si sente violata, macchiata per sempre, e non ha timore di urlarlo, ha ormai perduto la sua ingenuità e la sua innocenza. Il suo corpo è appesantito, contaminato dall’atto di violenza subito. Dissanguata, pronuncia parole miste di stanchezza e terrore, chiede vendetta e tregua. È bella, promiscua, decisa, è desiderosa di eruttare, di farsi ascoltare.

Un’altra donna si posiziona alle sue spalle, mentre Lei si esprime con virulenza. Quest’altra è leggiadra: libera si appende a un tessuto, si contorce nell’aria, danza, e non si esprime a parole. È questa figura inafferrabile, eterea, l’altro volto di Donna Napoli? È questa la Libertà a cui aspira? Quella che un tempo la caratterizzava?

Come se la voce di questa Donna, con le sue acute grida, fosse stata in grado di risvegliare un popolo assopito, ecco che compaiono sulla scena tantissime figure, tutte vestite di nero. Sono le sue anime perdute, che errano senza meta sul suo suolo scottante. Si muovono in punta di piedi, sussurrano, invocano e pregano. Si sente il bisbiglio di una litania soffocata, sgomenta. Somigliano alle signore che popolano i bassi dei quartieri di Napoli, che a una precisa ora del giorno si radunano per il rosario comunitario, tanto disperato quanto speranzoso.

«Aiutaci tu»: supplicano, con quella eccitazione particolare che solo la dissoluzione provoca. La loro condizione ineluttabile non ferma le loro anime scalpitanti, non le placa nel silenzio, sfuggono la morte sussurrando.

Fuoco su Napoli è uno spettacolo che apre numerosissimi capitoli sulla città, su suoi antri nascosti, sui rigagnoli più remoti, sulle imperfezioni evidenti, sui malfunzionamenti atavici, che espone in bella vista come souvenir accattivanti. Il Fuoco è la perversa forma di autodistruzione a cui Napoli si condanna ogni giorno, è l’umiliazione che subisce, perché incapace di difendere la sua bellezza. In fondo ogni meraviglia nasconde la sua illusione, ogni trucco di magia cela un inganno.

La messinscena include momenti di dibattito, di scontro aperto a tu per tu, tra l’avvocato Diego Ventre e il Presidente, tra Diego e Luce. Sono confronti verbali che sanno d’amore e di distruzione, sono domande senza risposte. Sono riflessioni aperte sull’oggi, che è uno scenario terrificante, sul domani, che non si vuole osare immaginare.

In Fuoco su Napoli, la città si esibisce, si imbelletta e si trucca, si mette il rossetto rosso, la parrucca bionda, e sfila sotto i nostri occhi, irresistibile e irrisolta, dannata e affascinante, fiera e sfolgorante.

Come un burattino, si lascia da tutti manovrare, ma d’improvviso si gira di spalle e ci mostra il di dietro, fa versacci volgari, pronuncia con sguaiataggine le espressioni peggiori, che le restituiscono, però, anche tanta fama.

«Cazzo, bordello, caffè»: sono le sue parole chiave, quelle che più di frequente si sente pronunciare, quando si passeggia per le vie del centro. Il caffè è un intercalare risolutore in ogni situazione scomoda, riappacifica gli animi agitati, svolge la funzione contraria alla sua natura, placa, eccitando, chi ne fa uso, unisce e consente la chiacchiera, o crea solo una sospensione illusoria del tempo? In una città dove il senso è un caos, nella quale il frastuono fa parte dello scenario paesaggistico, diventa un bordello anche capire la funzione che le cose hanno, il significato dei gesti, che si confondono con il gesticolare imprevisto, che spesso non vogliono comunicare un cazzo, o forse vogliono dire tutto.

Fuoco su Napoli è uno spettacolo che non vuole confortare, vuole “alluccare”: far venire fuori dalle viscere il profondo disagio che vi ribolle. Napoli è una Donna nuda al centro del palco, con i riflettori puntati sulla pancia, che fa l’hula hoop per tenersi in piedi, mentre racconta di essere stata stuprata.

Napoli è la solitudine di Luce, che oggi è una donna di mezza età, ha sposato un uomo che non ama, e si odia. Lei vive nello sfarzo e nella ricchezza, ma si sente una miserabile.

Napoli fa il tifo per se stessa, si compiace della sua miseria, si sente speciale e ride a crepapelle sulla disperazione, ma ai suoi cittadini non basta più la gioia amara del folklore. È una storia già scritta, «che si leggerà anche l’anno prossimo» e, forse, ancora per molto, ma pure presenta delle note a piè di pagina, che meritano attenzione. Queste annotazioni sono il Cuore, l’Amore della narrazione, il profilo biografico di una città che si vergogna, che è satura della sua contraddizione interna, e vuole rinnovarsi, si spoglia per mostrarsi vera.

Napoli proietta se stessa sulla schermo, la vediamo riflessa in , negli occhi disillusi di Claudia, che pensa che Guido «non sa voler bene», perché in primis non si vuole bene.

La scena si riempie di tacchi rossi, simbolo dell’antiviolenza. Napoli calpesta con le sue scarpe alte gli oltraggi di cui finora è stata vittima. La capitale partenopea si alza ancora di qualche centimetro, e non più spinta dalla nostalgia di ciò che è stata, ma dalla smania di comprendere una volta per tutte cosa significhi essere Donna, nascere nel “corpo di femmina”, essere stata concepita da un amore violento, non più riprodurlo ogni giorno: superarlo, perdonarlo, per-donarsi.

I suoi occhi marmorei non stupiscono più, non desideriamo più una Napoli statuaria, fascinosa e ammaliatrice, classica e irremovibile nella sua mirabile Tradizione, che di anno in anno si mercifica e si snatura, perdendo di valore.

Vogliamo una Napoli che brilla, come le luci a intermittenza, che i ragazzi del laboratorio accendono e spengono alternativamente, al centro della città-palco, camminando in un cerchio vorticoso, in un tragitto senza ritorno.

Fuoco su Napoli ci racconta un prima, un presente, senza alcuna speranza di un dopo, a meno che non ci predisponiamo a scorgere una Luce nelle singole, minuscole, particolari e, a loro modo, uniche caratteristiche, che ogni attore svela di sé, raccontando la complessa storia corale di una Napoli morta e risorta mille volte, mascherata e scoperta, che è andata a fuoco, ma conserva l’audacia di una piromane.

In un passo del libro riecheggia chiaro lo spirito che ha permesso la realizzazione di questo spettacolo, nel quale si sente la sincera passione, che muove tutti i partecipanti:

«Nessun particolare serve da solo, il particolare è niente senza l’alleanza e l’armonia con tutti gli altri particolari. La nostra vita, Manilo, è solo un particolare. La nostra vita non esprime nulla se non entra in comunione con altre vite. La nostra vita è un particolare nato dalle vite che ci hanno preceduto, ed è anche un particolare che sta a fondamento delle vite che verranno. Tu sei un particolare originato da molte esistenze. Devi sopportare il peso di quello che ti è successo. […] Non morire, perché niente muore

Fuoco su Napoli ci invita a non morire, a scegliere di continuare a bruciare.

A proposito di Chiara Aloia

Chiara Aloia nasce a Formia nel 1999. Laureata in Lettere moderne presso l'università Federico II di Napoli, è attualmente studentessa di Filologia moderna. Si nutre di libri e poesia. I viaggi più interessanti li fa davanti al grande schermo.

Vedi tutti gli articoli di Chiara Aloia

Commenta