Il Teatro TRAM di via Port’Alba a Napoli non si ferma. Dal 9 giugno, infatti, ogni martedì e giovedì, metterà in scena un postcast di dieci episodi sul sito e sulla pagina Facebook del TRAM, I dieci peccati capitali. Si tratta del progetto debutto della nuova Compagnia under 30, dedita alla formazione di giovani attori che, interrotta dal lockdown, si è impegnata tramite videoconferenze.
I peccati sono tradizionali sono accostati ad altri tre: il consumismo, l’egotismo e il razzismo, quelli propri della nostra società contemporanea. Questo progetto vuole appunto assumere il volto reale della nostra comunità umana, oltre che uno spazio personale di riflessione ed autoanalisi.
Tanti i tanti podcast proposti in questo duro periodo, interpretati da attori come Orazio Cerino e Titti Nuzzolese, e tanta la voglia di ripartire. A pochi giorni dalla riapertura ufficiale dei teatri, che il Dpcm di metà maggio fissa nel 15 giugno, godiamoci un piccolo spaccato di teatro dalle poltrone delle nostre case.
Qui di seguito, l’intervista a Mirko Di Martino, direttore artistico, che ci ha raccontato dell’idea, delle nuove modalità e delle nuove sensazioni legate a questo progetto.
I dieci peccati capitali: intervista a Mirko Di Martino
Perché i dieci peccati capitali?
Volevamo realizzare un progetto che potesse coinvolgere tutti i componenti della neonata compagnia under 30 del TRAM. Abbiamo pensato a quali format fossero adatti e permettessero anche di sviluppare un lavoro originale e attuale. I peccati capitali sono piaciuti subito a tutti, così riconoscibili e così aperti a tante possibilità di scrittura, ma c’era il problema che fossero solo sette. Ne abbiamo aggiunti tre, nuovi e contemporanei, scelti da noi, ed eccoci arrivati a dieci. Un altro numero simbolico, ovviamente.
E perché modernizzarli?
Ogni società, in ogni momento, definisce cosa sia giusto e cosa sbagliato. Abbiamo un’idea rigida del peccato capitale, lo immaginiamo come valido per tutti e al di fuori del tempo, ma non è così. La gola e la lussuria, tanto per citarne due, hanno un significato molto diverso da quello che avevano cinquanta anni fa. Volevamo creare un’opera che parlasse della nostra società, di ciò che siamo oggi, con sincerità e immediatezza. In fondo, si impara molto di più dalle proprie debolezze che dai punti di forza. Parlare di peccati significa parlare di emozioni. Ma le conosciamo davvero? Oggi c’è un abuso delle emozioni, siamo immersi fino a sentirci soffocare, eppure abbiamo smesso di comprenderle: la commozione lacrimevole dei pomeriggi in TV, l’indignazione per le immagini trasmesse dai TG, l’invidia per la felicità altrui che dilaga sui social. Non c’è bisogno di aggiornare i peccati: basta guardarsi intorno.
Quanto la mediazione della piattaforma online fa cambiare forma al teatro?
Nel nostro caso, trattandosi di un podcast, abbiamo scelto una forma artistica che punta esclusivamente sulla voce e sui suoni. Alcuni elementi sono simili al teatro: la scrittura e l’interpretazione. Ma i meccanismi di ideazione, produzione e fruizione cambiano molto. Il podcast, per noi, è un percorso parallelo, non abbiamo mai pensato né voluto sostituire il teatro dal vivo. Bisognerebbe evitare di pensare all’arte come ad un sistema di scelte che si escludono. L’interdisciplinarità, la condivisione, sono sempre state alla base dell’innovazione artistica. È da tempo che il teatro si è aperto alla sperimentazione con gli altri media. Il lockdown ha fatto sembrare che il passaggio all’on line fosse una novità, che fosse necessario convertire il teatro, cessare, spostare. Non è così, non c’è niente di particolarmente nuovo in tutto questo, né di preoccupante. Consideriamole opportunità per il futuro.
Cosa si perderà e cosa si guadagnerà rispetto alle modalità tradizionale?
Qualcosa si perde, certo, ma è qualcos’altro si guadagna. Il podcast va ascoltato: mancheranno i corpi degli attori, la loro presenza fisica, il contatto diretto con il pubblico, la visione condivisa. Il teatro è un’esperienza collettiva, un evento da vivere insieme agli altri in uno spazio e in un tempo chiaramente definiti. Il podcast, invece, si ascolta in solitudine, meglio ancora se con le cuffie. In questo modo si attiva di più l’immaginazione, si avvia un’attività concentrata sull’ascolto. È molto diversa anche la fruizione: l’ascoltatore decide lui quando e come ascoltare, se farlo la mattina mentre va al lavoro oppure la sera, comodamente seduto sul divano di casa. Nelle giuste condizioni, l’ascolto di un podcast è un’esperienza sorprendente e molto appagante.
Come compensa alla mancanza del feedback diretto del pubblico un attore abituato alla pronta risposta dei suoi spettatori?
Non è semplice per un attore registrare un podcast. Manca completamente la presenza del pubblico che sostiene lo spettatore e comunica con lui. L’interpretazione non avviene in diretta, ma durante una sessione di lavoro in una sala vuota. C’è il vantaggio di poter rifare la registrazione nel caso non si fosse soddisfatti, ma significa anche dover mantenere la concentrazione nonostante le numerose interruzioni. Cambia molto anche lo stile della recitazione: recitare davanti a una platea di cento persone è completamente diverso da recitare davanti a un microfono. È un’ottima palestra, soprattutto per i giovani attori.
Come avete gestito la distanza tra l’autore/registra e l’interprete?
Ogni attore ha scritto un episodio del podcast e ne ha recitato un altro. La regia è stata curata dagli autori, quindi ogni attore è stato anche autore e regista. Una bella sfida! La regia è stata forse la parte più difficile, perché ha richiesto l’incontro tra due approcci differenti. Non è stato sempre facile, ma nel complesso la compagnia è riuscita a fare un grande lavoro collettivo. Gli attori hanno legato molto tra di loro, sapendo di essere persone diverse e artisti diversi. Hanno dovuto superare le differenze per creare un progetto unico che fosse il risultato del lavoro di gruppo e, allo stesso tempo, un pezzetto di ciascuno. Abbiamo dimostrato che, oltre ai dieci peccati, conosciamo anche una virtù: la cooperazione.
Immagine in evidenza: Ufficio stampa del teatro TRAM, Chiara di Martino