Nel 1789, in un momento storico cruciale, un oggetto che per l’italiano è ormai parte scontata dell’universo domestico, si trasforma in un trono e simbolo di libertà: il bidet. Con queste premesse è andato in scena lo scorso 9 novembre al Teatro Area Nord di Napoli Queen Bidet, uno spettacolo che si definirebbe audace per le tematiche e le scelte narrative. L’opera aveva già ottenuto un importante riconoscimento al suo debutto, il 19 luglio, aggiudicandosi il titolo di Vincitore dell’avviso pubblico Napoli Fringe Festival 2025. Scritto da Fabio Casano e diretto da Gennaro Maresca, Queen Bidet usa la storia e la figura di Maria Carolina D’Asburgo-Lorena per aprire le vedute sull’Italia contemporanea e sulla sua continua lotta tra individualità e collettività.
Politica e intimità: la condanna di Maria Carolina D’Asburgo

Magistralmente interpretata da Chiarastella Sorrentino, la regina Maria Carolina D’Asburgo, sorella della famosa Maria Antonietta, era una donna che si direbbe illuminata, poliglotta e d’ampie vedute. Era proprio lei, l’Altro in terra borbonica, a essere additata dal popolo napoletano, lo stesso popolo che è pronto a stigmatizzare il diverso. La contraddizione, tuttavia, la incarna la stessa regnante: una figura forte che si fa spazio nella politica, volenterosa di trasformare Napoli in un polo culturale e di aprire la strada per l’uguaglianza di genere. Nonostante queste simpatie verso l’Illuminismo, la Regina ne prese poi le distanze, rivelandosi a tratti anche estremamente radicale. La sua decisione di introdurre l’oggetto francese, il bidet – percepito come un tabù e un simbolo di diversità – la condanna. Il bidet incarna le restrizioni non solo della donna, ma di chiunque voglia esprimere la propria individualità e non conformità. Maria Carolina, che desidera il bene per il suo popolo, viene schernita per la sua innovazione nell’ignoranza popolare. L’atto finale, quello di danzare con il suo trono in piazza, è l’apice della performance: è l’individuo che sceglie di mostrare la propria intimità e la propria innovazione radicale, pur sapendo che ciò la espone alla distruzione per mano della massa.
Tecnica e regia in Queen Bidet: l’arte di bilanciare storia e satira
Com’è stato possibile creare un ponte tra il 1789 e il contemporaneo? Mettere in scena uno sdoppiamento temporale così ampio non è di certo semplice, soprattutto senza intralciare la fluidità della narrazione. La tragedia storica e la satira contemporanea sono state mantenute perfettamente in equilibrio grazie alla regia di Gennaro Maresca. Maresca è riuscito a impedire che il simbolismo forte del bidet sfociasse nel ridicolo, mantenendo invece una costante tensione grazie al ritmo veloce e incalzante dello spettacolo.
Questa riuscita è supportata da una scenografia essenziale e da un utilizzo consapevole degli elementi tecnici, a partire dal disegno luci di Simone Picardi, che enfatizza le scene cruciali, mettendo in prima linea ogni battuta del personaggio. Le musiche di Raffaello Basiglio, invece, rendono ancor più esplicito il concetto dello split temporale, passando dai canti classici a quelli più incalzanti e attuali. Infine, i costumi, curati da Giulia Contrastato e Michela Cantelli – che inevitabilmente risaltano maggiormente all’occhio dello spettatore – contribuiscono a delineare la non conformità della regina, rappresentandola nello sfarzo regale e nella magra intimità.
La vera forza motrice dello spettacolo è stata di certo la Sorrentino: in un solo-act che chiarisce il suo talento, l’attrice si rivela in un’ampia interpretazione di maschere e caratteri, tutti convincenti e unici. La sua capacità di mutare rapidamente identità non solo alleggerisce la struttura del monologo, ma rafforza il concetto del contrasto sociale che lacera l’individuo. L’efficacia di questo allestimento e delle scelte interpretative dimostra come la compagnia B.E.A.T. Teatro abbia saputo tradurre un testo impegnativo in un’esperienza emotivamente coinvolgente e intellettualmente stimolante.
Conclusioni e riflessioni finali
Al termine di Queen Bidet, la riflessione si sposta verso l’identità collettiva, un’identità che a tratti pare perduta e di cui la collettività stessa è carnefice, sopprimendo l’individualità e la speranza di una rinascita. Credere in una rivoluzione, perciò, implica iniziare prima «una rivoluzione in zona intima» e, dunque, un auto-riconoscimento. La chiusa geniale sullo stato d’animo dell’italiano che all’estero sente la mancanza del bidet e si scopre legato a un’identità precisa, sposta il tabù dal privato al culturale. Un oggetto deriso nel Settecento, considerato «strumento di ristoro da meretricio», diventa oggi un marker identitario, suggerendo che l’innovazione e la non conformità di ieri possono diventare i valori fondanti di domani. Lo spettacolo, che rientra nel progetto Area Nord in Festival – Arena Circus, ideato da Teatri Associati di Napoli / Teatro Area Nord e realizzato con il sostegno della Regione Campania, si è rivelato un’opera provocatoria, diretta e starnazzante come un grande inciucio napoletano, ma soprattutto necessaria, per risvegliare l’animo di un popolo che è divenuto monarca di sé stesso.
Fonte immagine in evidenza: Ufficio Stampa

