Space out contest, uno schiaffo alla logica capitalistica contemplando il vuoto

Space out contest, uno schiaffo alla logica capitalistica contemplando il vuoto

Lo Space Out Contest è un evento di arte performativa nato nel 2014 a Seoul e ad oggi è diventato un appuntamento annuale molto atteso; riprende nel 2022 a seguito della pausa forzata a causa del Covid-19.
L’evento nasce dall’esperienza personale della sua ideatrice, l’artista Woopsyang che ha superato un esaurimento nervoso, innescato dai suoi ritmi lavorativi, non facendo nulla e limitandosi a contemplare il vuoto. Quando è riuscita a ritrovare la pace interiore estraniandosi da tutto il resto, ha riflettuto sul fatto che il mondo fosse andato avanti ugualmente. Da qui l’idea del contest che incoraggia i lavoratori esausti a godersi il dolce far niente.

Space Out Contest: ecco in cosa consiste

Lo Space Out Contest si tiene solitamente a Ichon Hangang Park e vi sono 70 posti disponibili. Le regole sono abbastanza semplici: non bisogna stare al telefono, addormentarsi o parlare con qualcuno e bisogna stare fermi a fissare il vuoto per 90 minuti. 

I partecipanti sono incoraggiati ad indossare le divise che portano a lavoro, o abiti che facciano intuire che tipo di professione svolgano. Lo scopo dell’evento infatti è proprio quello di sensibilizzare sui ritmi estenuanti di lavoro a cui sono sottoposte molte persone. Perché non fare una manifestazione allora? Servirsi dell’arte performativa, in questo caso sotto forma di Space Out Contest, è più impattante: crea un contrasto visivo lampante tra una città che non può permettersi di fermarsi neanche per un’istante e una piccola oasi di pace, ultima cellula di resistenza all’imperativo capitalistico. 

Durante la gara lo staff va in giro per registrare le pulsazioni dei concorrenti ogni 15 minuti. Vince chi totalizza il punteggio artistico (basato sui voti del pubblico) e il punteggio tecnico (in relazione alla frequenza cardiaca costante) più alto. Il vincitore riceve un trofeo d’oro che ricorda la statua Il Pensatore di Rodin, con le mani poste come Il Bodhisattva Pensieroso.
Lo Hanbok (abito tradizionale coreano) e il gat (cappello tradizionale fatto di crine di cavallo e bambù) sono ormai elementi caratteristici dello space out contest, tanto che la stessa Woospyang li indossa da anni durante l’evento.

In virtù del grande successo della competizione riscosso a Seoul, ha ottenuto notorietà a livello nazionale e internazionale, avendo luogo sull’isola di Jeju e all’estero in varie città tra cui Pechino, Taipei, Tokyo, Rotterdam e Hong Kong.

Vivere per lavorare o lavorare per vivere?

I paesi dell’Asia orientale sono quasi tutti accomunati da un forte senso di collettività. In ambito lavorativo, ad esempio, questo sentimento si applica sul concetto di produttività: quanto e ciò che viene svolto, a prescindere dalla mansione lavorativa, non viene visto come una semplice performance individuale ma come una singola attività che va a contribuire in un quadro più vasto. Ciò fa sì che ci sia una grande aspettativa nel non deludere gli altri ed essere all’altezza, che come se non bastasse si sommano a orari lavorativi disumani: è il cocktail perfetto verso l’esaurimento nervoso, o peggio. Lo Space Out Contest nasce proprio a seguito dell’impellente necessità di sensibilizzare su temi tanto raccapriccianti quanto sottovalutati.

In cinese il termine guolaosi (karoshi, il corrispettivo giapponese) sta a indicare la morte per infarto, ictus, emorragia cerebrale e altri malori indotti da ritmi di lavoro troppo frenetici. Negli ultimi anni in Cina si è sentito parlare di guolaosi e guolaozisi (suicidio causato da stress lavorativo), a seguito di alcuni casi di cronaca che hanno scosso l’opinione pubblica: un esempio è il suicidio di quattordici lavoratori presso le strutture della Foxconn di Wuhan per protestare contro i bassi salari e i turni massacranti.

Lo Space Out Contest di recente è approdato anche nel Sol Levante, nella città metropolitana di Tokyo per l’esattezza, ma sarà sufficiente ad invertire una forma mentis così radicata e improntata al sacrificio? Il primo caso di karoshi in Giappone viene documentato nel 1969, quando un ventinovenne muore per un arresto cardiaco sul posto di lavoro.

Dieci anni più tardi il termine viene ufficialmente coniato in riferimento a un aumento dei decessi causati da un’eccessiva mole di lavoro, ma è soltanto verso la metà degli anni ’80, nel pieno della bolla speculativa, che una serie di morti di giovani dirigenti attira finalmente l’attenzione sul fenomeno. Si stima che in Giappone circa 200 persone all’anno muoiano di karoshi. Le cause sono da ricercare nella rigidità della società giapponese e nella cultura lavorativa votata agli straordinari. Nel Paese è infatti consuetudine lavorare ben oltre il proprio orario di lavoro: alcuni lavoratori superano addirittura le 100 ore mensili di straordinari non pagati.

Lo Space Out Contest, originato inizialmente in Corea del Sud, è un’iniziativa che si sta spargendo a macchia d’olio in città dell’Asia e non solo, poiché ora come allora ciò che conta è il plusvalore e il benessere psico-fisico dei lavoratori passa in secondo piano.

Fonte immagine in evidenza: Freepik 

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