La limace et l’escargot di Anne Benhaïem apre il concorso di Nuove Visioni della 15esima edizione per il Sicilia Queer filmfest, che dal 25 al 31 maggio 2025, per 7 giorni consecutivi di programmazione, anima il Cinema De Seta e altri spazi dei Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo. Ecco la recensione.
Traguardo importante per il Sicilia Queer filmfest che compie 15 anni e che in 7 giorni di programmazione, dal 25 al 31 maggio 2025, presso il Cinema De Seta e altri spazi dei Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo, ancora una volta propone al pubblico un cinema che riflette sulla pluralità dei linguaggi visivi e non solo, delle poetiche e degli approcci produttivi o distributivi.
Il programma delle sezioni competitive presenta 7 lungometraggi, tutti in anteprima nazionale, per il concorso di Nuove Visioni: un gruppo di perle preziose provenienti da Francia, Germania, Spagna, USA, Brasile e Taiwan, una costante sfida alle aspettative del pubblico che, messo di fronte all’apparente promessa di alcuni formati classici (il documentario biografico, il film d’archivio, la commedia grottesca, la love story, il programma televisivo, l’horror trash), vedrà molte delle sue certezze sgretolarsi. Qual è il confine tra riconoscibilità e irriconoscibilità? Fra sicurezza di sé e desiderio di perdersi? Se ognuno dei film del concorso internazionale di lungometraggi del Sicilia Queer filmfest 2025 è ascrivibile a un genere o a un formato, ognuna di queste 7 esperienze si diletta a deformare quel genere o formato dall’interno, offrendo prospettive che rivelano anche il lato più scomodo e mostruoso delle nostre illusioni.
A Body To Live In di Angelo Madsen, documentario sul body artist del piercing Roland Loomis, rivela le controversie scomode del suo protagonista smentendo la biografia agiografica; Anapidae (Appelle-moi) di Mathieu Morel, dramma horror della necrofilia, getta alcuni dei vezzi del cinema francese contemporaneo di genere in una patina sgraziata e imprevista; La limace et l’escargot di Anne Benhaïem, storia d’amore di due invisibili della società, trova l’amore dove nessuno vuole guardare; Salomé di André Antônio è la grande recita drag di una favola biblica; Das Schiffbruch-Triptychon di Deniz Eroglu, antologia di tre racconti d’orrore politico, trova modi diversi per raccontare la perenne e ben nota capacità delle superstizioni di separare e di seminare odio; Te separas mucho di Paula Veleiro, film di archivi privati ed effimeri, lancia il sospetto che le immagini dove vediamo nostalgia potrebbero far germinare un pericoloso auto-inganno; e infine The Trio Hall di Su Hui-yu riscrive il concetto di parodia sfiorando la più destabilizzante forma di anarchia.
Il concorso è presieduto da una giuria internazionale, composta da Marco Müller, Lionel Baier, Milena Czernovsky, Elene Naveriani e Nele Wohlatz; un premio volto alla promozione e alla diffusione cinematografica nel territorio siciliano sarà assegnato dalla giuria Circuito Festival, composta da João Ferreira (direttore artistico Queer Lisboa), Giulio Casadei (direttore artistico Festival du Cinéma de Brive) e Sheila Melosu (project manager SiciliAmbiente Film Festival).
La biografia di Anne Benhaïem
Anne Benhaïem è nata nel 1964 a Parigi. Dopo aver studiato filosofia e cinema a Paris 8, parallelamente a seguire corsi di canto classico, nel 1987 entra a far parte della scuola di cinema La Fémis e si laurea nel 1990 con il suo film di diploma Les Liens.
Vincitrice del Premio Villa Medici (1992/93), in quel periodo realizza Paroles e poi Solo Tu, selezionato in numerosi festival (Pantin, Rotterdam, Karlovy Vary, ecc.). Ha diretto Théâtre des familles nel 1994, l’episodio Moscou nel 1999 come parte della serie Voyage Voyage per ARTE, Humphrey Bogart et la femme invisible nel 2001, e ancora la coppia di film Salut Vladimir! e Te revoilà, Vladimir! rispettivamente nel 2006 e nel 2008. Il suo corto L’Homme Qui Part, con Bernard Eisenschitz e Jeanne Balibar, risale al 2019. La limace et l’escargot nel 2025 vince il Premio Jean Vigo per la miglior regia al Festival Punto de Vista a Pamplona.
La limace et l’escargot di Anne Benhaïem: la recensione
In una mattinata che non sembra avere nulla di diverso da tutte le altre, un uomo e una donna – entrambi oltre la sessantina, claudicanti e dotati di un bastone da passeggio – si scontrano in maniera del tutto surreale, all’angolo di una strada. Il buffo incidente offre il pretesto per un appuntamento al bar, da cui poi nascerà un’intensa storia d’amore. I due sembrano proprio fatti per stare insieme, e i loro nomi ne sono la prova: lei si chiama Limace (dal francese, «Lumaca»; lui, invece, Escargot («Chiocciola»). Chiaro e grottesco riferimento alla disabilità che colpisce i protagonisti e che li costringe a un’andatura lenta e incerta. Come tutte le cose belle della vita, però, anche il loro piccolo idillio non è destinato a durare per sempre.
«Mi piace fare un film sulla felicità, perché io penso di essere una persona felice e che la felicità venga dalle piccole cose. Questo film si basa tutto sull’interesse verso le piccole cose»: ha dichiarato la regista Anne Benhaïem, che nel film è anche interprete del personaggio di Limace, a seguito della proiezione. Ed è questa la grande forza del suo La limace et l’escargot, la semplicità di una quotidianità spontanea, libera da stereotipi e pregiudizi, perfino dal tabù del desiderio e dell’erotismo nella terza età.

Anche dal punto di vista formale ammette di aver scritto una sceneggiatura, ma di non averla seguita durante le riprese. Le scene, quindi, a partire da un canovaccio, sono state improvvisate dagli attori, seguendo l’istinto e il flusso del momento. Questo espediente, dovuto più che altro alle circostanze – «L’altro attore non voleva imparare le battute del copione»: ha spiegato Anne Benhaïem – è stato brillantemente colto dall’autrice, che lo ha trasformato in un’occasione creativa per esplorare la relazione, sempre più intima, che instaurano questi personaggi insoliti e così profondamente umani. E allo stesso tempo è anche un film nel film, proprio in senso meta-cinematografico, un racconto su come nascano i film, su come nascano le idee e le storie che si vogliono raccontare.
La limace et l’escargot di Anne Benhaïem è un’opera fondata sulla tenerezza, ma soprattutto su una connessione di due corpi simili che però si riconoscono nel dialogo, nella parola; in cui la macchina da presa diventa il punto di vista di un passante incuriosito che origlia da lontano la conversazione di due estranei. Una di quelle conversazioni apparentemente sconclusionate, senza senso – o, quantomeno, bizzarre –, che solo due anime che vibrano all’unisono possono comprendere, quasi fosse un linguaggio segreto, un messaggio misterioso da codificare. È uno squarcio di vita sospesa, eppure non per questo meno vissuta, meno vera.
Fonte immagine articolo Sicilia Queer filmfest 2025: La limace et l’escargot di Anne Benhaïem | Recensione: Ufficio Stampa