Masaaki Yuasa: 3 opere per approcciare il regista

Masaaki Yuasa: 3 opere per approcciare il regista

Masaaki Yuasa è uno dei registi più atipici e particolari del panorama anime, famoso per il suo stile stravagante e non convenzionale e salito alla ribalta per la prima volta con il lungometraggio Mind Game pubblicato nel 2004, vincitore dei premi Ofuji Award del Mainichi Film Concours e del Grand Prize per l’animazione al Japan Media Arts Festival.

I lavori del regista si caratterizzano per un’estetica che può apparire a prima vista come sgangherata e di bassa qualità, ma che è invece estremamente funzionale al tipo di risultato perseguito, ambendo non ad un realismo giottiano, ma distorcendo forme e spazi per creare opere dinamiche e colorate che sfruttano al meglio tutti i mezzi che l’animazione mette a disposizione.

Vediamo quindi 3 opere per approcciare la produzione di Masaaki Yuasa.

  • The Tatami Galaxy (11 episodi)

Basato sul romanzo scritto da Tomihiko Morimi, The Tatami Galaxy è un anime prodotto dallo studio Madhouse e diretto da Masaaki Yuasa, trasmesso nel 2010. Il protagonista, di cui non viene rivelato il nome e a cui ci si riferisce semplicemente con watashi (“io” in giapponese), è uno studente universitario che, contro le sue infondate aspettative che dipingevano la vita universitaria come momento di massima felicità e realizzazione, si rende conto di aver sprecato gli ultimi due anni, nutrendo quindi un forte rimpianto per non essere riuscito a vivere la vita perfetta che si era immaginato. All’inizio di ogni episodio watashi viaggerà indietro nel tempo, avendo la possibilità di unirsi ad un club diverso e compiendo però scelte che lo porteranno sempre allo stesso infelice epilogo, non rendendosi conto di aver avuto da sempre davanti agli occhi un’occasione da afferrare.

L’anime si caratterizza per la presenza di numerosi monologhi che ci portano all’interno della mente del protagonista, mostrandoci i suoi processi mentali spesso resi con una velocità frenetica ed una resa grafica surreale che ben si sposano con questo tipo di rappresentazione.

  • Ping Pong The Animation (11 episodi)

Uscito nel 2014, Ping Pong The Animation (adattamento del manga Ping Pong di Taiyō Matsumoto) fu inizialmente ignorato dalla maggior parte del pubblico per il suo stile grezzo e apparentemente poco curato scelto da Masaaki Yuasa, ma che si è dimostrato invece essere la scelta migliore per rendere al meglio le scene più dinamiche durante le partite e in generale per donare all’anime apici di originalità ed impressione visiva raramente toccati da altri prodotti. L’anime segue due studenti delle superiori: il taciturno ed impassibile Tsukimoto, soprannominato Smile, e lo spensierato Hoshino, chiamato dagli amici Peco, entrambi talentuosi giocatori di ping pong. I due sono legati da un profondo legame di amicizia, non sempre esternato in maniera usale.

Il pregio più grande dell’anime è l’accurata descrizione psicologia del cast di personaggi, ognuno mosso da ambizioni, paure e volontà di affermare sé stesso. Ogni personaggio sarà costretto a scontrarsi con una realtà dura e spesso difficile da accettare, per trovare infine la propria strada ed il proprio posto nel mondo, che spesso non è esattamente quello che si immaginava.

Ad aumentare il valore dell’opera animata c’è poi l’incredibile colonna sonora composta da Kensuke Ushio.

  • Devilman Crybaby, la rivisitazione del maestro Yuasa del classico anni ’70 (10 episodi)

Il manga originale di Go Nagai su cui l’opera si basa, pubblicato a cavallo tra il 1972 e il 1973, è considerato una pietra miliare del fumetto giapponese, a cui ogni autore successivo ha guardato, “rubando” inevitabilmente qualcosa. Vista l’importanza quasi sacra del materiale di base, l’annuncio nel 2017 di un adattamento animato ha attirato numerosi dubbi e perplessità. L’opera diretta da Masaaki Yuasa si configura come un vero e proprio remake dell’opera originale, che viene svecchiata in alcuni aspetti e calata nel mondo contemporaneo, spesso modificando parzialmente alcuni eventi, approccio che non ha convinto una fetta dei fan più accaniti del capolavoro del maestro Go Nagai.

Ciò che è rimasto però invariato è l’estrema crudezza generale dell’opera, che tramite scene al limite del gore, rappresentazioni di una sessualità mostruosa e atmosfere cupe ed infernali, si scaglia contro la parte più bestiale e orribile dell’umanità, il tutto ovviamente condito dalla eccentricità registica del solito Yuasa e nuovamente dalle ottime musiche di Kensuke Ushio.

 

Fonte immagine in evidenza: Wikipedia 

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