L’8 e 9 giugno 2025 gli italiani sono stati chiamati a esprimersi su cinque quesiti referendari in materia di lavoro. Tuttavia, il quorum non è stato raggiunto: nessuno dei quesiti ha superato la soglia del 50% +1 degli aventi diritto al voto, rendendo così inefficaci i tentativi di modifica normativa.
Il quesito più discusso – quello che puntava ad abrogare il decreto legislativo 23/2015, ossia il cuore del Jobs Act – non ha prodotto effetti. Ma il confronto, anche se chiuso sul piano legislativo, ha lasciato tracce rilevanti nel dibattito politico e sociale.
Il Jobs Act resta in vigore: cosa sarebbe cambiato
Il decreto 23/2015 aveva introdotto il principio delle “tutele crescenti” per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, sostituendo nella maggior parte dei casi la reintegra con un’indennità economica basata sull’anzianità. Il referendum proponeva di cancellare questa impostazione, ripristinando una disciplina simile a quella della Riforma Fornero del 2012, dove la reintegra del lavoratore era più ampia, anche in casi di licenziamento economico o disciplinare ritenuto non fondato dal giudice.
Se il quesito fosse passato, il datore di lavoro avrebbe potuto essere costretto a reinserire il lavoratore, anche contro la propria volontà, aumentando il rischio giuridico e organizzativo per molte imprese, in particolare le PMI.
Le preoccupazioni delle imprese: un campanello d’allarme non ignorato
Durante la campagna referendaria, associazioni datoriali, consulenti del lavoro e imprenditori avevano espresso preoccupazioni concrete. Il timore era legato soprattutto alla maggiore incertezza in caso di licenziamenti contestati, alla possibile crescita del contenzioso e a un irrigidimento nelle politiche di assunzione.
In particolare:
- La prevedibilità oggi garantita da un sistema di indennizzo avrebbe lasciato spazio a decisioni giudiziarie con effetti molto più impattanti, come il reintegro.
- Le procedure interne delle aziende avrebbero richiesto maggiore attenzione, documentazione e risorse per evitare il rischio di contenziosi.
- La cautela nelle assunzioni – specie a tempo indeterminato – sarebbe potuta aumentare, penalizzando proprio le imprese più piccole.
Licenziamento per giusta causa: regole immutate, margini di rischio comunque presenti
Il referendum non toccava l’articolo 2119 del Codice Civile, che consente il licenziamento per giusta causain caso di comportamenti gravi e lesivi della fiducia. Tuttavia, le sentenze più recenti (come la n. 11985 e la n. 4227 del 2025) avevano evidenziato la sottile linea tra giusta causa e altre ipotesi sanzionabili, sollevando dubbi sul margine di discrezionalità lasciato ai giudici.
Con il fallimento del referendum, resta in vigore l’impostazione attuale: il licenziamento dichiarato illegittimo comporta un’indennità e non la reintegra, tranne in casi gravi e ben delimitati (discriminazione, nullità, insussistenza totale del fatto contestato).
Gli altri quesiti: nulla di fatto, ma restano i nodi aperti
Oltre al quesito sul Jobs Act, il referendum comprendeva altre quattro proposte:
- Quesito 2: eliminazione del tetto massimo di risarcimento per licenziamenti illegittimi nelle microimprese.
- Quesito 3: restrizione sull’uso dei contratti a termine.
- Quesito 4: ampliamento della responsabilità solidale nei contratti d’appalto.
- Quesito 5: norme sui salari minimi nei contratti non collettivi (meno dibattuto, ma presente).
Anche in questi casi, il mancato quorum ha impedito qualsiasi modifica normativa. Tuttavia, il solo fatto che si sia giunti a un referendum ha segnalato l’esistenza di tensioni e insoddisfazioni nel mondo del lavoro, sia lato lavoratori che lato imprese.
Una tregua, non una soluzione
Per molte imprese, in particolare le PMI, l’esito del referendum è stato accolto con sollievo: il mantenimento del quadro normativo garantisce una certa stabilità giuridica e operativa. Tuttavia, il tema della qualità delle tutele e del bilanciamento tra flessibilità e sicurezza resta centrale.
D’altra parte, per i promotori del referendum, la mancata partecipazione rappresenta un’occasione mancata per rafforzare i diritti dei lavoratori. Il mancato quorum non cancella la domanda sociale che ha originato la consultazione.
Un voto mancato, ma un messaggio chiaro
Il mancato raggiungimento del quorum ha impedito ogni cambiamento legislativo, ma ha comunque riacceso il dibattito sulle fragilità del mercato del lavoro italiano. Da una parte, la richiesta di maggiori garanzie; dall’altra, il bisogno di certezza operativa per chi assume e investe.
La vera sfida ora è raccogliere quel dibattito e trasformarlo in soluzioni sostenibili. Il sistema del lavoro italiano, anche dopo il referendum, resta sotto osservazione. E la tensione tra dignità del lavoro e flessibilità delle imprese continuerà a essere il terreno su cui si misureranno le prossime riforme.