Come Shrek ha rivoluzionato il cinema d’animazione

Come Shrek ha rivoluzionato il cinema d'animazione

L’attesa è finita, i rumors lo confermano: Shrek 5 si farà.

Non è chiaro quando uscirà, quale sarà la trama o se tornerà tutto il cast vocale originale (per l’Italia purtroppo saremo “orfani” di Renato Cecchetto, scomparso nel 2022), ma avremo presto nelle sale un nuovo capitolo della saga dell’orco più amato del cinema e, negli ultimi anni, anche del web.

Nel frattempo, ripercorriamo tutti gli aspetti in cui il primo Shrek (2001) è stato, a suo tempo, rivoluzionario.

La fine dell’Impero Disney

Sul finire degli anni Novanta, la Disney continuava a imperare nel campo dell’animazione occidentale, e si era da poco avvicinata alle tecniche digitali grazie agli accordi con la Pixar, che aveva dato i natali al fortunatissimo Toy StoryMa qualcuno si stava preparando a darle del filo da torcere: nel 1994, Jeffrey Katzenberg lascia la Disney per attriti con il nuovo presidente, e insieme a Steven Spielberg e David Geffen fonda la Dreamworks SKG.

Dopo una serie di colpi ben assestati – Z la formica, in animazione digitale, prodotto in contemporanea con il Disney-Pixar A Bug’s Life e uscito nelle sale un mese prima, o Il principe d’Egitto, in tradizionale, a cui avevano collaborato molti animatori licenziati dalla Disney – Katzenberg sgancia la bomba che farà crollare definitivamente l’Impero assoluto del Topo: è il 2001, e nelle sale di tutto il mondo fa la sua comparsa il verde e scorbutico orco che tutti ormai abbiamo imparato ad amare.

È un successo tale che, quello stesso anno, l’AMPAS (Academy of Motion Picture Arts and Science) crea un premio apposito: lOscar al miglior film d’animazione, per darlo proprio a Shrek. Il monopolio della Walt Disney Pictures sul cinema d’animazione è, così, concluso.

Un nuovo modo di fare animazione

Non tutti sanno che Shrek è effettivamente il primo lungometraggio in CGI in cui appaiono per la maggior parte personaggi umani.

Questo ha richiesto uno studio approfondito dell’animazione di ogni piccolo dettaglio, peluria compresa, per donare un aspetto realistico ai personaggi, ed evitare che il design sprofondasse nell’uncanny valley, come invece si può notare in Toy Story, in cui i rari personaggi umani hanno un aspetto quasi “di plastica“, molto più affine ad una bambola o un robot, che ha un effetto spesso inquietante.

Una fiaba moderna

Sin dai primi fotogrammi, che ricalcano la sequenza iniziale dei primi classici Disney con il libro che si apre, si può intuire la direzione che il lungometraggio ha intenzione di prendere, ben diversa da quella a cui si era sempre stati abituati.

Il primo Shrek, ma in realtà tutta la saga, prende i dettami della fiaba convenzionale e li appallottola come carta straccia, segnando la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra.

Il protagonista non è un principe, un cavaliere, o un fanciullo dai nobili ideali, ma un orco grasso, pelato e sporco, carico di tutti i difetti e le trivialità dell’essere umano, e la principessa da salvare è assolutamente indipendente e capace di difendersi da sola.

Tutto questo, unito alle parodie più o meno evidenti – pensiamo alla città di Duloc, ideata per rimandare ad un parco a tema ma anche al modello di “città perfetta” sempre desiderato da Walt Disney, o a Lord Farquaad stesso, che è stato animato proprio sulle fattezze del presidente della Disney – e alle numerose battute e gag rivolte al pubblico adulto, concorre a far sì che Shrek rappresenti un vero punto di svolta nel modo di usare l’animazione e di raccontare le fiabe.

Shrek è una fiaba animata, certo, ma è per tutta la famiglia.

Il messaggio di Shrek

La vera rivoluzione, però, sta nel messaggio che il film porta con sé. Un messaggio di accettazione, rivolto a tutti coloro che fino ad allora non si erano sentiti rappresentati dalle fiabe convenzionali, dove a trionfare era sempre il bello, nobile e valoroso cavaliere: chiunque, anche un grasso orco puzzolente come Shrek, merita di essere amato per quello che è.

Chiunque ha il diritto di essere umano, con i propri difetti, chiunque ha il diritto di essere semplicemente se stesso. E va bene così.

Fonte immagine in evidenza: TvInsider

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