Orco delle favole, tra mostruosità e umanità

Orco delle favole, tra mostruosità e umanità

L’orco delle favole è una figura importante del folklore europeo, dalle antiche origini alla contemporaneità mediale.

Brutto, enorme, maleducato e goloso di carne umana, meglio se di bambini cristiani. Questo è l’identikit dell’orco delle favole, una creatura presente in gran parte di racconti popolari della tradizione europea, nonché di quella italiana.

Ma vi siete mai chiesti quali siano le origini dell’orco e della sua natura feroce e crudele?  

Orco delle favole, dalle origini al rinascimento

A discapito di quanto si possa pensare, l’orco non è un’invenzione originale degli autori di favole: già nella mitologia greca esistevano figure che ricalcavano i suoi comportamenti più caratteristici, come il cannibalismo,

Il titano Crono, ad esempio, iniziò a divorare i propri figli dopo che un oracolo gli aveva predetto che uno di loro lo avrebbe spodestato. Sarà poi Zeus a sconfiggere il padre e a liberare i fratelli rinchiusi nel suo stomaco, dando il via all’era degli dèi dell’Olimpo.

A presentare molte analogie con gli orchi sono i ciclopi: uomini enormi, rozzi e, divoratori di carne umana. Nel nono libro dell’Odissea Ulisse si ritrova al cospetto di Polifemo che mangia alcuni compagni dell’eroe. Egli però sfrutta l’ingenuità del mostro per vendicarsi: lo fa ubriacare, gli dice di chiamarsi “Nessuno” e gli infila un bastone arroventato nel suo unico occhio, rendendolo cieco. Il motivo dell’ingenuità verrà poi ripreso dagli autori delle favole per caratterizzare l’orco.

Nella mitologia etrusca e in quella romana esisteva invece una divinità chiamata Orcus. Era il sovrano degli inferi ed era circondato da un seguito di creature mostruose, tra cui il cane Cerbero, che torturavano le anime dei defunti. Anche l’Orcus divorava gli uomini, ma la sua caratteristica peculiare è il suo essere associato all’inferno e al male, come si vede nella mitologia germanica.

Nel Beowulf l’eroe che dà il nome al poema si scontra contro Grendel, una creatura metà mostro e metà uomo che si nasconde negli acquitrini e che si muove di notte a caccia di umani. È da notare come la razza di Grendel venga indicata con il termine orc che in inglese significa proprio “orco” (in tedesco si indica con la parola ogre).

Con l’avvento del cristianesimo, la figura dell’orco non scompare del tutto. Nel Medioevo il bosco, come spiega lo storico Giovanni Vitolo, è il luogo per eccellenza della credenza popolare, abitato da creature fantastiche protagoniste di narrazioni in prosa e versi. Tra queste ci sono anche gli orchi che, secondo la tradizione, dimorano nelle oscurità più recondita dei boschi, spesso in mezzo alle paludi.  

Nel rinascimento italiano molti autori usavano il termine “orco” con il significato di “mostro divoratore di uomini”. Nell’Orlando innamorato e nel Furioso Boiardo e Ariosto raccontano la storia di Norandino, un principe saraceno che sposa Lucina, figlia del re di Ciprio. Durante un viaggio per mare la coppia naufraga su un’isola abitata da un orco, che li fa prigionieri. A caratterizzare il mostro è il fatto che sia cieco ma, nonostante ciò, sia molto forte e agile. I due autori si rifanno all’episodio di Ulisse e Polifemo, ma non aggiungono chissà quali novità alle caratteristiche dell’orco.

Orco delle favole. Basile e Lo cunto de li cunti

A parlare dell’orco delle favole così come lo conosciamo sono moltissimi autori, primo tra tutti il napoletano Giambattista Basile ne Lo cunto de li cunti.

La raccolta di favole si apre con quella di Antonio, uno scansafatiche cacciato di casa dalla madre. Il ragazzo fugge così lontano da giungere alle pendici del Vesuvio, dove all’interno di una grotta abita un orco. Il ragazzo non è per niente intimorito dall’orribile aspetto della creatura e si mette al suo servizio lavorando per lui.

A contraddistinguere l’orco di Basile da quelli degli altri autori successivi è la generosità: non è un antagonista, ma un aiutante dell’eroe a cui regala due doni: un asino che defeca oro e un tovagliolo magico capace di far comparire ricchezze.

L’ingenuità di Antonio lo porta a farsi ingannare da un oste che si impossessa dei suoi beni. Allora l’orco gli regala un bastone che, tramite una formula magica, picchia l’oste costringendolo a restituire i doni al ragazzo il quale, tornato a casa, può finalmente vivere in modo agiato con la madre.

Allo stesso modo si può citare una favola calabrese in cui un uomo viene scoperto da un orco mentre raccoglieva dei fichi nel suo giardino per la moglie incinta. La creatura si fa strappare la promessa di diventare padrino del figlio e poiché la moglie dà alla luce una bambina viene rapita dal mostro che le morde un dito, sancendo il legame.

Passano molti anni e la protagonista, divenuta una splendida ragazza, viene scoperta da un re che si innamora di lei e decide di sposarla. L’orco, affezionatosi alla fanciulla, le impone di ucciderlo e di farlo a pezzi. Ella, a malincuore, esegue l’ordine e i pezzi del mostro formano un letto matrimoniale.

Anche qui, come in Basile, la generosità è una caratteristica che contraddistingue l’orco, nonostante qui abbia gli atteggiamenti di un antagonista.

Perrault e Calvino

Spostandoci in Europa, l’orco delle favole viene invece rappresentato come una creatura negativa fino al midollo. Basta fare un salto nella città svizzera di Berna e osservare La Fontana del mangiatore di Bambini, una scultura bizzarra rappresentante un orco che mangia alcuni fanciulli.

L’opera, scolpita nel 1545-46 da Hans Gieng, potrebbe essere collegata alla propaganda antisemita: a partire dal Medioevo gli ebrei erano stati macchiati dell’accusa di bere il sangue dei bambini durante la Pasqua (la cosiddetta “accusa di sangue”). L’associazione degli ebrei con l’orco delle favole, quindi, si legge da sola.

Nella letteratura l’orco come personaggio negativo fu creato da Charles Perrault all’interno de I racconti di Mamma Oca. La suocera della Bella Addormentata, ad esempio, discende dagli orchi e fa di tutto per divorare la nuora e i figli, salvo poi essere scoperta dal figlio che la getta in una fossa di serpenti.

Sono però due le storie di Perrault più famose in cui compaiono gli orchi. La prima è Pollicino dove il protagonista chiede a una famiglia di orchi ospitalità per lui e i suoi sette fratellini. Se la moglie si lascia intenerire non si può dire lo stesso del marito, che non aspetta altro se non il momento giusto per mangiarli. Intuendo il pericolo Pollicino fa togliere i berrettini dalla testa dei suoi fratelli e li mette su quelle delle figlie dell’orco il quale, non accorgendosi dello scambio, le uccide.

La seconda è invece Il Gatto con gli stivali dove l’antagonista è un orco capace di mutare il proprio aspetto. Il gatto usa questa abilità a suo vantaggio e gli chiede di trasformarsi in un topo. Da buon ingenuo, l’orco esaudisce il suo desiderio e il gatto lo uccide, rubandogli il castello in cui abita.

Anche Italo Calvino parla di orchi in due delle Fiabe Italiane, una raccolta di racconti popolari del nostro paese uscita nel 1956. Nel Gobbo Tabagino un ciabattino deruba l’Uomo selvatico, una creatura simile all’orco, di tutte le sue ricchezze, per poi ucciderlo. L’Orco con le penne, invece, ha per protagonista un servitore che riesce a strappare dal corpo del mostro alcune penne dal grande potere curativo per salvare il proprio re malato.

In entrambe le storie di Calvino un ruolo centrale è giocato dalla figura femminile: sia la moglie dell’Uomo selvatico che quella dell’Orco con le penne aiutano il protagonista, come si è visto con Basile, aiutandolo a raggiungere i suoi obiettivi e, addirittura, fuggendo con lui come avviene nella seconda storia.

Orco delle favole, un archetipo ancora moderno

L’orco delle favole è una figura che si è imposta nel nostro immaginario, dando vita a molti personaggi derivati. Lo stesso Perrault si ispirò a lui per creare Barbablù, un uomo sadico che sposa le proprie donne con il solo scopo di ucciderle e di nasconderne i cadaveri.

Anche il burattinaio Mangiafoco de Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi è chiaramente ispirato a lui: un uomo enorme, dall’aspetto spaventoso e dal carattere burbero. In realtà nasconde un animo compassionevole e generoso al punto da regalare al burattino cinque monete d’oro da portare a Geppetto.

Spostandoci in tempi più vicini a noi, la figura dell’orco si è distaccata pian piano dal mondo delle favole per entrare nell’ambito della vita quotidiana. Nel giornalismo viene usato come metafora nelle notizie di cronaca nera, per indicare persone crudeli e violente verso le donne e i bambini, così come fa lo scrittore francese Daniel Pennac in un romanzo che si intitola proprio Il paradiso degli orchi.

Il genere fantasy ha accolto questa creatura nel suo mondo tramite versioni molto diverse. Non si può non citare Tolkien che nel Silmarillion li descrive come abitanti della Terra di Mezzo, ex elfi corrotti nel corpo e nello spirito dal signore oscuro Melkor. Se gli elfi da cui derivano sono creature splendide, graziate e intelligenti, gli orchi sono guerrieri abietti e orripilanti che odiano la luce del sole.

Ma se pensiamo all’archetipo moderno dell’orco il primo a venirci in mente è senza dubbio Shrek, protagonista dell’omonimo film del 2001 in cui uno scontroso orco verde che vive in solitudine nella sua amata palude vede la sua routine interrotta quando un dispotico re lo incarica di salvare per lui la sua promessa sposa, la principessa Fiona, rinchiusa in un castello sorvegliato da un drago.

La particolarità di Shrek sta nel tema dell’inversione dei ruoli: l’orco “cattivo” diventa l’eroe positivo di una storia con un enorme colpo di scena che ha reso questo divertente film parte integrante dell’immaginario pop degli anni 2000 e che, recentemente, la comunità di internet ha elevato allo status di meme.

Infine, gli orchi sono personaggi molto presenti nel mondo dei videogiochi e dei giochi da tavolo: World of Warcraft, Dungeons And Dragons e molti altri ancora ci hanno offerto versioni differenti di una creatura terribile sia dentro che fuori ma, in alcuni casi, capace di provare sentimenti umani.  

 

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

Vedi tutti gli articoli di Ciro Gianluigi Barbato

Commenta