Elephant, il film sulla strage di Columbine | Recensione

Elephant (2003), film diretto da Gus Van Sant, è liberamente ispirato alla strage avvenuta alla Columbine High School il 20 aprile 1999, quando due studenti uccisero 13 persone prima di togliersi la vita. La pellicola segue il punto di vista di diversi personaggi, partendo dagli studenti popolari, passando per quelli più emarginati, quelli che vivono conflitti familiari, per arrivare anche ad insegnanti distratti, ciechi di fronte ai problemi dei loro alunni. È una giornata qualunque, solo apparentemente anonima, all’interno di un comune liceo americano. La tag-line del film recita inquietante: «Un giorno qualunque di scuola superiore. Peccato che non lo è.» Recensione Elephant (2003): un film su un disagio generazionale.

Elephant recensione: trama

La giornata di Elephant comincia come tante. Conosciamo Elias, studente di fotografia che gira con la sua reflex; Nathan, atleta popolare, con la sua fidanzata Carrie; vediamo tre compagne che parlano di cibo e corpo in modo ossessivo mentre sono a mensa. C’è Michelle, che timida e impacciata cerca di farsi invisibile nei corridoi. Gli adulti appaiono ai margini: gli insegnanti sono distratti, il preside attraversa in fretta l’atrio; la macchina da presa non ci si sofferma più di tanto. La loro presenza c’è, ma è sfocata.

Parallelamente, due studenti (Eric e Alex) preparano l’attacco in una casa qualunque. Dopo aver acquistato armi e munizioni con una facilità disarmante, preparano gli zaini, mappe dei corridoi dell’istituto, abiti mimetici. Nel mentre li vediamo in attimi di normalità vuota, come quando suonano il piano, navigano su internet, provano le loro armi in aperta campagna o si fanno una doccia assieme in un momento di intimità ambigua. Non si tratta di definire il loro orientamento, ma di restituire la confusione identitaria dell’adolescenza, la ricerca di un contatto umano che si intreccia con la pulsione di morte.

La narrazione procede molto lenta, a tratti è quasi ipnotica. I piani sequenza sono lunghi, fino all’irruzione improvvisa e devastante della violenza. Non c’è costruzione tradizionale della suspense, non ci sono veri e propri attimi di ansia e di tensione. La tragedia arriva con la stessa casualità con cui irrompe nella realtà.

Elephant recensione
John (John Robinson, di spalle) si imbatte nei due autori del massacro della Columbine High School mentre stanno entrando nella scuola, il 20 aprile 1999 – Fonte immagine: Wikipedia (Screenshot dal DVD originale del film Elephant (2003).

Elephant recensione: regia e scrittura

Lo stile di Van Sant è quasi documentaristico. La camera a mano dà l’impressione di seguire i personaggi come animali nella savana. La natura accompagna la giornata dei ragazzi come presenza indifferente. La calma naturale che viene mostrata attraverso le scene del campo sportivo, del cortile, attraverso le immagini iniziali delle nuvole, del cielo e della luce naturale, finisce per amplificare la brutalità che esploderà di lì a poco. La sceneggiatura è minima, essendoci pochissimi dialoghi, spesso improvvisati, battute vuote, apparentemente prive di senso, che restituiscono la quotidianità degli adolescenti. Questa scelta stilistica sottolinea l’anonimato e la fragilità degli individui in un sistema che li appiattisce.

Van Sant torna sugli stessi minuti e li riavvolge più volte a seconda del punto di vista del personaggio che segue, per mostrare come gli istanti di vita di diverse persone si sovrappongono prima della catastrofe, con l’intento di restituire sprazzi di normalità, di banalità, qualcosa in cui lo spettatore può riconoscersi. La strage è qualcosa che squarcia il velo della routine; qualcosa che può accadere nella vita di chiunque, anche della nostra che guardiamo.

Anche quando la violenza irrompe, la struttura temporale resta frammentata, visto che lo stesso momento continua ad essere mostrato da prospettive diverse, anche in luoghi diversi (la palestra, la mensa, la biblioteca), come se il film volesse insistere sul fatto che non esiste un solo punto di vista univoco per capire quello che sta succedendo.

Non ci sono spiegazioni univoche e infatti il film rifiuta qualsiasi chiave di lettura moralistica o didascalica. Eric e Alex, i ragazzi che compiono la strage, non vengono mai condannati. Non c’è un colpevole esterno. Il male arriva così, all’improvviso, quasi inspiegabile, come un cortocircuito non previsto all’interno della calma piatta della quotidianità.

Alex, uno dei due protagonisti di Elephant (2003). Fonte immagine: Amazon Prime

Elephant recensione: riferimenti alla strage di Columbine

Il 20 aprile 1999 due studenti della Columbine High School, Eric Harris e Dylan Klebold, entrarono armati nell’istituto e aprirono il fuoco contro compagni e insegnanti. Uccisero 13 persone e ne ferirono 24, prima di togliersi la vita in biblioteca. L’episodio sconvolse l’America e il mondo intero. Una scuola superiore diventava per la prima volta teatro di un massacro pianificato dai suoi stessi studenti.

La tragedia di Columbine rappresentò uno spartiacque nell’immaginario collettivo americano. I fatti storici non sono stati riprodotti fedelmente in Elephant, ma rielaborati con uno spirito più artistico ed universale. Eric e Alex ricordano chiaramente Eric Harris e Dylan Klebold, ma non ci sono biografie dettagliate, riferimenti precisi; nulla che possa far pensare che i protagonisti di Elephant siano esattamente loro.

Il film è più un simbolo di un disagio universale diffuso, di un vuoto esistenziale che in America si mescola all’accessibilità alle armi e alla cultura della violenza, rappresentando un cocktail micidiale, soprattutto per i più giovani. Il film evita volutamente il sensazionalismo, non essendoci musica drammatica o climax spettacolare. Tutto è mostrato con una patina di distacco, con freddezza, quasi con indifferenza, proprio per restituire il gelo che colpì l’America davanti a quel massacro.

Un’immagine in bianco e nero tratta dal video di sicurezza della Columbine High School durante la sparatoria, che mostra Eric Harris e Dylan Klebold. Fonte immagine: Wikipedia (dominio pubblico)

Significato del titolo: perché Elephant?

Il titolo richiama l’espressione “l’elefante nella stanza”, ovvero un problema enorme, evidente, che tutti vedono ma di cui nessuno vuole parlare. L’elefante nella stanza in questo caso è il bullismo, l’isolamento dei giovani, il facile accesso alle armi, il vuoto esistenziale, la distrazione degli adulti, la violenza che attraversa silente la società americana (ma non solo), che qui poi finisce per manifestarsi brutalmente e diventare qualcosa di tragico.

Perché vedere Elephant oggi

Il film, nonostante sia uscito più di vent’anni fa, conserva tutta la sua forza disturbante. Lo spettatore è obbligato a confrontarsi con problemi che sono sotto il naso di tutti, ma che spesso finiscono per essere ignorati perché troppo complessi, difficili da gestire; o peggio, disagi che troppo di frequente vengono minimizzati, relegati a faccende di secondo grado. La sua attualità è purtroppo ancora drammatica, vista la frequenza delle sparatorie ancora frequenti non solo nelle scuole americane, ma anche in tutte quelle del resto del mondo. Un fenomeno che è diventato parte di una tragica normalità.

Elephant recensione: dove vederlo

Oggi Elephant non è facilmente reperibile sulle piattaforme streaming italiane. Il modo più semplice per recuperarlo resta il noleggio o l’acquisto digitale su Amazon Prime Video e Apple TV/iTunes, dove è disponibile a pochi euro. In passato è stato incluso anche nel catalogo di HBO Max e compare nei database di Netflix, ma al momento non risulta accessibile in Italia. Per chi vuole (ri)scoprirlo legalmente, quindi, la soluzione migliore è affidarsi al video on demand.

Fonte immagine in evidenza: Amazon Prime

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