Film di Gabriele Salvatores: due titoli imperdibili

Film di Gabriele Salvatores: due titoli imperdibili

Gabriele Salvatores nasce a Napoli nel 1950 per poi trasferirsi a Milano con la famiglia dove cresce e studia. I suoi esordi come artista sono nel teatro d’avanguardia piuttosto che nel cinema. Fonda insieme a Maurizio Totti e Diego Abatantuono la casa di produzione Colorado Film.

Film di Gabriele Salvatores: qualche cenno sulle loro origini

Questo articolo si propone di descrivere due delle pellicole più conosciute di Salvatores: Mediterraneo del 1991, con il quale ottenne il premio Oscar come miglior film straniero e Puerto Escondido del 1992. Le due pellicole chiudono la cosiddetta “Tetralogia della Fuga” del regista, aspetto molto interessante della sua filmografia che ci occuperemo di analizzare. 

Mediterraneo, un film che rappresenta una generazione

Tra i film di Gabriele Salvatores è quello che vince il premio Oscar al Miglior film straniero, un David di Donatello per il miglior film, il montaggio e il suono, e un Nastro d’Argento per la regia. La pellicola risulta avere una trama molto semplice: ci troviamo nel 1941, durante la spedizione mal assortita dell’Italia fascista in Grecia. Una pattuglia di soldati viene mandata su un isolotto dell’Egeo per creare una base di osservazione; la squadra, composta da otto soldati, si ritroverà ben presto isolata dal conflitto, a causa di comunicazioni fallite con la base, e dal resto del mondo. Tuttavia, i soldati riusciranno a farsi accettare dagli abitanti del luogo e ad integrarsi nel loro sistema di vita scoprendo, tra le altre cose, nuove parti di sé.

La fuga: il tema centrale condiviso dai film di Gabriele Salvatores

Il tema della fuga è ricorrente nelle prime quattro opere di Salvatores, che si ispira proprio alla generazione a cui appartiene per sviluppare questo argomento. Per tutti i nati tra gli anni ‘50 e ‘60, appartenenti alla generazione boomer, infatti, gli anni Novanta rappresentano una cesura storica epocale: finisce la Guerra fredda, cade il muro di Berlino e tutti i trentenni e quarantenni dell’epoca, si trovano spaesati, sconvolti, senza la possibilità di poter seguire le orme dei propri padri. L’unico modo per sopravvivere risultava quello di scappare da una realtà troppo complessa da decifrare e da affrontare per una generazione cresciuta spesso in condizioni agiate. Caduti tutti gli ideali e gli idealismi, i partiti e le appartenenze politiche, molto sentite durante il quarantennio post seconda guerra mondiale, restava solo un immenso senso di vuoto e solitudine per individui abituati a schierarsi e ad appartenere ad una fazione o a quella opposta. In Mediterraneo il tema della fuga è onnipresente: tutti i soldati scappano da sé stessi, da quello che erano o, al contrario, scappano verso le vecchie certezze.

Puerto Escondido, l’ultimo capitolo della Tetralogia della Fuga

Anche in questo caso la trama del film non risulta essere molto complessa: un impiegato di banca, Mario Tozzi, interpretato da Diego Abatantuono, assiste ad un omicidio per mano di un poliziotto. Quest’ultimo, il commissario Viola, cerca di sbarazzarsi del testimone, uccidendolo. Tozzi, allora, scappa in Messico, dove si imbatte in una coppia di sfaccendati che vive alla giornata, interpretati da Claudio Bisio e Valeria Golino. Mario, allora, si troverà a vivere una vita lontanissima dalle sue abitudini e soprattutto a sopravvivere in condizioni difficili. Anche in questo caso, la fuga viene vista come unico modo per sopravvivere e scappare alle grinfie dei propri aguzzini, materiali e non. La fuga si rivela anche funzionale a scoprire la vera essenza del proprio essere, tant’è vero che anche il perfido commissario Viola, assassino in patria, sarà in grado di redimersi e riabilitarsi agli occhi dello spettatore, una volta arrivato anch’egli in Messico, sulle tracce dello stesso Tozzi.

Fonte Immagine: da Depositphotos by GIO_LE

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