Hirokazu Kore’eda (是枝 裕和 Koreeda Hirokazu) è un regista e sceneggiatore giapponese, vincitore di numerosi premi.
Centrali nel suo cinema sono il tema della famiglia, del lutto e della perdita, ma anche la memoria, l’infanzia e le difficoltà legate alla genitorialità. Il regista nipponico ha iniziato la sua carriera nel 1991 con il cinema documentario; nel 1995 ha realizzato il suo primo lungometraggio, Maborosi, che ha vinto il Premio Osella per la migliore sceneggiatura alla 52ª Mostra del Cinema di Venezia. Acclamato per la sua capacità di fondere nelle sue storie elementi di finzione e tecniche tipiche del cinema- documentario, nel 2013 ha vinto il Premio della giuria a Cannes per Father and Son e la Palma d’oro nel 2018 per Un affare di famiglia.
Scopriamo insieme dunque chi è il regista nipponico e quali sono i film di Hirokazu Kore’eda da vedere assolutamente!
Biografia
Nato a Tokyo il 6 giugno 1962, figlio di una famiglia di origine taiwanese da parte del padre, inizia la sua carriera come regista di documentari.
Il padre, che lavorava saltuariamente come operaio, si assentava spesso da casa, facendovi ritorno sotto i fumi dell’alcol e rincorso dai creditori per i suoi debiti di gioco; la madre, d’altra parte, cercava di restituire il denaro dovuto, affidandosi per mantenere la famiglia anche ai sussidi economici previsti dal governo. Il rapporto conflittuale con il padre diventa centrale nella sua opera cinematografica, così come le ristrettezze economiche vissute in famiglia, che si possono rintracciare nell’attenzione che Koree’da dedica alla povertà estrema dei suoi protagonisti. Il suo debutto come regista di lungometraggi avviene con Maborosi, film del 1995, con il quale inizia il suo percorso di regista acclamato a livello mondiale. Scopriamo insieme quali sono i film di Hirokazu Kore’eda da vedere per immergersi nel suo universo cinematografico!
Nessuno lo sa (2004)
È un film drammatico ispirato a un evento di cronaca realmente accaduto: nel 1998 quattro bambini vennero abbandonati in un appartamento nella periferia di Tokyo dalla loro madre per sei mesi, prima che qualcuno si accorgesse di loro. Il caso è noto come il “caso dei quattro bambini abbandonati di Sugamo” (Nishi-sugamo kodomo okizari jiken).
La madre nega l’accesso all’educazione ai bambini, già dalle prime scene ci accorgiamo che si assenta spesso da casa, vi fa ritorno solo la sera e i bambini sono costretti a badare da soli a loro stessi. Non possono uscire di casa, fatta eccezione per il fratello maggiore che si occupa della spesa e delle faccende domestiche. Dopo l’abbandono definitivo il fratello maggiore inizia ad occuparsi e prendersi cura degli altri fratelli. Seppure inizialmente riescano a cavarsela da soli, man mano che passano i giorni i soldi che la madre aveva lasciato loro diventano sempre meno. I bambini si ritrovano quindi a doversi arrangiare per sopravvivere, chiedendo aiuto al konbini locale per degli avanzi di cibo, lavandosi sotto la fontanella del parco perché non hanno più né luce né gas in casa.
I bambini sembrano essere invisibili e nessuno sa quello che stanno vivendo, nessuno sembra accorgersi di loro: i vicini fingono di non vedere, l’unico personaggio esterno che sa cosa succede e che entra a far parte della tragedia dei bambini è una ragazzina che frequenta la loro casa e gioca con loro, ma in ogni caso non avvisa i suoi genitori per chiedere aiuto.
I fratelli vengono ritratti dal regista nella loro vita quotidiana, nella loro capacità di arrangiarsi, giocare e improvvisare nonostante la situazione estremamente drammatica in cui si ritrovano. Nonostante l’abbandono e la vita precaria che si ritrovano a vivere, i fratelli non perdono la resilienza e la capacità di sognare tipica dell’infanzia.
Father and Son (2013)
Il secondo film di Hirokazu Kore’eda da vedere è Father and Son, del 2013. Il tema centrale è quello della genitorialità: narra la vicenda di due neonati scambiati in culla dopo il parto in ospedale e delle conseguenze che ne derivano. Le rispettive famiglie verranno a conoscenza di questa sostituzione a sei anni dalla nascita dei loro figli: dopo essersi interrogati sul da farsi, le due famiglie scelgono di riappropriarsi dei loro rispettivi figli biologici.
Le due famiglie protagoniste dell’opera sono estremamente differenti: le differenze riguardo l’educazione e al clima che si respira in famiglia sono insormontabili e mettono a disagio i bambini e i genitori stessi nel nuovo assetto familiare. Nonomiya Ryota è un architetto affermato e ha cresciuto Keita in un ambiente culturale ed economico elevato; il padre è severo ed esigente, ed è troppo assorbito dal suo lavoro e finisce per trascurare la moglie e il figlio. L’altra famiglia, composta dalla coppia Yukari e Yūdai Saiki, è un’umile famiglia che vive provincia, in una casa sobria, in cui si respira però un’aria serena, e in cui regna l’affetto e la comprensione.
Cosa sceglieranno di fare le due famiglie? Ma soprattuto, cos’è realmente una famiglia? É dettata da legami biologici o dai legami affettivi che si instaurano nel tempo?
La sceneggiatura di Father and Son è stata scritta decine di volte, indice della difficoltà di affrontare questo tema, indagato da Kore’eda con estrema delicatezza. Kore’eda esplora le implicazioni di sei anni di accudimento di un bambino e riflette sull’importanza della dimensione affettiva rispetto ai legami di sangue che determinano la nascita di una famiglia.
Un affare di famiglia (2018)
Terzo e ultimo film di Hirokazu Kore’eda da vedere, conosciuto in ambito internazionale come Shoplifters, racconta le vicende gruppo di persone senza legami di parentela che vivono insieme e costituiscono una famiglia non convenzionale, una famiglia anarchica. La famiglia Shibata vive in condizioni di estrema povertà, ai margini della società giapponese nella periferia di Tokyo, sopravvivendo grazie a lavori temporanei e sottopagati e piccoli furti nei supermercati. In un articolo su Film Criticism questo gruppo viene definito una famiglia non biologica o patriarcale, ma nomade e collettiva, un’ “autodefinizione anarchica di ciò che rende buona una famiglia.” Il titolo originale giapponese, Manbiki Kazoku, significa “una famiglia di ladri”: Le prime sequenze del film ritraggono “il ladro” mostrando Osamu e suo figlio adolescente Shota che rubano insieme generi alimentari. Successivamente, la telecamera li segue sulla via del ritorno dalla loro famiglia, dove avviene il furto più importante del film: Osamu ruba una bambina di cinque anni, di nome Juri, e la porta a casa per darle da mangiare. Osamu l’ha vista spesso in giro, povera e affamata, e sceglie di portarla con sé per aiutarla.
Kore-eda ha dichiarato di voler approfondire con questa sceneggiatura la questione già esplorata in Father and Son, ossia se una famiglia si fondi su legami di sangue o su altri elementi, come il tempo trascorso insieme dai membri che ne fanno parte. In Un affare di famiglia questo interrogativo viene posto all’interno di un contesto più ampio, perché il film, oltre ad occuparsi di una dinamica familiare, esplora anche il rapporto tra famiglia e società. Attraverso la metafora del furto, il film suggerisce sia l’effetto distruttivo di tale incarnazione anarchica contro l’ordine economico e politico, sia l’inevitabilità che una famiglia del genere non venga accettata dal mondo esterno.
Questi erano i 3 film di Hirokazu Koree’da da vedere per conoscere e apprezzare al meglio questo regista!
Fonte immagine: Wikipedia