Il pasto nudo: la realtà che si decompone | Recensione

Cosa succede quando la realtà si sgretola e lascia emergere visioni deformi, ossessioni e paure che abitano l’inconscio? Il pasto nudo (1991) di David Cronenberg mette lo spettatore dentro a questo smarrimento. Il film, ispirato al celebre romanzo di William S. Burroughs, reinventa il testo controverso dello scrittore americano come un’esperienza sensoriale, fatta di corpi che mutano, macchine che respirano e scritture che si trasformano in sostanze stupefacenti. La fedeltà in questo film non è tanto letteraria, ma riguarda piuttosto uno stato mentale: l’allucinazione che si fa verità e la decomposizione del reale come unico modo per raccontarlo. Il pasto nudo, recensione:

Il pasto nudo, trama

Bill Lee è un disinfestatore di scarafaggi, un uomo apparentemente ordinario che vive ai margini della società. La sua quotidianità viene però presto corrosa da una dipendenza singolare: le polveri insetticide che usa per lavoro diventano la sua droga, aprendo la porta a un mondo di visioni sempre più deliranti. Il desiderio e la paranoia si intrecciano nella sua mente: macchine da scrivere che si trasformano in insetti parlanti, complotti invisibili, creature che sembrano nascere dalla materia stessa dei suoi incubi.

Il punto di rottura arriva con un gesto irreparabile. In uno stato di alterazione, infatti, Bill uccide accidentalmente la moglie. Da quel momento la sua esistenza deraglia definitivamente e prende la forma di un viaggio verso l’Interzona, uno spazio enigmatico che non è solo geografico ma mentale, oltre che politico e simbolico. Un luogo dove nulla ha contorni definiti, dove la realtà è marcia e instabile; lì ogni cosa sembra corrotta dall’interno. Di seguito, il trailer del film in inglese:

Il pasto nudo, recensione: che genere è?

Cronenberg in Il pasto nudo costruisce un universo che sfugge a ogni etichetta, riuscendo a fondere noir, fantascienza e body horror in un composto senza soluzione di continuità, generando un linguaggio disturbante, ma allo stesso tempo, magnetico. Nulla è stabile e ciò che sembra quotidiano si deforma. I confini tra realtà e immaginazione collassano e lo spettatore si ritrova immerso in un flusso in cui sogno e veglia non sono più distinguibili. È un cinema che è capace di penetrare nella carne e nella mente allo stesso tempo, raccontando la fragilità della psiche e la contaminazione della materia.

A rafforzare questa visione contribuiscono la fotografia di Peter Suschitzky e le musiche di Howard Shore. Le immagini sono avvolte in toni cupi e terrosi ed evocano ambienti decadenti e claustrofobici, come se l’aria stessa fosse impregnata di malattia. La colonna sonora è intrisa di jazz e venature allucinate, ed accompagna la caduta libera del protagonista e dello spettatore in un mondo che non offre appigli. Tutto concorre quindi a creare un’estetica visiva e sonora che materializza l’incubo. Ciò che Burroughs aveva scritto come frammento interiore diventa immagine tangibile, un’inquietudine che si può vedere e ascoltare. Una resa visiva complicata già solo da pensare, figuriamoci da mettere in scena.

Il pasto nudo, recensione: droga, sessualità e scrittura

Al centro di Il pasto nudo c’è il triangolo inquieto tra droga, sessualità e scrittura. Il romanzo di Burroughs (figura centrale della Beat Generation accanto a Jack Kerouac e Allen Ginsberg) nasceva da una scrittura “a frammenti”, spesso sotto l’effetto di sostanze. Cronenberg rilegge questo fattore trasformando il processo creativo in un’esperienza tossica: scrivere diventa dipendenza, e la dipendenza diventa linguaggio. Le macchine da scrivere che mutano in insetti sono visioni deliranti, ma anche la materializzazione fisica della scrittura come corpo vivo, come un essere organico che a volte sa essere repellente perché mostra il lato oscuro dell’atto creativo.

Non tanto la bellezza del testo finito, il prodotto finale, ma la fatica sporca, compulsiva e autodistruttiva che lo genera. In più, Burroughs scriveva per far emergere ciò che normalmente resta nascosto, come omosessualità repressa, ossessioni, violenza e delirio. La scrittura diventa repellente perché costringe a guardare quello che normalmente si preferisce rimuovere. Se vista così, è un atto che disturba e mette a disagio, perché rivela ciò che è abietto. Lo scrivere qui è quindi inseparabile dal senso di colpa e dal bisogno di trasformare il dolore in parola. In questo senso Il pasto nudo (il romanzo così come il film) suggerisce che l’arte nasce da una ferita insanabile, dalla perdita e da un eccesso che logora chi scrive.

Il pasto nudo recensione
Il pasto nudo, scena del film. Fonte immagine: Amazon Prime Video

Il pasto nudo, recensione: desiderio, annientamento e politica

C’è poi il rapporto tra desiderio e annientamento. La sessualità nel film è sempre ambigua ed è intrecciata alla morte e alla colpa. Questo dipende da due fattori. Innanzitutto, il romanzo e quindi il film nascono da una vicenda tragica: Burroughs, in preda ad alcol e droghe, uccise accidentalmente la moglie. Da quel trauma la sua scrittura diventa inseparabile dall’idea che il desiderio conduca anche all’annientamento. La sessualità non è mai pura, ma è sempre (anche se non esplicitamente) legata a colpa e perdita.

L’erotismo non appare come forza liberatoria ma come impulso oscuro che lega i corpi in una spirale autodistruttiva. In secondo luogo, Cronenberg ha sempre raccontato il corpo come luogo di trasformazione e minaccia (basti pensare a Videodrome o La mosca). Qui mostra come l’erotismo deformi i corpi; come il piacere e l’orrore possano nascere dallo stesso gesto, diventando due facce della stessa pulsione.

C’è infine la dimensione politica. L’Interzona è innanzitutto un teatro psichico: tutto ciò che Bill non può affrontare nella vita reale (senso di colpa, desiderio, paranoia, dipendenza) prende forma lì. Ma è anche la metafora di un mondo corrotto in cui i sistemi di potere esercitano il controllo persino sull’immaginazione. È un territorio senza regole chiare in cui manipolazione, sorveglianza e censura plasmano tutto, avvinghiano e schiavizzano i corpi e i linguaggi. Qui Cronenberg dialoga con Burroughs mostrando che la vera distopia non è in un punto indefinito del futuro; non ha a che vedere con alieni o tecnologie super avanzate. La distopia è il presente che si insinua dentro di noi e ci rende complici del sistema che ci opprime.

Perché vederlo oggi?

Il film di Cronenberg risuona con una forza quasi profetica in un’epoca in cui la realtà è costantemente filtrata da narrazioni manipolate, anche attraverso internet. La sua rappresentazione di un mondo in cui i confini tra vero e falso, sogno e veglia, reale e immaginario collassano, sembra anticipare il nostro presente dominato da fake news e realtà virtuali. Guardare Il pasto nudo oggi significa lasciarsi mettere a disagio, accettare che lo sguardo non sia mai al sicuro. È un atto di resistenza, volendo. Ci costringe a esplorare la parte oscura della mente, la decomposizione del reale, la fragilità del linguaggio che usiamo per raccontarlo. È un film che parla di dipendenze e di ossessioni, ma anche del potere dei sistemi di controllo che colonizzano l’immaginazione: tutti temi che, a distanza di decenni, restano drammaticamente attuali.

Dove vederlo?

In Italia il film è disponibile in DVD e Blu-Ray, pubblicati da label specializzate nel cinema d’autore. Può comparire periodicamente in streaming su piattaforme come MUBI o su servizi on demand dedicati al catalogo di David Cronenberg. Non è raro che venga riproposto anche in rassegne cinematografiche o retrospettive a lui dedicate, dove l’esperienza sul grande schermo restituisce tutta la potenza visionaria delle sue immagini.

Fonte immagine in evidenza: Amazon Prime Video

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