Il Joker di Todd Philips ovvero un nuovo modo di fare cinecomics

Il tanto atteso e tanto contestato vincitore della biennale di Venezia è giunto anche da noi. Joker di Todd Philips ricostruisce le origini di uno dei nemici storici di Batman scollegandole dall’universo cinematografico della DC, in favore di un dramma urbano dalle molteplici interpretazioni. 

Joker, la trama

Arthur Flenck (Joaquin Phoenix) vive in uno squallido e degradato appartamento nei bassifondi di Gotham City assieme all’anziana madre Penny (Francis Conroy). L’uomo lavora come clown per strada, venendo continuamente umiliato da colleghi e teppisti. A peggiorare le cose si aggiunge il fatto che Arthur soffre di una patologia neurologica che lo spinge a ridere incessantemente.

Arthur coltiva un sogno: diventare uno stand up comedian ed esibirsi nel programma televisivo condotto dal suo idolo Murray Franklin (Robert de Niro). Tuttavia la situazione di degrado civile in cui versa la città condizionerà Arthur il quale, già psicologicamente provato e stanco di subire, intraprenderà una lenta discesa negli inferi.

Il Joker di Todd Philips e Joaquin Phoenix. Una storia di disagio e di emarginazione

L’assegnazione a Joker del leone d’oro ha indubbiamente sorpreso tutti, così come ha sorpreso l’idea di Todd Philips di girare un film lontano dai confini sicuri del genere commedia in cui si è specializzato (da Borat alla fortunata trilogia di Una notte da leoni). Il regista newyorkese decide di abbracciare un progetto ambizioso, che è quello di riscrivere le origini di una delle nemesi più conosciute dell’uomo pipistrello attraverso una storia a sé e scollegata dall’universo cinematografico della DC.

La vicenda che si sviluppa in Joker si muove infatti nel contesto di una Gotham City più realistica che fumettistica, immersa nell’anno 1981 (un’operazione revival che traspare non soltanto da scenografie, costumi e canzoni d’epoca, ma anche dal vecchio logo della Warner Bros che introduce i titoli di testa) e in cui la diseguaglianza sociale tra il ceto benestante e quello povero è più che mai radicata. Arthur Flenck si muove in questo contesto fatto di cumuli di spazzatura per le strade, sedute dallo psicoterapeuta e un’umanità squallida e moralmente discutibile.

Tutto ciò induce ad analizzare quelle che sembrano essere le due tematiche principali della pellicola: il disagio e l’ipocrisia umana. La metamorfosi che conduce l’inetto Arthur Flenck a trasformarsi in Joker è principalmente causata dal tessuto sociale in cui è costretto a vivere. Umiliato e deriso tanto dai suoi simili quanto dalla società “sana” e piena di valori, Arthur si isola in un mondo tutto suo in cui sente di poter contare qualcosa e che lo porta a convincersi di essere destinato alla grandezza.

Del Joker “classico”, ovvero delle tante versioni immortalate da fumetti, cartoni e soprattutto film rimane ben poco. Allo scherzoso ed eccentrico gangster dal volto cicatrizzato di Jack Nicholson e all’anarchico e mitomane terrorista di Heath Ledger, la cui maschera ricorda un’antica e rabbiosa pittura da guerra va a sostituirsi Joaquin Phoenix. Un everyman snello fino all’osso, nevrotico e frustrato tanto inquietante quanto attraente. L’attore riesce benissimo nell’impresa di caratterizzare un personaggio che giunge a comprendere come quella società in cui vorrebbe contare qualcosa sia la prima a non volerne sapere di lui e che non può trovare riscatto se non tramite la violenza e la distruzione. Phoenix arricchisce questa figura tramite le proprie movenze, in particolare nelle scene di danza che sono divenute oramai iconiche, e nella mimica facciale capace di rendere le risate di dolore a cui si abbandona una maschera impressa sul proprio volto.

Quindi, più che a interpreti diversi dello stesso personaggio, il Joker di Phoenix guarda a due protagonisti di due pellicole dirette da Martin Scorsese (inizialmente produttore del film e che negli ultimi giorni ha scatenato un vespaio per le sue dichiarazioni riguardo i cinecomics). Si trattano di Travis Bickle e Robert Pupkin, rispettivamente personaggi principali di Taxi Driver e di Re per una notte. Con loro Arthur Fleck condivide il senso di disagio e la necessità di far capire al mondo che egli esiste, anche con gesti sensazionali ed estremamente folli. Ma ne condivide anche la nevrosi, l’insoddisfazione, la nausea verso una società squallida e su cui la speranza di un miglioramento è fuori discussione. Non a caso Joker è ambientato negli anni ’80 proprio come Re per una notte, il cui influsso si sente nella pellicola grazie anche alla presenza di Robert de Niro. Nel film di Scorsese era sua la parte dell’aspirante comico ossessionato dal proprio mito televisivo, mentre nella pellicola di Philips è lui a ricoprire il ruolo di “re della commedia” a cui Arthur ambisce.

Una nuova idea di cinecomic

Non crediamo di esagerare dicendo che Joker è un film destinato a restare impresso nella storia. Non soltanto perché è stato il primo film dedicato a un personaggio dei fumetti a vincere un concorso d’arte cinematografica, ma anche perché ha sovvertito le regole di quello stesso genere.

Come si è già scritto all’inizio, il film sembra non avere nulla a che fare con tutti i film precedenti legati al mondo della DC comics. Se vi aspettate di vedere il personaggio nato dalla matita di Bob Kane divenire quello che è a causa di un bagno all’interno di una vasca di liquame chimico, resterete delusi. Joker è piuttosto un pugno in faccia alla falsità del vivere civile, che si traduce in una ribellione degli emarginati (anzi, dei clowns) della società. Così lo storico nemico del crociato di Gotham diventa un’emblema, un figlio partorito dalla società malata che lo rinnega e lo schernisce.

In realtà il bello di Joker sta nel fatto che sia aperto a un ventaglio di interpretazioni. Chi resterà in sala fino alla fine avrà una propria teoria a riguardo che spazierà di tema in tema (psicologia, denuncia sociale, alienazione, lotta al capitalismo..), ma di certo non si lascerà nemmeno scappare l’occasione per trovare i riferimenti al mondo di Batman che sono comunque presenti e che (per chi conosce la storia a fumetti del personaggio) sono ben contestualizzati, così come gli easter egg relativi ai due Joker interpretati da Nicholson e Ledger. Arricchita dalle musiche della violoncellista Hildur Guðnadóttir che regalano momenti di intenso lirismo, soprattutto nella scena impressa anche sulla locandina in cui Arthur/Joker danza sulla scalinata, dalla fotografia di Lawrence Sher fatta di colori cupi e con la luce ridotta al minimo necessario e dalla macchina da presa che perennemente cattura le smorfie isteriche e il corpo da freak di Phoenix, la pellicola di Todd Philips è un’esperienza particolare capace di attirare anche chi non apprezza particolarmente i cinecomic.

Ciro Gianluigi Barbato

Fonte immagine copertina: https://www.imdb.com/title/tt7286456/mediaviewer/rm3353122305

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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