Sex Education 3: la terza parte chiude un ciclo

Dal 17 settembre su Netflix torna la terza stagione della serie tv Sex Education. In concomitanza con l’inizio della scuola, Netflix confeziona la terza parte di un prodotto ben fatto che parla di scuola ed educazione sessuale. Due argomenti che un po’ sgomitano in un contesto in cui si tende spesso a demonizzare il sesso e a macinare sessuofobia, anziché parlare apertamente, esorcizzando paure imprecisate. Allora ecco che a episodi si tenta di sfatare tabù, di entrare nelle vite di adolescenti che a gradi si scoprono adulti e che sperimentano la sessualità con attenzione ma pure con maggiore disinvoltura.
Netflix fa un lavoro enorme: arrampicarsi su una cultura un pochino snob ed elusiva su certi temi e poi da dentro smontarla, avviandosi a instaurare dialoghi costruttivi su dicotomie non più tanto contenibili: sesso e relazioni, sesso e dinamiche familiari, sesso e individuo. Non si tratta di forzature ma di sviluppi necessari. Per questo alla base della serie si parla di persone prima di fare educazione sessuale. Le persone che si trascinano dietro le loro storie, i piccoli scossoni emotivi, quelli grandi, sedimentate dai rapporti con gli altri, che crescono, si dilatano dentro le maglie di questi rapporti. Che poi siano anche sessuali e vengano riprodotti sullo schermo, dice tanto sulla semplicità di alcune cose, naturali e sacrosante che invece a volte vengono dileguate con superficialità.
Complice una buona sceneggiatura e un cast selezionato (Gillian Anderson scalza Margaret Thatcher per diventare madre e psicoterapeuta), una fotografia accuratissima e una colonna sonora sempre sul pezzo, la terza parte si muove bene nello spazio circoscritto della scuola inglese, ancora fomentata da vecchie prese ideologiche ostacolanti ma già, grazie a un gruppo nutrito di studenti, incline a ribadire quanto detto nelle prime due stagioni. Il sesso come parte integrante della vita di ciascuno e non come vezzo scandalizzante. Come tramite per esplorarsi dentro un orizzonte comunicativo solido, in cui ci si apre a un corpo “dialogante”, primo a tradirsi e primo a spiegarsi, che pretende più ascolto di tutto il resto. 
Questa, forse, ultima stagione chiude un ciclo, sviluppando le dinamiche relazionali in tutte le plausibili sfumature e lasciando che altre si dipanino tacite. A volte peccando di fretta, si smorzano i toni di alcune scene, anche fondamentali (che sembrano inserite all’ultimo) e la storia principale si sacrifica per un contorno che si mangia pezzi sostanziali di pellicola. Sex Education però funziona comunque perché racconta la vita, come viene affrontata, somatizzata, involuta e come il sesso, se educato, diventi strumento per dare la forma, a una cosa che la forma fatica a trovarla.

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A proposito di Rita Salomone

Scrivo cose e parlo tanto. Mi piace Forrest Gump (anche se sono nata quattro anni dopo il film) e nel tempo libero studio filologia a Napoli. Bella storia la vita come scatola di cioccolatini.

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