Sherlock (2010) | Recensione

Sherlock (2010) | Recensione

Tra le tante serie crime uscite negli ultimi decenni, Sherlock è una di quelle che, anche con il passare del tempo, è in grado di lasciare il segno fin dal primo episodio. Andata in onda per la prima volta nel 2010, questa produzione britannica porta il celebre detective, creato da Arthur Conan Doyle, direttamente nella Londra moderna: ambientazioni, strumenti, linguaggio e casi sono tutti rivisitati per essere letti in una nuova era. In questa versione, Sherlock analizza crimini in tempo reale, si muove in una città viva e caotica e, nonostante il salto temporale di oltre un secolo, tutto funziona in modo naturale.

La produzione di Sherlock

La serie è stata prodotta dalla Hartswood Films: casa di produzione britannica indipendente che da anni lavora a stretto contatto con la BBC e che è riuscita a far guadagnare grande notorietà alla serie anche fuori dal Regno Unito. La Hartswood Films, infatti, si è sempre distinta per l’attenzione ai dettagli e per la capacità di dare spazio alla creatività degli autori e in questo caso ha saputo sostenere una serie ambiziosa, con episodi lunghi, complessi e curati nei minimi particolari. Lavorando in sinergia con la BBC One, ha permesso a Sherlock di raggiungere un pubblico molto vasto, mantenendo appunto la sua forte identità autoriale.

Molti sicuramente conosceranno già la storia del detective più famoso di sempre, eppure questa serie è del tutto rivisitata: ogni episodio si concentra su un caso diverso, molto spesso legato ad altre varie vicende. Le indagini sono solo una parte del racconto, c’è infatti anche un’evoluzione nei rapporti, nelle emozioni e nel modo in cui i protagonisti affrontano ciò che accade a loro. Ogni stagione ha solo tre episodi, ma sono lunghi abbastanza da permettere di scendere nei dettagli: i casi sono sempre molto articolati, pieni di indizi nascosti, svolte inaspettate e omaggi ai veri casi originali.

Stile e cast

La Londra mostrata in Sherlock è quasi tangibile, ogni episodio è girato con cura e con uno stile visivo moderno che colpisce lo spettatore: ne sono degli esempi le didascalie che appaiono sullo schermo per mostrare i pensieri del protagonista. Nulla è lasciato al caso. Si percepisce la volontà di creare qualcosa che non sia solo bello da vedere ma anche da ascoltare e soprattutto seguire con attenzione. La scrittura è sicuramente uno dei punti principali: i casi non sono semplici gialli ma vere e proprie sfide logiche, dove il pubblico viene quasi messo alla prova. I dialoghi sono brillanti, veloci, a volte ironici, e la serie riesce a rispettare la tradizione dei racconti originali inserendo anche riferimenti per i fan più attenti, senza però diventare mai troppo pesante. Fin dal primo episodio si nota che Sherlock non vuole (e non riesce) ad essere una serie come le altre ma ha un ritmo e uno stile ben preciso. Il risultato è una serie che, anche a distanza di anni, resta attuale e godibile, che dimostra come, quando si affianca a una buona idea un team capace, anche una storia già molto conosciuta può diventare di nuovo affascinante.

Gran parte del merito va, naturalmente, anche agli attori: Benedict Cumberbatch e Martin Freeman. Il primo interpreta uno Sherlock dallo stile freddo, calcolatore, quasi distante, ma al tempo stesso capace di affascinare chiunque lo ascolti. La sua intelligenza è evidente, ma sono i suoi difetti a renderlo ancora più interessante: spesso è scontroso e difficile da sopportare, ma proprio per questo, quando riesce a mostrare il suo lato umano, tutto sembra pesare il doppio. Al suo fianco, John Watson, ex medico militare che porta con sé cicatrici profonde, offre un perfetto equilibrio: semplice, empatico, ma mai banale o di troppo. Il rapporto tra i due è uno dei punti centrali della serie e la chimica tra gli attori rende ogni dialogo credibile e coinvolgente. Non è una semplice amicizia, è qualcosa di più complesso fatto di fiducia ma anche di incomprensioni.

Uno studio in rosa

Chi è indeciso se iniziare Sherlock o meno, dovrebbe sicuramente dare un’occhiata al primo episodio: Uno studio in rosa. Non solo perché ne segna l’inizio, ma perché mostra subito di che pasta è fatta la serie. Inizia in modo classico: con un mistero da risolvere, ma nel giro di pochi minuti si cambia completamente tono. Non ci si trova davanti a un caso come tanti, ma a qualcosa di più originale e intrigante: ci sono morti che la polizia liquida come suicidi, eppure qualcosa non quadra. Ed è qui che entra in scena Sherlock Holmes, accompagnato da John Watson, e la prima volta che appare in scena, è subito chiaro che non è un detective qualunque: ha un modo di pensare velocissimo, parla senza filtri e sembra sempre un passo avanti a tutti, anche troppo. L’episodio ha un ritmo ben gestito e le scene investigative si alternano a momenti più leggeri, in modo che anche chi non dovesse conoscere le classiche storie di Sherlock Holmes possa seguire tutto senza problemi. Il bello di quest’episodio è che funziona anche da solo, infatti si potrebbe quasi guardare come un film indipendente, ma proprio per come finisce è difficile non voler sapere cosa succede dopo. Il mistero si risolve, ma restano tante domande aperte, soprattutto su chi è davvero Sherlock e cosa lo spinge a fare quello che fa. Uno studio in rosa cattura sicuramente l’attenzione: una buona storia, scritta bene, recitata ancora meglio, con due protagonisti che funzionano fin dal primo scambio di battute.

Conclusioni

A partire dalla terza stagione, si percepisce un cambio di direzione e l’attenzione sembra spostarsi sempre di più sui legami personali, sulle storie private, e un po’ meno sui casi da risolvere. I misteri diventano più contorti, a tratti quasi secondari, e l’equilibrio tra il thriller e il lato emotivo inizia forse a vacillare. Nonostante ciò, Sherlock rimane comunque una delle serie più originali e ben costruite degli ultimi anni e ciò è anche grazie a Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, che hanno dato vita a una coppia televisiva difficile da dimenticare. La regia, il ritmo, le musiche, l’estetica generale, tutto contribuisce a creare un prodotto curato, elegante, capace di restare impresso. Anche quando la trama sembra perdersi leggermente, ci sono scene e dialoghi che lasciano comunque il segno. Sherlock quindi, come ogni opera ambiziosa, ha i suoi difetti ma offre soprattutto momenti di grande televisione, cercando di spingersi oltre il semplice crime style.

Fonte immagine di copertina: Amazon Prime Video

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