The Crown 6: l’ultima stagione della serie | Recensione

The Crown 6: l'ultima stagione della serie | Recensione

Nel corso degli anni, in tanti sono intervenuti, esprimendo la propria visione delle cose, sulle molteplici vicende che hanno riguardato la royal family: paparazzi, giornalisti, impiegati di Buckingham Palaceamici direttamente interessati, e forse, primi fra tutti, proprio gli stessi membri – basti pensare all’esplosiva intervista che Lady D rilasciò alla BBC nel 1995 in cui apostrofava il suo matrimonio come «troppo affollato» o la biografia del principe Harry, Spare. Il minore, pubblicata nel gennaio del 2023 ed edita in Italia da Mondadori, giusto per citare le deflagrazioni mediatiche più icastiche. La sesta stagione di The Crown, disponibile su Netflix da novembre, sembra in qualche modo voler chiudere figurativamente il cerchio, apporre la sua firma in calce ad un racconto lungo generazioni intere – e ancora attualmente in essere – che ha sempre visto nascere e ramificare molteplici versioni, spesso molto contrastanti tra di loro, di uno stesso, identico evento.

Come del resto ha sempre fatto, anche nelle stagioni precedenti, la sesta stagione di The Crown arriva in punta di piedi ad insegnarci che, per la stessa storia in cui sono coinvolte più parti, esistono sempre due campane da ascoltare. E così, il racconto ciondola da un’apoteosi sentimentale ad un’altra, investendo tutti i soggetti: protagonista dei primi episodi è l’abulia sentimentale di Lady D, costantemente in lotta contro sé stessa e desiderosa di essere finalmente scorta e valorizzata, contrapposta al silente ed amarissimo tormento di Carlo – da tutti ritenuto il responsabile della fine del suo matrimonio – attorniato da brutali e mefitici sensi di colpa; da un lato, ancora, il brulicante desiderio di poter coronare, finalmente, il suo amore con Camilla Parker Bowles con il matrimonio, dall’altro l’angosciante tormento della regina Elisabetta che a suo figlio sarebbero toccate le stesse identiche sorti d’esilio di suo zio Edoardo VIII.

La scelta di suddividere The Crown in due tranche – i primi quattro episodi della sesta stagione gravitano attorno agli ultimi mesi di vita che Lady D trascorse in compagnia di Dodi Al-Fayed prima della prematura scomparsa di entrambi nell’agosto del ’97, mentre gli ultimi sei riportano in auge alcuni tra gli eventi più significativi dei primi anni 2000 – arriva come un’intenzionalità studiata, che marca inesorabilmente uno spartiacque narrativo, un ante quem indefettibile, dopo il quale nulla potrà più tornare ad essere com’era stato in precedenza. L’imprevedibilità esistenziale segna, per la famiglia reale, l’inizio del tempo della rabbia, della confusione, dello scoramento. Da ciò ne consegue una notevole variazione nel registro stilistico narrativo: i primi episodi della sesta stagione di The Crown sono arricchiti da dialoghi copiosi, dettagliati, visibilmente profondi – e di certo non esenti dall’influsso di una scrittura romanzata -, ma mai strabordanti di contenuti, che lasciano persino allo spettatore un margine abbastanza ampio di libera interpretazione, quasi a voler dimostrare che ci sarà sempre qualcosa che non potrà essere raccontato, spiegato, integrato. 

Gli ultimi sei, invece, tornano a plasmare la canonica narrazione antologica di The Crown: la sesta stagione tratta di eventi didascalici e puntuali, microcosmi episodici privi di serialità che si consumano rapidamente, aprendo e chiudendo il cerchio nei soli 50 minuti di visione – la morte di Margaret, il matrimonio civile tra Camilla e Carlo, i primi incontri al tempo dell’università tra William e Kate – che identificano il proprio punto di forza in un compendio espositivo fatto di scambi comunicativi esigui e rapidi, completamente svincolati da quella verbosità che aveva marchiato a fuoco i primi quattro episodi.  Molti, a seguito della visione integrale della sesta stagione di The Crown, hanno avanzato timide rimostranze in merito ad alcuni presunti scivoloni della produzione, come ad esempio il fatto che non sia stato raccontato niente di più di ciò che già si sapeva in merito alla scomparsa di Lady D, che si sia scelto deliberatamente di glissare su alcuni eventi tra i più molesti che hanno riguardato la corona – primo fra tutti il matrimonio tra Harry e Megan e lo scandalo mediatico ad esso conseguito -, o ancora che si sia puntato troppo l’occhio di bue su figure meno pivotali, eclissando quella della regina.

Non bisogna, tuttavia, dimenticare il fine ultimo di uno dei migliori prodotti che la piattaforma streaming statunitense abbia mai partorito: la volontà di The Crown e della sua sesta stagione, che mai, nel corso di questi sei anni, ha assurto boriosamente la forma di documentario o, ancora peggio, di Corte d’assise, non è quella di identificare a chi compete la ragione e a chi il torto delle vicende – nel suo spazio narrativo non esistono i binomi del vincitore/vinto, della vittima/carnefice, e la sceneggiatura è esente da qualsiasi forma di favoritismi -.

Dalla prima alla sesta stagione di The Crown, si dimostra che anche le vite delle personalità più famose del panorama istituzionale sanno intingersi di una banale normalità. Anche la regina Elisabetta ride come tutti, si addolora, si inorgoglisce, è preoccupata per le persone che ama, è capace di tornare sui suoi passi, di fare rinunce, di scendere a compromessi, di cambiare idea. Il fardello di un onere come la reggenza, il compito di simboleggiare la corona e trasformarsi nel collante non solo della sua famiglia, ma di una nazione intera – in uno degli ultimi colloqui con il Primo Ministro Tony Blair dirà: «L’incantesimo che continuiamo a lanciare da secoli è l’immutabilità. La tradizione è la nostra forza. Con il rispetto dei nostri antenati e la salvaguardia di generazioni di saggezza ed esperienze fatte. La modernità non è l’unica risposta, a volte anche la tradizione lo è.» – non le ha mai impedito di vivere al contempo anche le cose più piccole e meno impegnative, che appartengono alla vita di tutti i giorni. Avevamo bisogno di sapere che la regina Elisabetta è stata umana come tutti noi. E questo, la sesta stagione di The Crown, ce lo ha permesso.

Foto immagine articolo La sesta stagione di The Crown: l’ultima della serie | Recensione: Vanity Fair

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