Vista per voi: Emily in Paris, nuova serie su Netflix

Vista per voi: Emily in Paris, nuova serie su Netflix

È uscita il 2 ottobre su Netflix la nuova serie Emily in Paris, spensierata commedia americana in dieci puntate diretta da Darren Star, creatore di Sex and the City.

«Pardon her French»: è il motto scelto per accompagnare la locandina delle avventure di Emily, interpretata da Lily Collins, una giovane ragazza americana che si ritrova a dover partire per la meravigliosa capitale francese per cogliere al volo un’irripetibile offerta di lavoro. La direttrice dell’azienda di marketing per cui Emily lavora, infatti, le concede il posto di un anno di esperienza a Parigi, inizialmente a lei destinato, all’interno della piccola società francese “Savoir”, appena acquisita dal gruppo americano che la donna presiede.

Dalla sua vita ordinata e squisitamente americana di ragazza sportiva «ovvia, priva di mistero, che pensa di poter aprire tutte le porte» e che corre otto chilometri in quarantuno minuti per le vie di Chicago, già nel corso della prima puntata Emily si ritrova a fare le valigie ed atterrare nella Ville Lumière, invero restituita in posa da cartolina, al massimo del suo splendore. Sin dall’arrivo della protagonista nella capitale francese, lo spettatore più attento potrebbe però avvertire “puzza di cliché”: addirittura l’agente immobiliare che le mostra l’appartamento al quinto piano senza ascensore in cui Emily abiterà – nell’esclusivissima Place de l’Estrapade, nel 5. arrondissement – finisce per corteggiarla, il che rappresenta, a nostro modo di vedere, uno dei leitmotiv (limitanti ed irrealistici) dell’intera serie, ovvero il piacere a tutti ed il doverlo per forza fare, pena l’essere esclusi dai cosiddetti “ambienti che contano”.

Emily in Paris: recensione

«Sono qui per aumentare la visibilità o per piacere a tutti?» è, del resto, un interrogativo che la stessa Emily pone al suo team, pardon: alla sua équipe, nei primi giorni in cui viene vessata dai colleghi di lavoro, inorriditi dal fatto (per loro inconcepibile) che la ragazza non parli il francese e che anzi pretenda di voler americanizzare la loro francesissima società. Ma Emily resta sul serio la ragazza americana alla conquista dell’Europa: esperta di marketing e social media come la maggior parte dei teenager statunitensi, Emily vive su Instagram. Non è un’esagerazione se pensiamo al fatto che il titolo stesso della serie – Emily in Paris – diventa il nickname del suo nuovo account, che passa dall’avere una cinquantina di follower ad arrivare a contarne più di ventimila.

Come? Con un – alquanto poco probabile – coup de theatre: relegata dalla direttrice dell’agenzia ad occuparsi di pubblicizzare un prodotto sulla secchezza vaginale, Emily lo fa nel meno classico dei modi. Con un post in cui fotografa il prodotto e si pone una domanda grammatico-sociale: perché il termine “vagina”, in francese, è di genere maschile e non femminile. La questione incontra – di nuovo: addirittura! – l’attenzione di Carla Bruni e Brigitte Macron, che ritwitta il post della ragazza e la consacra ad un futuro di influencer, il che la renderà ancora più invisa ai già invidiosi colleghi di lavoro.

Nel frattempo Emily ha almeno trovato un’amica: Mindy Chen, ragazza cinese proveniente da una ricca famiglia che ha però preferito lasciare in Asia e che ora lavora come babysitter per bimbi viziati biondi e francesi, senza aver mai abbandonato la sua passione per il canto. E, soprattutto, ha incontrato un vicino di casa mozzafiato: Daniel, interpretato dall’interessante attore Lucas Bravo, perfetto nel ruolo dell’affascinante giovane chef di un bistrot très à la page.

Chi cerca una serie profonda e riflessiva, non la troverà di certo in Emily in Paris. Dato il creatore della serie, Darren Star – padre di Beverly Hills 90210, Melrose Place, Younger e Sex and the city, non ci si poteva aspettare un prodotto meno americano, che tra l’altro strizza non poco l’occhio a Il diavolo veste Prada e Midnight in Paris. Eppure quella “puzza di cliché” percepita all’inizio continua ad esser presente in tutte le puntate. Non è un caso che, in Francia, l’indice di gradimento della serie non ha raggiunto nemmeno il 3%: sono infatti proprio i francesi ad esser ritratti in maniera pressapochista, superficiale, ai limiti del solito luogo comune. Roba che il sensibilissimo naso francese non potrebbe mai tollerare.

Chi sogna, invece, una vita romantica all’ombra scintillante della Tour Eiffel, troverà in Emily in Paris ciò che cerca: atmosfere magiche, inquadrature strabilianti, ristoranti stellati, passeggiate lungo la Senna o per le vie di Montmartre con una crêpe o un pain au chocolat. Per non parlare del guardaroba di Emily, in tutto e per tutto da capogiro. Di tematiche interessanti affrontate ce ne sono, ma sempre solo appena accennate, per dare maggiore risalto al ruolo del visibile e all’importanza del marketing in un mondo che – adieu alla grandeur francese -, privo del sapersi vendere, non saprebbe vivere altrimenti che in una rivista patinata o in un account di tendenza su Instagram.

Una vita che in ultima istanza non è che una magra e noiosa esistenza, perennemente sotto i riflettori della sola e spiccatamente illusoria apparenza.

Immagine in evidenza: netflix.com

A proposito di Giulia Longo

Napolide di Napoli, Laurea in Filosofia "Federico II", PhD al "Søren Kierkegaard Research Centre" di Copenaghen. Traduttrice ed interprete danese/italiano. Amo scrivere e pensare (soprattutto in riva al mare); le mie passioni sono il cinema, l'arte e la filosofia. Abito tra Napoli e Copenaghen. Spazio dalla mafia alla poesia.

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