Wicked, la recensione del film di Jon M. Chu con Cynthia Erivo e Ariana Grande
Dorothy (Judy Garland) iniziava il suo viaggio fantastico dopo aver ucciso la malvagia Strega dell’Ovest. In mancanza degli affetti a cui era particolarmente legata, aveva cercato di ritornare a casa, accanto al suo cagnolino Totò e un gruppo di amici curiosi conosciuti sulla via dorata per la città di Smeraldo. Solo il mago di Oz poteva aiutarla. Questo è il sunto alla base di uno dei cult più conosciuti nella storia del cinema: Il mago di Oz (1939) di Victor Fleming, lo stesso regista di Via col vento (1939). Il mago di Oz è un film che ha lasciato il segno. Eppure, non si risparmia a dipingere la Strega verde come la perfida che tenta in tutti i modi di ostacolare Dorothy nel suo più grande desiderio. Wicked fa retromarcia. Perché non partire da dove tutto è iniziato?
Wicked, la storia prima de Il mago di Oz
C’è un cappello appuntito sulla strada ad apertura di Wicked. È il cappello di Elphaba (Cynthia Erivo), la Strega dell’Ovest sconfitta dalla piccola Dorothy. Il regno dei mastichini festeggia la liberazione dopo la conferma della morte da parte della Strega del Sud, Glinda (Ariana Grande). Aleggia nell’aria la domanda che esige una risposta: Elphaba era davvero così cattiva? Era il colore della pelle differente a renderla tanto terribile?
È qui che Jon M. Chu cavalca l’onda del pregiudizio e mette in scena la diversità dell’altro, per apprezzarla, abbracciarla, farla propria per l’uguaglianza di genere e combattere contro gli sguardi indiscreti mano nella mano nel nome dell’amicizia, quella vera e sincera. Qual è il modo per far trapelare un messaggio rivolto a tutti? Comunicare attraverso la musica, parti cantate che raggiungono il culmine degli acuti. Già, perché Wicked è l’adattamento cinematografico dell’omonimo musical di Broadway di Winnie Holzman e Stephen Schwartz.
Certo è che il film del regista di Sognando a New York – In the Heights (2021) ‒ la prima parte ‒ non si ferma solo a raccontare la storia di come Elphaba sia diventata la temibile Strega dell’Ovest. Wicked va oltre la sottile linea del racconto. È una sfida tra il bene e il male, un prequel impreziosito da parole musicate in stile pop che illuminano su quanto sia importante giocare la carta del musical per un film di questo tipo. Essenziale per il successo che merita Wicked: Parte 1, nonostante le 2 ore e 40 che a tratti si fanno sentire. Per esplodere nel finale che lascia con il fiato sospeso per l’estetica della costruzione della scena, interrotta in attesa della seconda parte.
Wicked è una rivolta vigorosa ma dai toni delicati al tempo stesso. Colpisce tanto per gli effetti speciali curati nei minimi dettagli, per la storia di profonda emancipazione repressa della paladina della giustizia Elphaba, con la vocazione per il bene oltre ogni giudizio e ‒ mano sul cuore, diciamolo pure ‒ per le interpretazioni di Cynthia Erivo e Ariana Grande che regalano due performance sentite, toccanti, simpatiche in qualche scena nel loro modo di rapportarsi dentro il contesto universitario, simile per certi versi al frastuono di Hogwarts di Harry Potter. D’altronde, sempre di stregoneria e di magia si parla.
C’è un’emozione, comunque, che più di tutte emerge in Wicked: l’empatia, questa sensazione forte che stringe la determinazione di Elphaba e non la lascia fuggire. Un’empatia votata alla ribellione che speriamo di ri-provare nel prossimo capitolo, su nel cielo a bordo di una scopa per annientare l’ignoranza e l’abuso di potere.
VOTO: 8.5/10
Martina Corvaia
Immagine: Universal Pictures International Italy