Lotto: tra fascino, miseria e superstizione

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Quanti di voi sono convinti che il gioco del lotto sia nato a Napoli?

Beh, segnatevi questa data, 1576, e questo luogo, Genova.

Due volte l’anno, venivano estratti tra centoventi nobili genovesi cinque nominativi che subentravano ad altrettanti membri del Senato e del Consiglio dei Procuratori per i quali era scaduto il mandato elettorale. Il sorteggio veniva seguito dal popolo, che iniziò a scommettere sui nomi che sarebbero stati estratti. Il gioco del lotto arriverà a Napoli in un secondo momento, con l’Unità d’Italia, e in questa città troverà terreno fertile per attecchire come non mai.

Chest’è.

Napoli e il gioco del lotto

Ebbene, il popolo napoletano rifà ogni settimana il suo grande sogno di felicità, vive per sei giorni in una speranza crescente, invadente, che si allarga, si allarga, esce dai confini della vita reale: per sei giorni, il popolo napoletano sogna il suo grande sogno, dove sono tutte le cose di cui è privato, una casa pulita, dell’aria salubre e fresca, un bel raggio di sole caldo per terra, un letto bianco e alto, un comò lucido, i maccheroni e la carne ogni giorno, e il litro di vino, e la culla pel bimbo e la biancheria per la moglie e il cappello nuovo per il marito. Tutte queste cose che la vita reale non gli può dare, che non gli darà mai, esso le ha, nella sua immaginazione, dalla domenica al sabato seguente; e ne parla e ne è sicuro, e i progetti si sviluppano, diventano quasi una realtà, e per essi marito e moglie litigano o si abbracciano. Alle quattro del pomeriggio, nel sabato, la delusione è profonda, la desolazione non ha limiti: ma alla domenica mattina, la fantasia si rialza, rinfrancata, il sogno settimanale ricomincia. Il lotto, il lotto è il largo sogno, che consola la fantasia napoletana: è l’idea fissa di quei cervelli infuocati; è la grande visione felice che appaga la gente oppressa; è la vasta allucinazione che si prende le anime”.

Queste le parole di Matilde Serao ne “Il Ventre di Napoli” del 1884.

L’instancabile scrittrice, sofferente di un “mal di Napoli” mai guarito che si portava addosso come una sorta di cicatrice, ci lascia in eredità anche pagine meravigliose che descrivono un’estrazione del lotto ne “Il paese della Cuccagna” del 1891. Queste sono ancora impregnate di sorprendente puntualità.

Il fascino della scommessa e il brivido provocato dalla sfida di prevedere lo svolgimento degli eventi sono le radici dell’attrazione per il gioco.

Il carattere fatalista e creativo del popolo napoletano riesce a creare persino una filosofia dei numeri, attribuendo loro un significato profondo. Per il partenopeo verace, qualsiasi avvenimento può regalare numeri vincenti.

La catastrofe, soprattutto, è il luogo in cui da sempre s’incontrano scienza e superstizione. Non sorprende, dunque, che anche per il terremoto del 23 novembre 1980 in Irpinia e Basilicata vari dati sono stati riferiti a una dimensione paranormale o insolita. C’è chi afferma di aver previsto l’evento, chi sostiene che a esso si accompagnarono segni straordinari. L’estrazione del lotto del giorno prima del terremoto ricavava sulla ruota di Napoli come primo estratto il 18, che è un numero cabalisticamente significativo, associato a San Gennaro, al sangue, alla Grazia e alla Rosacroce. La somma di tutti i numeri estratti dava un numero che, secondo la lettura esoterica, si risolveva nel 3, perfetto e di buon auspicio. L’ora della prima scossa, se si sommano le cifre, dà anche il numero 18 (1+9+3+5=18). Corrispondenze curiose, che molti consideravano corrispondenze segrete.

Il lotto si può considerare come il pioniere del gioco ed è un gran pezzo di storia.

Già ai tempi dell’antica Roma, l’imperatore Claudio trasformò il suo carro in una sala da gioco, circondandosi di esperti che ebbero il compito di redigere un vero e proprio trattato contenente consigli e aggiornamenti utili al gioco dei dadi.

Nella Roma imperiale c’erano gli anfiteatri al posto degli odierni stadi, si scommetteva sia sulle corse dei cavalli che sui gladiatori. I centri di scommessa erano le terme. Ma le prime forme di scommessa risalgono al 3000 a. C. , quando si scommetteva sui numeri e lo si faceva con i dadi. A cominciare fu la Cina.

Anche nel Medioevo si scommetteva, nonostante la censura, e lo si faceva di nascosto. Nacquero vere e proprie case di scommessa, gestite dai sovrani, riservate per lo più alle classi sociali abbienti. In questo periodo, vennero importate le carte da gioco dall’Oriente alla Germania, anche se secondo alcuni ritrovamenti il gioco delle carte pare sia stato in voga già durante l’Impero Romano, a partire dal 450 d. C.

All’epoca, le carte si chiamavano “aes signatum” e si trattava di lingotti di minerali, rame o bronzo che pesavano un chilo e mezzo ciascuna su cui erano ritratte figure come il sole, un’aquila, una spada, un bastone o una coppa.

Durante l’Umanesimo nacquero le prime lotterie, in Italia e in Olanda, e si assistette al primo boom dei giochi da tavolo. Nel XVIII secolo fece capolino il gioco della roulette e si costruirono i primi casinò. Presto ci si appassionò alle scommesse sull’ippica.

Alla fine dell’Ottocento si ebbe l’avvento del totalizzatore, dove la quota non è fissa, ma varia in base al numero di puntate su una data giocata.

Nel 1900 prese piede il gioco delle macchinette, inventato in America.

Il Totocalcio nacque in Italia nell’immediato dopoguerra, invece le scommesse sportive arrivarono un po’più tardi, seguite dai centri scommesse, veri e propri luoghi di aggregazione. Poi è stata la volta del gioco online, che diede luogo nel 2008 al “GamblingState”, un contratto di stato tra gli stati federali individuali con lo scopo di combattere e prevenire la dipendenza da gioco e proteggere i giocatori e i giovani. Una grande novità è rappresentata, in un secondo momento, dalle scommesse live, dove gli scommettitori poterono iniziare a fare delle puntate durante la diretta degli eventi.

Oggi, le scommesse formano un connubio sempre più solido con il calcio. In Italia, la parola “bolletta” è una parola che fa sussultare il cuore ai più, e non perché lasci pensare a gas, luce e acqua da pagare, altrochè. La “bolletta”, per l’italiano medio, è un moderno, romanticissimo e tenerissimo modo di sognare. Perché andare a faticare se si può giocare una “bolletta” sperando di vincere un bel po’di quattrini comodamente seduti nel proprio salotto di casa? Bisogna solo azzeccare risultato esatto, risultato parziale, risultato finale, mossa vincente, numero di gol, doppie, triple e calcolare e riversare le proprie pulsioni maniacali in ore-e-ore-e ore sul web per cercare quote e pronostici, pur avendo le possibilità economiche di un pesce rosso che viene preso in considerazione solo perché il suo colore fa pendant con la cucina? Ah? Perché mai andare direttamente a lavorare?

Chest’è.

 

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A proposito di Chiara D'Auria

Nata e cresciuta in Basilicata, si laurea in Filologia Moderna presso l’Università Federico II di Napoli. Scrive per abbattere barriere e scoperchiare un universo sottopelle abitato da anime e microcosmi contrastanti: dal borgo lucano scavato nella roccia di una montagna avvolta nel silenzio alle viuzze partenopee strette e caotiche, dove s'intravede il mare. Scrive per respirare a pieni polmoni.

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