CriXion: intervista all’autore Antonio Perrone

criXion

Il romanzo breve criXion (Robin Edizioni, 2024, già recensito per Eroica Fenice) di Antonio Perrone è un libriccino composito, la cui profondità si misura attraverso uno scavo archetipico nell’animus del suo protagonista, Luciano Criscuolo, che brama l’emancipazione da una ‘maledizione’ familiare che diventa connotativa, per dirla con una forma ecclesiastica, di pensieri, parole, opere ed omissioni. Un protagonista-sia concesso- che appare agli occhi del lettore come ‘diafano’: egli, infatti, è caratterizzato quale uno xenos (in ambigua accezione omerica).

Senza rischiare di svelare troppo della vicenda di criXion, tale diafania pare definirsi proprio attraverso gli atteggiamenti atavici da cui Luciano tenta di affrancarsi, ma dei quali, come si vedrà leggendo le risposte di Perrone, egli è irrimediabilmente intriso: un personaggio, Luciano, che, come si diceva, brama l’emancipazione da tale ‘colpa’ avita, ma dalla quale traspaiono, appunto in diafania, le radici germogliate dal seme di tale ‘colpa’.

Altro elemento interessante di criXion è il concetto del tempo, un tempo dilatato e compresso, che scorre e sia riavvolge contribuendo alla struttura labirintica della storia; gli unici punti, apparentemente fermi, sono dati dai colloqui di Luciano col suo analista, Alessandro Barilli, che tenta di risolvere il garbuglio venutosi a creare nella mente del protagonista. Identificative a tale proposito, le parole del dottore, che sembrano definire, oltre che gli andirivieni del protagonista, anche l’intera impostazione narrativa di criXion: «Il punto è questo uaglio’. Tu non sai quello che dici, o meglio: lo racconti troppo a caso. A volte corri, a volte ti fermi, altre volte ancora sorvoli su fatti che sono importanti, e che dovresti raccontare con più calma e un poco più di attenzione» (p. 103).

Diversi sono i profondi spunti di riflessione che criXion offre, come, per esempio, la questione del plurilinguismo, presente tra le pagine de romanzo, o il rapporto tra italiano e dialetto, le cui inserzioni, nell’intento dell’autore, sono da ricondurre alla volontà di restituire il dinamismo dell’oralità. Questioni su cui si è soffermato lo stesso autore nell’autoesegesi del testo trasparente dalle risposte che ci accingiamo a leggere.

criXion: intervista all’autore

Salve, Antonio, com’è nata e si è evoluta l’idea di criXion?

L’idea di criXion nasce da tre precedenti tentativi di romanzo. Il primo era una sorta di racconto lungo con episodi narrati in prima persona, da cui ho ripreso sia la struttura delle micro-cornici (la storia per frammenti) sia la cornice portante, quella dei dialoghi con il terapeuta, il piano che attraversa il tempo in maniera lineare e attorno al quale si costruisce la trama. Il secondo romanzo, di circa otto anni fa, era ambientato in una scuola della provincia di Napoli e da questo criXion ha tratto il ridisegnamento del paesaggio (basato sullo squallore delle zone periferiche di Napoli), che ho successivamente innestato sul centro città. Infine, c’è stato un tentativo di romanzo breve, ambientato in una casa, da cui ho trasposto in criXion l’orrore dello spazio domestico. Anche l’ibridazione dei generi e delle lingue (su cui torno dopo) è dovuta a questo amalgama precedente e allo stesso modo si giustifica la struttura circolare e ritornante, su cui intervengo in chiusura dell’intervista. 

criXion si configura come un breve romanzo in cui il razionale reale e la realtà onirica si intrecciano fino a integrarsi, in maniera indistinguibile, sullo sfondo di una città mistica quale è Napoli. In tal senso, come e quanto la ‘città indistricabile’ di Napoli interviene sul personaggio di Luciano?

La Napoli di criXion è la Napoli della camorra (anche se ibridata con quella del mito), quindi interviene e incide su Luciano in maniera negativa, e credo sia abbastanza evidente. Il protagonista, che tra l’altro è nominato attraverso un toponimo (quello del Pallonetto di Santa Lucia), ha introiettato le logiche camorristiche della sua famiglia e dei luoghi in cui ha vissuto. In parte, ma in maniera comunque considerevole, Luciano assimila dalla città un modo di vivere (e di vedere) le cose, dettato da sopraffazione e violenza, fino poi a rimanere lui stesso vittima di questi comportamenti. 

I personaggi di criXion, a mio avviso, sono presentati in una maniera caratteristica tipica della dimensione onirica: essi sembrano non essere persone in carne ed ossa, bensì voci od ombre avulse dalla dimensione materiale. Cosa puoi dire a riguardo?

Innanzitutto posso dire di essere felice di questo risultato, perché i personaggi sono modulati caratterialmente su persone che hanno fatto parte (o fanno parte) della mia vita. Tuttavia immagino che l’assenza di dettagli somatici, come la descrizione di parti del corpo che è concessa solo a Luciano e a sua sorella, giochi un ruolo importante in questo processo di trasformazione onirica. In secondo luogo, ci tengo a sottolineare come alcuni personaggi siano esclusivamente (!) onirici, sebbene io non faccia riferimento a quelli che appaiono volutamente nei sogni, ma mi riferisca piuttosto all’onirismo latente di alcune sezioni del libro. Di più però non aggiungo, perché questa è una chiave di interpretazione molto importante di determinati capitoli.

La Prima parte del romanzo si apre con queste parole: «Era nato Criscuolo, anche se non ne portava il cognome, e come nelle antiche leggende avrebbe presto scontato le colpe dei propri antenati» (p. 13); una sentenza, peraltro iterata (p. 25) e sotterranea lungo l’intera vicenda, che pare richiamarsi al concetto di hybris precipuo del sentimento tragico di matrice mitologica. In che modo trasferisci tale archetipo nell’‘odissea onirica’ di Luciano Criscuolo, protagonista di criXion?

L’idea che avevo in mente era propriamente quella dell’Ate della tragedia greca, un’entità di natura sovraumana (divina?) nata per punire le azioni malevole degli uomini. L’idea di un’ancestrale condanna della famiglia Criscuolo, su cui è imperniata la narrazione, si basa dunque su questo: è risaputo per tradizione culturale (anche biblica e non solo classica) che alle maledizioni non si sfugga e mi piaceva percorrere una mia personalissima declinazione di tale impossibilità di sottrarsi al destino. La mitologia, come dicevo anche prima, e nello specifico la matrice antropologica che è sottesa a ogni mito, è tra i principali materiali narrativi dell’opera: basti anche pensare che nella ‘odissea onirica’ di Luciano, come tu la definisci, il protagonista ricolloca (ovviamente con forte ironia) anche il punto di accesso alle porte dell’inferno. 

Nonostante l’idiosincrasia di Luciano nei confronti della propria famiglia d’origine dovuta alla «maledizione» dei Criscuolo (p. 36), pare emergere un profondo legame tra il protagonista e la sorella Maria. Tenendo presente, a tal proposito, anche il tuo personale ringraziamento tributato «a tua sorella, che ha prestato il nome al protagonista» (p. 7), mi viene da chiederti: quanto di te e del tuo vissuto ha caratterizzato un personaggio come Luciano?

La maledizione è un legame, la maledizione è il legame di una famiglia. Tutti i Criscuolo sono legati dall’odio reciproco e dalla condanna che pende sulle loro teste. Questo è tuttavia il piano della fictio. Il rapporto di Luciano con la sorella non è infatti esemplato sul mio con Lucia, e i due sono vicini soltanto dal nome, che anticipavo richiama l’ambientazione della storia. Non nego poi che il protagonista provi affetto per determinate figure familiari, la madre, zio Toni e certo anche la sorella Maria, ma questa è un’altra cosa ed è molto complessa. Il rapporto che Luciano vive ad esempio con le figure femminili è ambiguo e travagliato, poiché deturpato da un grave trauma infantile; per comprenderlo, l’ipotetico lettore di questa intervista è costretto a leggersi prima il libro. 

Nell’epigrafe di criXion, il riferimento a Sanguineti anticipa il cammino labirintico di Luciano nel fondo, direbbe Jung, della sua ‘ombra’. Al di là di ciò, ma partendo da Sanguineti, quali autori definiresti come tuoi modelli principali?

È per me molto difficile rispondere a questa domanda e, quando mi è stata posta dal vivo alla presentazione del libro, ho preferito glissare raccontando una storia. La forma scritta di questa intervista mi costringe però in parte a rispondere e lo farò solo per quella specifica parte: 1) Sanguineti, che tu citi, è un modello per l’utilizzo della lingua, lo strumento con cui distorcere la realtà: l’intento era infatti non solo far percepire una determinata visione della città (distorta rispetto ad alcune rappresentazioni stereotipate, ma assolutamente veritiera), esso era soprattutto non permettere al lettore di comprendere appieno la separazione tra i momenti onirici e quelli extra-onirici. Non so se ci sono riuscito. 2) Un altro autore di riferimento è Viviani, che mi ha insegnato un utilizzo non canonico della lingua materna (il napoletano) e mi ha permesso di riportare sulla pagina un napoletano che, sebbene ortograficamente impeccabile (chiunque mi legga perdonerà l’arroganza), è esclusivamente tratto dall’oralità. 

Sono evidenti, lungo le pagine di criXion, accenti di plurilinguismo che vedono coesistere italiano, napoletano, latino, greco, francese e inglese, e sembrano corrispondere a determinate stratificazioni dell’animo di Luciano. Cosa ti ha spinto a questo accostamento?

Come dicevo in parte per la prima domanda, il plurilinguismo è derivato soprattutto dall’operazione di accorpamento di precedenti lavori, tuttavia è stato necessario adeguare quelle strutture a una storia nuova, di cui avevo ben chiari l’inizio e la fine. In primo luogo, dunque, c’era in me l’esigenza di mescolare italiano e dialetto: dare cioè una forte istanza di oralità al racconto attraverso le due lingue di Napoli. In secondo luogo, come dici, mi è sembrato interessante applicare i diversi registri linguistici, e ovviamente le diverse lingue, a sentimenti precisi del protagonista («Ma po’ che ce azzecca stu fatto ca quanne parle napulitane cagnasse carattere?», p. 102). Luciano è un personaggio emotivamente complesso, soprattutto in negativo, e l’utilizzo di più lingue risponde anche alla possibilità di fornire al lettore il fitto groviglio di pensieri della sua psiche. Lo stesso meccanismo si applica anche al piano macrostrutturale, alla possibilità di differenziare i momenti descrittivi a quelli dialogici (differenziare e certo anche confondere: alcune frasi, ad es. quelle in francese, non credo si capisca subito da chi vengano dette; probabilmente dal narratore, che però non avrebbe motivo di non parlare in italiano; probabilmente da Luciano, quando è fuori di sé, con un forte effetto di straniamento per il lettore).

La dimensione onirica, per tramite della citazione del brano tratto dal De rerum natura di Lucrezio inerente alla superstizione (pp. 39-40), pare, inizialmente, in qualche modo configurarsi nella mente di Luciano come, appunto, una ‘superstizione’; tuttavia tale dimensione interna, subcosciente, si fa cosciente; l’irrazionale trova spazio nel razionale, che non si dimostra più tale (anzi, forse non lo è mai stato). Quanto hanno contato le lezioni della psicoanalisi nella stesura del romanzo?

Molto poco. Per onestà sono costretto a dire che sì, ho letto Freud, Jung, Lacan e altrettanto che sì, conosco i meccanismi di funzionamento di un trauma perché li ho studiati. Tuttavia potrei applicare lo stesso discorso alla costruzione di un romanzo plurilingue: ho studiato (prima ho nominato specifici autori di riferimento); o ancora al ridisegnamento di una parte della geografia napoletana: ho studiato (ho anche disegnato delle mappe, che per fortuna non ho inserito nel libro). Insomma: non sono un grande fan della psicoanalisi come strumento di interpretazione della letteratura. 

Un’altra istanza su cui vale la pena soffermarsi è quella temporale: in criXion il tempo scorre senza esistere, si dilata e si comprime culminando in una ‘coazione a ripetere’ e, pertanto, andando a definire con maggiore forza l’architettura labirintica del testo che, nell’Epilogo chiude e al contempo riapre la storia. Cosa puoi dire a riguardo?

Mi piace la Ringkomposition. Mi piace perché è la forma narrativa più antica della letteratura, e ho già chiarito il mio interesse per il racconto mitico, nonché per la sfera dell’oralità su cui questo meccanismo ritornante è basato. L’ossessione sul tempo è in effetti l’altro tema portante di criXion, ma è in generale una struttura (quella del tempo ciclico) che rincorro da molto, cercando di attraversarla in maniera sempre diversa (pensa che il libro precedente, di poesia, è costruito sulla medesima architettura narrativa). In parte, credo sia ovvio, dipende anche da vicende personali, dalla lettura di Sant’Agostino ad esempio (presente insieme a Seneca nella camera di Luciano), o da fattori contingenti, come il fatto di portare un orologio che si imposta ogni giorno su 15 minuti in anticipo, o ancora dai film che guardo. Mi piacciono molto i prodotti artistici che destrutturano la funzione tempo, e mi è capitato, ad esempio, di vedere di recente Perfect blue di Satoshi Kon, trovandolo illuminante. Probabilmente se lo avessi visto prima criXion non sarebbe stato scritto così.

Puoi dirci qualcosa a proposito dei tuoi progetti futuri?

Non ci sono, se non di saggistica

Grazie, Antonio, per questa intervista.

Fonte immagine in evidenza: casa editrice Robin Edizioni

A proposito di Salvatore Di Marzo

Salvatore Di Marzo, laureato con lode alla Federico II di Napoli, è docente di Lettere presso la scuola secondaria. Ha collaborato con la rivista on-line Grado zero (2015-2016) ed è stato redattore presso Teatro.it (2016-2018). Coautore, insieme con Roberta Attanasio, di due sillogi poetiche ("Euritmie", 2015; "I mirti ai lauri sparsi", 2017), alcune poesie sono pubblicate su siti e riviste, tradotte in bielorusso, ucraino e russo. Ha pubblicato saggi e recensioni letterarie presso riviste accademiche e alcuni interventi in cataloghi di mostre. Per Eroica Fenice scrive di arte, di musica, di eventi e riflessioni di vario genere.

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