CriXion di Antonio Perrone | Recensione

crixion di antonio perrone

criXion di Antonio Perrone: introduzione (il carattere della mescolanza)

«Era nato Criscuolo» scrive come prima cosa Antonio Perrone del suo Luciano di criXion, aggiungendo quasi immediatamente il seguito in cui sancisce «e come nelle antiche leggende avrebbe presto scontato le colpe dei suoi antenati». Luciano è a tutti gli effetti un nevrotico, un compulsivo, un ossessivo che ci conduce in ogni capitolo a un punto irrisolto e a un dubbio amletico sulla nostra e sulla sua posizione: sono e siamo in un sogno o nella realtà?                                                                                                         

Eppure, se ci si permette una riflessione, il DOC (che sta per “disturbo ossessivo compulsivo”) crea una specie di metaverso in cui il pensiero è reale e la realtà è pensiero e la convergenza non è agli occhi della nevrosi tanto leggibile, tanto decifrabile. Nella scrittura — in questa scrittura soprattutto — la dimensione onirica si sovrappone a quella reale al punto da creare uno sconfinamento, una smarginatura e un compenetrarsi tale che viene a crearsi per necessità un circuito di richiesta: dove mi trovo?                                                                                                                                                     

Lo scrittore pone così il suo protagonista (il cui nome è un ibrido linguistico tratto dal “lessico famigliare” di Antonio Perrone stesso — Luciano proviene da Lucia, sua sorella; Criscuolo è il cognome della madre: è bella la fusione tra il corpo dello scrittore e il corpo del libro, ed è questo il momento in cui si perdono i contorni e i confini netti, i contenuti si mescolano, la metonimia e la sineddoche sono cose vere) all’interno di quello scenario un po’ greco, un po’ cristiano, un po’ folcloristico della maledizione che diventa, in fin dei conti, sempre persecuzione. Luciano agita il dettato della mimica narrativa ed esiste all’interno di un complesso geografico e linguistico che ci piace definire “dedalico” in onore di quel Dedalo che creò il labirinto della storia di Minosse e Teseo con la sostanziale differenza che però, stavolta, non sarà un filo di tela a tirarci fuori ma quello lanoso, nodoso e impigliato del gomitolo “di pensieri” chiuso nella mente di Luciano.

La geografia di criXion: i luoghi

Chi nasce a Napoli ed è di Napoli non può fare a meno di trasportare la città, la sua arzigogolata composizione e la sua metamorfosi dentro le proprie scritture: così, la respirazione reiterata di Antonio Perrone, come atto naturale di esistenza biologica nella sua vita napoletana, diventa la matrice del suo romanzo. Ne diventa l’anima, l’antefatto e la cosa in sé.                                                                                                         

Il legame interno, atavico, parentale (perché è materno e paterno insieme) con il piccolo luogo della storia e quello più grande in cui il luogo della storia è riposto, è esposto non soltanto nelle intersezioni linguistiche in dialetto napoletano (che nella lingua dell’occhio sempre ripete a voce ciò che scientificamente solo legge), ma anche in qualcosa di segreto che aleggia nelle righe dello scritto, che vivifica un immaginario suggestivo di vicoli e lenzuola, di palazzi e zingare. La percezione geografica che si riscontra nel testo attraverso le localizzazione tra i vicoletti turbinanti di Napoli, le scale e le discese, i palazzi spezzati dalle finestre o i posti a forma di vele dalle lenzuola appese, a noi sembra immagine riflessa dell’avviluppato pensiero inquieto di Luciano, sicché ogni singolo elemento del racconto aggiunge spasimo e pathos al racconto stesso. Il dettato creato dall’esecuzione in prosa del pensiero compulsivo e della nevrosi ci smarrisce nei vicoli di Napoli al centro di un gomitolo di lana che è la mente di Luciano: il suo scorrimento è, nell’intero tempo della lettura, il tempo in cui viviamo.

La lingua di criXion di Antonio Perrone: il carattere

Dunque, criXion di Antonio Perrone  è un libro inusuale, interiore, interno, ventrale, scritto non solo nella lingua del padre, della madre e del figlio, non solo nell’italiano appreso duramente gli anni di studio, non solo nel napoletano confidente e confidenziale, ma anche nella lingua del DOC, nella lingua del pensiero ossessivo, nella lingua piena di imperativi, passati e futuri al modo indicativo, e poco avvezza al presente.             

Ma la suggestione non si esaurisce nel complotto costruito dall’autore tra immagini e parole ripetitive, perché di fatto noi siamo nella lettura spettatori della nascita di una nuova lingua, la lingua del DOC. Antonio Perrone “si diverte”, infatti, in questa sperimentazione narrativa, a ricorrere a diversi registri linguistici al punto che in certi momenti il libro diventa inaccessibile a chi non è figlio di un certo background culturale: verte all’inglese, dirotta sul latino, scende nelle catacombe del greco, risorge nell’inglese. L’autore non lo fa per vizio, per sfoggio e sfarzo di cultura. In realtà, quell’apparente confusione linguistica è, e non potrebbe essere altrimenti, la lingua del DOC. Dunque, non solo Luciano è il protagonista della sua vicenda ma, finiti nel suo quadro, siamo sommersi dalla necessità di inseguirlo e di confonderci  con lui fino a sfinirci, fino a dire con la lingua muta degli occhi quello che lui dice, fino a sentire con la nostra personale voce interiore quello che lui pensa.                                                        Ed è così che si rivela un destino: ogni parola diventa un verbo, il verbo imperativo e categorico della compulsione.

I simboli di criXion di Antonio Perrone: i significati

Il testo è  idratato dalle pluralità dei movimenti curvi e riversi dell’unico flusso linguistico attraverso i dedalici schemi di una sintassi iper-attiva. Il moto est-ovest-nord-sud-est del pensiero e dell’azione di Luciano è la sua vita nel romanzo e di conseguenza il romanzo stesso. Per noi — quasi in maniera ineffabile —, è il metodo riflesso di trasportare non l’immagine (come nelle visioni letterarie di García Marquez), non la luce (come nei dipinti di Caravaggio), e nemmeno il candore (come in certe musiche di Morricone), ma il non-detto, il sovra-pensato, il sovraffollamento di pensieri e la reiterazione con intraprendenza e coraggio.
criXion è il carosello della giostra dei cavallini sormontata da un uomo che gestisce con l’avambraccio e il braccio la musica sovra-eccitata dei pensieri. Inoltre, è il simbolo dell’obbedienza del padrone al servo-pensiero, è “l’imperativo categorico assoluto”: ne è la beffa, lo sfarzo.

Nel Dedalo di Creta, a Teseo capitò di ritrovare la strada e se stesso grazie a un filo così come nella fiaba delle molliche di pane, ricominciando dal punto in cui la storia è iniziata e, al principio del viaggio, si arriva mutati. Ma il viaggio di Luciano è un’indagine a ritroso dove il segna-passi è fatto dalle gocce e dalle pastiglie di tavor e anafranil. Questo nevrotico è poco uniforme a quelli della sua “specie” che nel corso del Novecento si differenziavano per le loro sfumature malinconiche, per le loro suggestioni urbane. Luciano, per certi versi, è uno sconosciuto, eppure la sua verità è così rilevabile nella dose di parole e intere frasi, interi stralci che Perrone ci ripete, o nella dovizia dei particolari che circondano la vita di questo povero diavolo nato nel sangue dei Criscuolo. Un’urgenza letteraria che è costata una certa gestazione umana per raggiungere infine la mimetica della nevrosi, la verbalizzazione dell’ossessione, la rappresentazione del metaverso sospeso tra il sogno e la realtà, tra il futuro e il passato in cui “oggi” è un tempo quasi indeterminato tramite tre registri linguistici e dunque, “tre cuori”.                                   

Se l’ossessivo di criXion di Antonio Perrone è a tutti gli effetti un sognatore, e Luciano è un sognatore che maneggia il latino, il napoletano, la sintassi dei vasci manifesta infine la pura verità: che il DOC è un cerchio, perché si conclude laddove ricomincia. Per cui: va’ Luciano, ricomincia daccapo, ricomincia da dove è cominciato, inizia dall’inizio

Conclusioni e pronostici nel criXion di Antonio Perrone

Inavvertitamente ci è parso di capire che criXion di Antonio Perrone non è uguale a nessuna cosa mai letta, e siamo certi di trovarci di fronte a un individuo letterario che ha peccato di stravaganza e forse anche di non-esitazione. Ci è parso di doverci accorgere che questa creaturina in inchiostro e carta non è solo un organismo in celluloide ma è embrione di un tempo in cui “le questioni mentali” torneranno sulle scene letterarie: in posa elegante, raffinata, educata alla bellezza della lingua. Non conosciamo però il futuro di criXion: ne conosciamo l’elaborazione, il lavoro, la composizione finalizzata alla nostra lettura. Sappiamo inevitabilmente però che qui è accaduto che uno scrittore giovane ha manifestato l’ambizione di trascrivere un malessere mimetizzandolo al punto da farlo diventare sintassi e lingua nella scrittura, e queste gesta e questo gesto meritano dal pubblico senz’altro un plauso, senz’altro un’attenzione verso l’evoluzione e i futuri parti della scrittura di Antonio Perrone.

Fonte immagine in evidenza dell’articolo sulla recensione di criXion di Antonio Perrone: Robin Edizioni

A proposito di Arianna Orlando

Classe 1995, diplomata presso il Liceo Classico di Ischia, attualmente studente presso la Facoltà di Lettere all’Università di Napoli Federico II, coltiva da sempre l'interesse per la scrittura e coniuga alla curiosità verso gli aspetti più eterogenei della cultura umana contemporanea, un profondissimo e intenso amore verso l’antichità. Collabora con una testata giornalistica locale, è coinvolta in attività e progetti culturali a favore della valorizzazione del territorio e coordina con altri le attività social-mediatiche delle pagine di una Pro Loco ischitana.

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