Fuoco al Cielo, un romanzo di Viola Di Grado

Fuoco al Cielo, un romanzo di Viola Di Grado

Fuoco al cielo è il nuovo romanzo della giovane scrittrice, classe ’87, Viola Di Grado, edito da La nave di Teseo.

Un romanzo freddo e tiepido allo stesso tempo, raccolta di luoghi agghiaccianti e quasi dispersi, cornici inafferrabili quelli in “fuoco al cielo” raccontati con la delicatezza che contraddistingue la scrittrice e con un meticoloso lavoro di scrittura e linguaggio.

Catapultati in una periferia della Siberia, ai confini di questo paese troviamo un villaggio Musljumovo, una “città segreta” luogo di catastrofi nucleari durante i periodi ’50 e ’60.

I protagonisti, volti indissolubili e forti, sono Vladimir un infermiere arrivato da Mosca, e Tamara un’insegnante nata all’interno dello stesso villaggio, ormai abituata allo scorrere della sua vita che negli occhi vede solo l’abitudine del disastro della sua terra, se di abitudine si può parlare.

Accompagnati, a penna tesa e scrittura leggera in fuoco al cielo, viviamo la passione travolgente tra i due personaggi scalfiti indissolubilmente da questa terra lapidaria e ferita.

Un racconto forte e deciso che parla del male della storia, quel male che conosciamo pagina dopo pagina, anche dentro le persone che ce la raccontano.

Una terra completamente rasa al suo nella sua natura e che trascina con sé le vite dei pochi abitanti rimasti, anch’essi ormai malati nel corpo e nell’anima; ma tra le mille pericolose sfaccettature della storia forse è l’amore l’unica salvezza? Vladimir e Tamara provano a raccontarcelo in fuoco al cielo, dove l’autrice minuziosamente ed ossessivamente ricostruisce l’agghiacciante storia di quei posti resi intoccabili per il resto del mondo.

L’autrice collega e ricollega i posti in una narrazione ordinata ed attenta anche ai tempi storici necessariamente da scandire in fuoco al cielo.

Fuoco al cielo, una lotta tra natura e civiltà

È una forte agitazione quella che scorre tra le pagine del romanzo della giovane scrittrice, una continua lotta tra la natura fredda ormai morta e la civiltà che tenta la sua rinascita con un dolore che porta fino all’odio; una mutazione genetica anche dell’essere quella che incontriamo nei personaggi: incattiviti da coloro che hanno scritto la storia in quel periodo, ma in combutta con l’amore che è sentimento necessario dell’uomo.

“Vladimir la prendeva in braccio come una ragazzina. Si ac­coppiavano a terra, sulle assi irregolari, sulle briciole di torta kievskij, nell’angolo della casa dove arrivava il sole, vicino al catino. Credevano che i corpi fossero un dono di Dio, tane per­fette per mettersi al riparo dagli agguati della mente. Era un modo sicuro di amare, stare sulla pelle per non stare nell’abis­so, e lei aveva l’abisso nella testa, dappertutto, un fondale nero.” 

E quale il destino dei personaggi che con affanno provano a tessere le fila del loro “nuovo mondo”? Come si fa a ristabilire l’ordine in luogo che forse non esiste più? Come si fa a vivere se l’unica speranza che resta è morire?

Le risposte nell’agghiacciante bellezza di questo romanzo di Viola di Grado.

 

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