Il giocatore di Fëdor Dostoevskij non è solo un romanzo, è una confessione velata, un grido che arriva direttamente dall’esperienza personale del suo autore. Scrivere quest’opera fu per lui un atto di sopravvivenza, letteralmente: sommerso dai debiti, Dostoevskij si trovò costretto a completare il libro in meno di un mese per non perdere i diritti sulle sue opere future. In questa corsa contro il tempo, creò qualcosa di unico, un romanzo che scava nelle ossessioni e nelle fragilità umane con una forza che solo chi ha conosciuto il baratro può trasmettere.
La trama è tanto semplice quanto universale: Aleksej Ivànovič, giovane precettore in una famiglia di nobili decaduti, è preso in un vortice di amori impossibili, ambizioni frustrate e, soprattutto, la tentazione del gioco d’azzardo. La roulette non è solo un passatempo: diventa un simbolo del rischio, un’ancora di salvezza illusoria che promette tutto e non dà nulla. Aleksej, che all’inizio sembra solo uno spettatore curioso, finisce per essere completamente risucchiato dal richiamo magnetico del gioco. Si trasforma in qualcuno disposto a rischiare tutto, attratto dall’adrenalina e dall’illusione che una sola vittoria possa cambiare il corso della sua vita.
Ma Il giocatore di Fëdor Dostoevskij non si limita a raccontare il declino di un individuo. È un’esplorazione dei legami umani e delle dinamiche di potere. Polina, la donna amata da Aleksej, non è un personaggio da romanzo romantico: è complessa, sfuggente, a tratti crudele. Il loro rapporto è una danza pericolosa, fatta di attrazione e manipolazione; allo stesso tempo, attorno a loro si muovono figure grottesche e drammatiche, come il Generale, ossessionato dal denaro e dalla reputazione, e la Granduchessa, che arriva come una tempesta a sconvolgere ogni equilibrio.
Affogare nelle emozioni
La grandezza del romanzo sta nella sua capacità di trasmettere emozioni crude e viscerali. Aleksej non è un eroe, eppure non possiamo fare a meno di sentirci vicini a lui. Chi non ha mai sperato in un colpo di fortuna che cambiasse tutto? Chi non ha mai sentito il richiamo del rischio, anche sapendo che potrebbe portare alla rovina? Ogni giro della roulette è una scommessa non solo con il destino, ma con se stessi.
Dostoevskij usa il gioco come metafora della condizione umana: un’alternanza continua di speranze e delusioni, di vittorie che sembrano cambiare tutto e che, invece, portano solo nuove perdite. Aleksej gioca perché non può farne a meno, ma il suo non è solo un vizio: è una lotta contro un mondo che lo opprime, un tentativo disperato di affermarsi, di dimostrare che il caso può ribaltare anche le situazioni più disperate.
Il giocatore di Fëdor Dostoevskij come romanzo che parla al presente
Nonostante sia stato scritto nel 1866, Il giocatore è incredibilmente attuale. Oggi, come allora, le dipendenze – dal gioco, dalla tecnologia, dal consumo – continuano a rappresentare un problema profondo. Aleksej è il prototipo di chi cerca nel rischio un modo per evadere dalla realtà, per ribellarsi alle regole di una società che non lascia spazio alla libertà. Ma Dostoevskij non ci dà facili risposte. Non ci dice se il gioco sia solo distruzione o se, in qualche modo, possa rivelare qualcosa di profondo su di noi.
Alla fine, ciò che resta è un ritratto di rara umanità, in cui riconosciamo le nostre fragilità, i nostri errori e, soprattutto, quella voglia disperata di sfidare il destino, anche quando tutto sembra contro di noi. Il giocatore non è solo un libro, è una lezione sulle passioni che ci definiscono, sulle scelte che ci cambiano e su quanto, alla fine, il rischio faccia parte della vita stessa.
Fonte immagine: Feltrinelli.it