Il pane del patriarca di Raduan Nassar è uno dei romanzi capolavoro, assieme a Un bicchiere di rabbia, della letteratura brasiliana. L’autore, nato a Pindorama (São Paulo) nel 1935 da genitori libanesi, è considerato come uno dei grandi della letteratura brasiliana di tutti i tempi, nonostante la sua scelta di ritirarsi in campagna e smettere di scrivere prematuramente nel 1984.
La recensione de Il pane del patriarca di Raduan Nassar
Il pane del patriarca di
Raduan Nassar ha come protagonista
André, secondo dei sette, tra fratelli e sorelle, di una numerosa famiglia proprietaria di una
fazenda in
Brasile. Tutti sono uniti da un rapporto affettivo profondo e sofferto, dove emerge la figura di un
padre colto da inflessibile severità. Ad
André pesa il difficile ruolo del
figliol prodigo, perciò a un certo punto ripudia i parenti nella sua fuga da casa, sebbene poi torni più stremato che pentito.
Il pane del patriarca di Raduan Nassar è diviso quindi in due parti: l’allontanamento e il ritorno, la ribellione e la resa.
Tutto il romanzo, il capitolo iniziale in particolare, è scritto magistralmente e presenta pagine fluide prive di punti fermi, in cui solo virgole e punti e virgola segnano brevi
rallentamenti del respiro: il ragazzo viene svegliato, nella camera della pensione in cui ha trovato rifugio, dal bussare affannoso del fratello maggiore
Pedro, venuto a cercarlo per riportarlo all’ovile. Si snoda tra i due un dialogo intessuto di rimprovero da una parte e febbrile resistenza dall’altra.
André rimane preda del suo incubo, che è una colpa, forse la più imperdonabile delle colpe lo ha allontanato da casa: la più inconfessabile delle
passioni. Maestosa si erge nella sua memoria la figura del
padre, che prima del pranzo impartiva ai figli riuniti sermoni carichi di
morale, parabole quasi evangeliche in cui metteva in guardia da qualsiasi eccesso comportamentale, dalla
brama di denaro, dallo
spreco, dalla
libidine, dalla
competizione, esortando invece allo
zelo,
all’obbedienza, al
rispetto e soprattutto alla massima tra le virtù: la
pazienza.
André è un
adolescente scisso tra il desiderio di rispondere alle aspettative paterne e l’istinto di
libertà. Sempre inadeguato di fronte alle tradizioni austere della
famiglia, decide tuttavia di accondiscendere al richiamo imperioso della fisicità. In un pomeriggio luminoso, nella casa abbandonata dei nonni, ha l’improvvisa apparizione della bellezza, a cui cede, dannandosi e salvandosi insieme:
“lei era lì, bianco bianco il viso bianco e io potevo sentire tutto il dubbio, il tumulto e i suoi dolori e potei pensare pieno di fede io non mi sbaglio in questo incendio.”
Sono pagine che si sollevano all’altezza di un cantico biblico quelle in cui Raduan Nassar descrive l’abbandono e il volo, il timore e il tremore di un bambino convertito all’unica redenzione possibile.
André cerca di comunicare al fratello, tanto simile al padre, la sua esperienza trasfigurante, la propria ansia di ribellione e verità contro ogni soffocante conformismo. Ma Pedro non può far altro che ricondurlo nella fazenda amata-odiata dei genitori. Padre e madre improvvisamente invecchiati, non trovano le parole giuste per accogliere e comprendere il figliolo recuperato al loro affetto, ma mai rassegnato alla normalità di un mondo non più suo. I rapporti spezzati non si ricomporranno nel tripudio della festa di ringraziamento, e la tragedia si consumerà in una macabra danza sacrificale.
Fonte dell’immagine in evidenza: Feltrinelli Editore