L’acqua del lago non è mai dolce, il sapore dell’adolescenza

L'acqua del lago non è mai dolce

L’acqua del lago non è mai dolce, edito Bompiani, è il terzo romanzo di Giulia Caminito.

La giovane autrice romana, classe 1988, ha esordito con il romanzo La Grande A pubblicato presso Giunti nel 2016, ha ricevuto il Premio Bagutta opera prima e il Premio Brancati giovani, in seguito ha pubblicato nel 2019 Un giorno verrà edito Bompiani che ha vinto il Premio Fiesole Under40.
L’acqua del lago non è mai dolce è uno dei romanzi finalisti al Premio Strega del 2021.

L’acqua del lago non è mai dolce: trama del romanzo

Nel suo romanzo, Giulia Caminito ci racconta la storia di Antonia la rossa, della sua grande famiglia e della residenza che non le viene riconosciuta, un seminterrato di nemmeno venti metri quadri che ha dovuto ripulire da blatte e siringhe, per donare una vita dignitosa ai propri figli.
La voce narrante non è la sua ma quella di sua figlia. Non ci è dato conoscerne il suo nome ma la vediamo crescere nelle trecento pagine del romanzo, dall’infanzia fino all’età adulta; testimone e protagonista di una storia d’ingiustizia sociale, che mette a margine chi è povero, senza riconoscergli la possibilità di un riscatto.
Sembra che la vita non abbia risparmiato nulla ad Antonia: rimane incinta e sola con un bambino da crescere, sposa un uomo che le ha dà altri tre figli, il quale lavora in nero e rimane disabile, senza poter attendere i bisogni familiari. Eppure, Antonia lotta e non smette mai, nemmeno quando le cose diventano insostenibili, ma riesce a ottenere una casa, lo fa per suo marito, per i suoi bambini, ma soprattutto per sua figlia, con il dovere morale di concederle una vita migliore della sua.
Il lago di Bracciano fa da teatro alla crescita della vera e propria protagonista del romanzo, una ragazza spinta dalla madre a uscire dal ruolo che la vita le ha assegnato, a diventare una studentessa eccellente, una vorace divoratrice di libri –quelli giusti-, una brava ragazza che dovrà farsi valere e trovare un buon lavoro per non patire ciò che la madre e la sua famiglia hanno sofferto durante la loro vita.

La lucida ferocia di chi è stato messo al margine

La voce narrante è spinta dalla rabbia di chi si sente come un oggetto fuori posto, graffia la carta fin dalle prime pagine, s’ingrossa fino a strabordare, insostenibile, in apici di violenza che trascendono le parole e tracciano i confini di immagini aggressive e brutali che vedono come soggetto la protagonista stessa.
Gli eccessi d’ira e la lucida ferocia sono temi fondamentali per il romanzo, esplodono durante l’adolescenza della protagonista per diventare sempre più furenti con il suo sentirsi messa da parte, non integrata, inadeguata in quel mondo che le è stato presentato dalla madre come la sua unica via di uscita.
La vediamo muoversi sin dalle scuole medie verso la capitale con libri offerti da persone più ricche, romanzi presi in prestito dalla biblioteca, che non devono essere rovinati, accessori scolastici passati dal fratello maggiore, racchette da tennis ricevute per non essere esclusa dalle attività di classe, anche se è consapevole che gli altri l’avrebbero guardata sempre con occhi diversi.
Non avere un cellulare per scambiarsi sms leziosi di nascosto, sotto un lenzuolo in piena notte, vestiti firmati da sfoggiare come in una sfilata nel cortile della scuola, persino la tv per imitare la parlata e lo stile degli adolescenti nei teen drama americani fanno sentire la protagonista un’emarginata. Nonostante lei tenti di ribellarsi, ma senta il peso dei consigli della madre, che suonano più come ordini, diventa presto consapevole che non potrà mai conformarsi completamente.
La rabbia diventa un diversivo per proteggersi, attraverso la quale detiene il controllo sui propri sentimenti, perché ferita dall’essere estromessa dalla vita che gli altri hanno, senza bisogno di chiedere nulla, un diritto concesso loro alla nascita.
Allontana chiunque possa farle del male, prima ancora che ci riescano, ferendo, schernendo, affondando la lingua e le unghie taglienti in carne e pensieri, anche chi nutre sentimenti sinceri per lei.

La scrittura di Giulia Caminito è di vocabolario, ogni parola sembra scelta e cesellata per incastrarsi perfettamente nell’ecosistema del romanzo. Il suo tono è elegante e coriaceo, impreziosisce la storia di un’adolescenza trascorsa nella periferia di Roma a cavallo tra gli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, con citazioni iconiche per chiunque abbia vissuto quegli anni.
Caminito dipinge un folto complesso di personaggi estremamente delineati e credibili, che vivono attraverso le pagine e di cui si percepiscono colori e sfumature. Non è difficile trovarsi a provare rabbia, odio ma anche pura compassione, perché questi personaggi sono spesso vittime della cattiveria umana, ma anche più semplicemente delle proprie stesse azioni.
In questo contesto, l’autrice riesce a rendere visibili famiglie messe al margine, dimenticate dal governo, dagli enti, che rendono la loro vita una sfida alla sopravvivenza, una sfida che spesso è persa in partenza.

 

Immagine in evidenza: bompiani.it

A proposito di Dana Cappiello

Classe 1991, laureata in Lingue e specializzata in Comunicazione. Ho sempre sentito l’esigenza di esprimermi, impiastricciando colori sui fogli. Quando però i pensieri hanno superato le mie maldestre capacità artistiche, ho iniziato a consumare decine di agende. Parlo molto e nel frattempo guardo serie tv e leggo libri.

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