Malocchio di Gianfranco Angioni: intervista allo scrittore

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Malocchio di Gianfranco Angioni: l’intervista all’autore per l’uscita del suo nuovo libro

Nel suo ultimo libro, Gianfranco Angioni ci parla di gioco d’azzardo, usura, rovina, amore, stregoneria, morte. Malocchio di Gianfranco Angioni è un romanzo in cui si intrecciano vicende di persone comuni e di persone dotate di poteri paranormali. Si affrontano in modo per così dire “leggero” problematiche come la di dipendenza dal gioco e la depressione, passando attraverso la mitologia e il mistero: non è un caso che l’autore abbia dato al protagonista il nome di Giasone, rifacendosi così alle vicende mitologiche di Medea. Una storia, quella di Malocchio di Gianfranco Angioni, che si svolge ai giorni nostri, tra la Lombardia e la Sardegna nell’estate del 2012.

Abbiamo intervistato l’autore in merito al suo nuovo libro.

Malocchio di Gianfranco Angioni: l’intervista

Da cosa nasce Malocchio di Gianfranco Angioni?

Malocchio nasce dalla mia voglia di raccontare delle situazioni particolari che ho conosciuto direttamente o indirettamente, dalla voglia, necessità, di raccontare una storia, delle storie tra esse concatenate o da esse conseguenti, dall’esprimere un’opinione su fatti  che accadono giornalmente nella società in cui vivo, da ricordi e apprendimenti precoci che hanno segnato la mia formazione ed evoluzione di essere umano e che penso valga la pena raccontare e ricordare a chi può avere vissuto quelle stesse esperienze. 

Ogni mia opera nasce dallo studio di comportamenti umani, di aspetti psicologici e, talvolta, psichiatrici che originano il vivere di alcune persone, segnandone il corso dell’esistenza. Nella vita le situazioni che, statisticamente, rientrano nella norma non sono la norma, spesso e volentieri si vive al di sopra o al di sotto della norma. Malocchio è un titolo che vuole richiamare l’aspetto razionale di esistenze difficili, e descrivere anche l’aspetto emotivo, la reazione a fatti difficili e dolorosi.

Ho voluto documentarmi e capire cosa può spingere una persona a portare la passione per il gioco all’estremo, su una strada che può portare alla rovina se quella persona non riesce a trattenersi dal farlo. La passione per il gioco d’azzardo, o più in generale rischiare, tentare la fortuna, non è un evento raro per noi umani; anche giocare al lotto o facendo continuamente solitari è una passione per il gioco, un gioco che, alla fine, può darci un premio, anche se è solo la soddisfazione di avere concluso qualcosa.

L’amore del gioco così come la ricerca ossessiva di una vincita sono insiti nella nostra natura o ce li creiamo vivendo? Nel discorso gioco d’azzardo entra il piacere del rischio, oltre a quello del premio finale, del tentare una sorte incerta che può premiarci, raramente, o punirci, più spesso. C’è qualcosa di autodistruttivo in esso, ma chi vuole autodistruggersi? Solamente chi non può farne a meno, per natura o per educazione, intendendo con educazione anche il modo di vivere e i condizionamenti sociali.

Cosa spinge delle persone a vivere sulla propria pelle il concetto di fortuna o il suo opposto, la sfortuna? Questo si rifà alla sorte, al fato che aveva previsto quanto sarebbe capitato e anche alla superstizione, cioè a quanto possiamo fare o non fare per avere la sorte amica. Per estensione, se crediamo nel destino, possiamo anche credere a chi il destino può influenzarlo. Da agnostico ho voluto documentarmi anche su fenomeni, come la stregoneria, che hanno poco o nulla a che vedere con la realtà e sono lasciati alla credulità di persone che, in particolari momenti della loro vita o per indole personale, hanno necessità del supporto del sovrannaturale o della superstizione per cercare di sopravvivere a quanto di difficile incontrano nelle loro esistenze.

Certo, se poi parliamo di stregoneria, allora certe arti magiche possono essere l’aspetto pittoresco che, portato ai limiti, maschera delle vere e proprie persecuzioni, delle truffe, dei delitti. In Malocchio ho voluto estremizzare, sono partito da una piccola magia, togliere la malasorte, e questa pratica può essere un residuo di cultura arcaica, per arrivare alla stregoneria vera e propria, e questa pratica me la sono inventata. Malocchio nasce anche dal voler scrivere sull’amore, su sue diverse manifestazioni e sugli effetti che può avere sulla vita degli individui. Per dire, parlo dell’amore tradito, quello di Giasone, parlo dell’amore filiale, quello di Angela Maria, quello di Medè che inizialmente è un sentimento pulito, ma diventa amore tossico per sua scelta, fatta per salvare Giasone dagli effetti della sua ossessione per il gioco. Oppure il sentimento di amore di Giasone per Nerina, questo porta alla conclusione della tragedia che è Malocchio.

Malocchio di Gianfranco Angioni: nel libro sono molto forti i legami con la Sardegna, cosa può dirci al riguardo?

Ho già vissuto più della metà della mia vita e, in età avanzata, tendo a ricordare e apprezzare le mie origini. Sono nato in Sardegna e amo la mia terra, non per eventi pittoreschi, ma per quello che mi porto dietro, per quello che mi è stato inculcato, per quello che ho appreso e cercato di capire. Sono orgoglioso delle mie origini, di quello che si è trasmesso in me col mio DNA. Sono orgoglioso anche della nostra lingua, che capisco e che, pur non vivendo più in Sardegna da oltre quarant’anni, cerco di non dimenticare, anche se, col tempo e l’età, le parole tendono a svanire. Ne ricordo il significato se le odo, ma spesso non riesco a ricordarle quando vorrei usarle. Mi porto dietro anche regole di sintassi della lingua sarda, per fare un esempio, se chiedo a una persona se ha capito, anziché chiedere «Hai capito?»  gli chiedo «Capito hai?»

Amo le tradizioni sarde, il rito de Sa mexina de s’ogu lo posso descrivere perché l’ho visto compiere, amo la fierezza di carattere dei sardi, la capacità di crescere e conoscere, non amo i comportamenti presuntuosi assunti spesso da comunità isolate e da persone abituate a vivere in solitudine che non vogliono conoscere di più, ma accettano solo quanto conoscono personalmente o viene tramandato dalla tradizione.

Ad andare in Sardegna ritrovo sensazioni che solo la fisicità può restituire, come , il suono di accenti e di frasi tipiche, i sapori e il gusto salato dell’acqua di mare pulita, gli odori, la visione di una luce diversa in un’aria tersa e profumata, appunto.

I canti popolari poi, ma in questo non faccio fatica, amo anche quelli di altri dialetti, primi tra tutti i napoletani, per non parlare di quelli irlandesi o della Normandia.

Malocchio di Gianfranco Angioni, ma non solo: esiste un fil rouge tra i suoi libri?

Tutto ciò che scrivo in un romanzo è collegato, tutto è consequenziale, a prescindere dall’ordine che risulta dalla stesura finale, e così tutti i romanzi che ho scritto sono collegati tra loro, perché è una stessa persona che li ha scritti. Non dimentico il primo, anzi no, quello era quasi un dramma in poesia, era quasi scritto per il teatro, ma i contenuti erano gli stessi. Col tempo è cambiata la forma, lo stile, forse, ma in ognuno dei miei romanzi si può trovare Gianfranco Angioni.

Malocchio di Gianfranco Angioni: un’anticipazione da parte dell’autore

Malocchio ha un prequel, si chiamerà Grida di civetta e verrà pubblicato a metà del 2024, sempre da PAV edizioni (evidentemente credono in me e nel mio lavoro). Grida di civetta racconta della zia strega di Medè, Caterina, e del suo percorso per essere strega. Poiché la stregoneria, almeno quella sarda, ma penso anche tutte le altre, arriva da molto lontano, parlo di quando l’uomo ha iniziato a camminare in posizione eretta. La stregoneria è primitiva, è così ancora adesso, non può non essere legata a discorsi sulla natura che, in persone particolarmente dotate consente di capire a fondo i fenomeni naturali. Quelli non rovinati o modificati dall’uomo, quest’ultimo che ha la caratteristica di distruggere il suo ambiente e la vita in qualunque forma, vegetale o animale che sia.

Anche Medè, uno dei personaggi principali è strega buona, e quando decide di diventare strega cattiva, quella che fa del male, non sarà più la stessa e nel romanzo compariranno entità infernali. Queste cose me le sono inventate, ma sono le stesse inventate dall’uomo per giustificare la sua natura negativa. Il legame tra i miei libri è molto stretto, non sono uno il seguito dell’altro per quanto riguarda la trama, lo sono solamente Grida di civetta e Malocchio, gli altri no, è la mia ansia creativa che si esprime e mi chiede di scrivere, sono sempre io.

Per avvalorare quanto dico, di quanto senta collegati i vari eventi e i personaggi che descrivo, ci tengo a dire che in Malocchio in un’occasione ho chiamato Glauco il protagonista, ma il suo nome è Giasone, Glauco è  il protagonista di un altro mio romanzo, Le metamorfosi imperfette. Un lapsus, un refuso che accrescerà il valore di chi ha acquistato la prima edizione di Malocchio. Ai lettori non sfugge nulla, se ne è accorta Fabia Tonazzi, la mia intervistatrice. Brava!

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Fonte immagine: Ufficio Promozione Pav Edizioni

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