In uscita a maggio 2020, il libro di Marco Perillo Napùl edito da Alessandro Polidoro Editore
Napùl, un nome che sta a metà tra Napoli e Kabul. Una metafora per raccontare una città in guerra quotidiana, perennemente a cavallo tra presente e passato, oriente e occidente, slanci poderosi e cadute dolorosissime. Tra queste pagine si incontrano i personaggi più disparati: un ragazzo che rinverdisce un antico mito ellenico, baby gang in azione contro un autobus fermo nel traffico, un padre malavitoso che osteggia il fidanzato della figlia, i ricordi dell’11 settembre filtrati da chi di persona ha conosciuto gli attentatori e diverse altre storie.
Il libro parte con un racconto che desta curiosità. Anticaglia ha i toni lugubri, ingrigiti da tempi e situazioni surreali. I gatti, fanno da padrone. Saranno proprio i felini, che in orde armate, sveleranno diversi misteri della narrazione. Il racconto spinge da subito il lettore in una realtà verace fatta di caffè e vicoli, non dimenticando le note misteriose che contraddistinguono i racconti dalle sfumature dark. L’arte è un elemento essenziale all’interno delle prime entusiasmanti righe di Perillo. Il protagonista, infatti è un gallerista. Sarà l’incontro con una misteriosa donna, la quale non gode di un’ottima fama tra i paesani, l’evento che farà conoscere la sua vita, nei dettagli più profondi. Alcune pagine più avanti, infatti, Ermete Matacena, il gallerista, perderà il suo ruolo da protagonista, lasciando spazio, a suo figlio Perseo. Un ragazzo tutt’altro che sicuro del suo aspetto e della sua condizione di vita, si metterà alla ricerca di suo padre, in compagnia del suo fedelissimo specchio. Da qui, il mito di Medusa e Perseo, rivisitato in sfumature “da città” mescolate al pathos delle leggende passate.
Nel secondo racconto il lettore si troverà catapultato nella realtà cruda di Napoli, dove un assassinio, spinge una giovane donna a diventare poliziotta. In questo racconto saranno svelati diversi personaggi del tutto iconici: la donna che si prostituisce, i vecchi del quartiere, per passare ai pettegoli cittadini. Ognuno di essi, sembra incarnare un vizio capitale di una Napoli che diventa lo specchio malsano di tutto il mondo. In ogni riga si respirerà a grandi boccate l’energia del popolo meridionale, i pregi ma anche i pozzi dei tanti vizi, dentro i quali l’uomo arriva a perdersi.
A restituire al libro una ventata energica, è “Garibaldi”. All’interno di questo racconto il lettore potrà trovare la vita di un uomo semplice la cui esistenza è stata tutta dedicata al lavoro. Ciro, soprannominato Garibaldi, per il suo aspetto, è da sempre un conducente di pullman. In contemporanea alla descrizione della sua vita e dei suoi sentimenti, ci sarà un racconto parallelo, i cui protagonisti saranno dei giovani ragazzi in sella ad uno scooter. Le vicende dell’uomo e dei ragazzi, si intrecceranno in più punti, in uno scontro generazionale senza pari. In Garibaldi ci saranno i primi, ma non ultimi, discorsi in lingua dialettale. Le parti scritte in napoletano, non risultano proibitive per chi non è del posto. Il linguaggio verace dona autenticità e dinamismo a tutte le vicende che seguiranno.
Ad illustrare l’inquinamento che attornia la ridente Napoli è il racconto “Bagnoli”. Le vicende nella loro interezza sono un racconto di vita vera, dove l’amore si intreccia con la morte, il cui sfondo è quello appestato dagli scarichi marini e dall’immondizia. Il racconto fa respirare a pieni polmoni il clima di una casa napoletana, trasformandosi verso la metà delle sue vicende in una storia dai toni scuri. Casa Buonocore, infatti, se per uno sarà il rifugio contro l’assenza della vita, per qualcun’altra sarà una trappola mortale. Il personaggio del Bisonte avrà tutti i tratti caratteristici del “padre padrone”. Una realtà, che spesso è annidata e nascosta in molte famiglie. Si potrà leggere di violenza, di sangue, e di vite che possono condurre in una sola direzione. È un racconto duro, ma estremamente vero nella sua interezza. Il tema del clima, non diventa uno sfondo melenso, ma resta vivo tutto il tempo in modo prepotente nella vista e nell’olfatto del lettore.
Di tutt’altro genere è il racconto “Medina”. Esso illustrerà vicende tristi, la cui partenza è affidata a personaggi differenti. Michele, il protagonista del racconto, è innamorato di Kahled. Il fattore omosessualità, passerà al secondo piano, non di certo per mancata importanza, ma piuttosto grazie alla normalità con cui Perillo ci racconta la storia. A fare da cardine al loro amore, ormai destinato a morire, è la storia dell’11 Settembre. Evento che vede protagonista Kahled, nelle vesti del cattivo, le cui scelte saranno significative.
Se in un racconto come “Incurabili” viene sottolineata la lentezza e i difetti del territorio napoletano, è “Pallonetto” a dare il meglio di sé. Il secondo racconto, si apre con la visione bianca di Fortuna, una bambina dei quartieri, che sogna di vedere il mare. La bambina, si troverà letteralmente «con le mani nei loschi affari della sua famiglia» continuando a vivere con ingenuità una vita che non dovrebbe appartenere a qualcuno della sua età. Fortuna sarà le orecchie e la vista del lettore in una realtà fatti di spari, sangue, e corse per i vicoli, mentre un popolo impaurito fa passi indietro e si chiude in casa. Onore, rispetto e fedeltà, sono le tre parole annidiate nei clan di maggiore rispetto. Lo stesso codice d’onore che nel racconto successivo dal nome “Scampia”.
Scampia non è un racconto fitto di cliché. Non è come ce lo si aspetta o che si è abituati a leggere. Non ci saranno descrizioni fitte di spaccio e violenze. Il luogo farà da padrone nell’intera narrazione, infatti, Jonathan, ragazzo tetraplegico, farà garante al lettore sulla situazione drammatica di chi vive nelle “Vele“. Non mancheranno note “di costruzione” su un progetto che di fatto aveva nobili intenzioni, trasformatosi, nel corso del tempo, nel covo di chi non ce la fa o di chi volutamente non vuole farcela, prendendo strade sbagliate. L’evento distruttivo di cui Jonathan sarà lo spettatore, sembrerà essere la causa scatenante di tutto. Come se da un’esplosione, la parte marcia di Napoli, potesse saltare in aria, insieme ai calcinacci.
A riprendere i toni “terroristici” è “Armieri“. Il racconto parte da subito con una telefonata tra Maurizio e sua sorella. La donna, non perderà tempo, raccontando di fatto, che a Parigi, sta avvenendo un massacro. La violenza inferta al Bataclan e nelle vie francesi, sembra intrecciarsi a quella cittadina di Napoli. Maurizio, a cui deve alla Francia, il suo nuovo stato di donna, si mette in cammino in cerca di un cero per commemorare le vittime parigine. L’uomo, ormai donna, in seguito ad una transizione, farà perdere le sue tracce, letteralmente. Amèlie, scompare, sotto i colpi di una pistola. Interessante è come l’autore fa combaciare la paura della sorella di Amèlie con la riconoscenza di quest’ultima, e ancora il terrore parigino, con il vuoto che si prova dinanzi ad un’arma che non ha motivo di far fuoco.
È nell’ultimo racconto, che dà anche il titolo al libro “Napùl” che le righe spiegano le piaghe profonde che Napoli custodisce sotto al sorriso e al Vesuvio. Pascal, trovatosi senza lavoro, in un contesto familiare disagiante, sotto consiglio di suo padre, si converte all’Islam, diventando Pascallah. Nel suo racconto si scorge la paura di crescere senza soldi in tasca, le privazioni affrontate per rendere felici i genitori, lo sgomento di chi a trent’anni cambia Dio. È la storia di un giovane a cui non permettono di vivere da cristiano, ma che non riesce nemmeno a vivere da islamico. Pascallah si allaccia al lettore usando le sue paure, le sue incertezze, in un continuo divenire, che oscilla tra la violenza degli estremisti e la bontà di risparmiare un padre di famiglia che vende spugne.
Napùl è un concentrato di Napoli, che non ha vergogna di essere vista nuda e peccaminosa, bugiarda ed eccentrica. È un libro che ingloba le sofferenze di tutti, i punti luce e quelli d’ombra di chi è nato in meridione. È un libro che non si fa scrupoli quando deve parlare in dialetto, in una lingua che ad alcuni può sembrare poco elegante. È il racconto di chi a Napoli ci vive, di chi è dovuto andare via, e di chi resta anche se in affanno. Il capolavoro di Perillo, il cui nome si rifà a Kabul, mette in scena tutte le sfumature di una guerra che si combatte anche senza bombe e carrarmati. È la guerra sanguinosa di Napoli, con i suoi sbagli e le sue delizie, che non ci lascia esuli dal dolore e dagli interrogativi pressanti che hanno tutte il suono dei perché?
Foto di Polidoro Editore