Shirley Jackson: temi e suggestioni

Shirley Jackson, temi e suggestioni

Shirley Jackson è stata una scrittrice californiana (nata nel 1916 e morta a 48 anni di insufficienza cardiaca) autrice di racconti brevi, il più popolare dei quali è senza dubbio La Lotteria, e romanzi tra cui: L’incubo di Hill House (che ha inspirato un film del 1963 diretto da Robert Wise e una serie Netflix), Abbiamo sempre vissuto nel castello e Lizzie.

Il rapporto conflittuale con la madre – che bruciò le prime storie della figlia, scritte quando era solo una bambina e che criticava di continuo il suo aspetto fisico – segna la scrittrice per il resto della vita e il dolore che questa relazione ha lasciato alla Jackson si rivela nelle sue opere: quasi tutte le sue protagoniste sono orfane di madre o sono incapaci di relazionarsi a loro.

In parte in segno di ribellione nei confronti della madre, Shirley Jackson sposa nel 1940 lo scrittore ebreo Stanley Hyman con la speranza di sfuggire all’ambiente familiare opprimente nel quale era cresciuta; tuttavia, queste speranze vengono infrante dagli svariati tradimenti di Hyman al quale Shirley scrisse «Tempo fa mi scrivesti una lettera… dicendomi che non sarei mai più stata sola. Credo che quella sia stata la prima, più terribile bugia, che tu mi abbia mai detto.»

Ottessa Moshfegh scrisse di Shirley Jackson «ha un grande talento nell’illustrare le terrificanti incertezze che circondano le leggi basilari della realtà»: al centro dei romanzi della scrittrice, in effetti, troviamo donne isolate, psicologicamente fragili e spesso volontariamente esiliate nel loro mondo fantastico e, piuttosto che a causa di qualche evento paranormale, è proprio lo scontro con la realtà di un mondo profondamente ostile a risultare fatale alle protagoniste.

Ma il genio di Shirley Jackson è nella sua capacità di costruire un mondo e dei personaggi che in un primo momento attirano la protagonista promettendole qualcosa che desidera ardentemente, come un posto in cui appartenere, per poi tradire le loro aspettative e togliere la terra da sotto i loro piedi.

Shirley Jackson nutriva un forte interesse verso la condizione femminile e i danni che la famiglia nucleare aveva arrecato alle donne addestrandole a sopportare critiche e insulti di qualunque tipo, facendole credere in un primo momento di essere importanti e necessarie ma infine relegandole al ruolo di madre e casalinga, privando loro di individualità e una vera via di fuga. Come nelle sue storie, Shirley credeva che la vita di una ragazza e la sua successiva distruzione cominciasse sempre con false promesse. A rendere ancora più esplicito questo messaggio è il discorso che nel primo capitolo di Hangsaman la madre di Natalie Waite rivolge alla figlia, in seguito ad un tradimento del marito:

«Per prima cosa ti dicono bugie e poi fanno in modo che tu ci creda realmente. Poi ti danno un po’ di quello che ti hanno promesso, ma solo un po’, così da farti credere che finalmente ce l’hai fatta. Poi ti rendi conto che sei stata imbrogliata, come tutti, proprio come chiunque altro, e invece di essere diversa e di dare gli ordini, sei stata imbrogliata come chiunque altro…»

Merricat Blackwood, la protagonista di Abbiamo sempre vissuto nel castello, è, in parte, un’eccezione in quanto, nonostante sia profondamente disturbata, si rende conto immediatamente del pericolo che la propria famiglia (che uccide con del veleno prima dell’inizio della storia) rappresenta per la sua individualità e indipendenza.

C’è ben poco conforto da trarre dai romanzi di Shirley Jackson se non nel consiglio dato a Natalie (di Hangsaman) da una donna di nome Verna, la quale le chiede di ricercare incessantemente l’essere puro fatto di colori brillanti che aspetta dentro di sé, sotto le sue preoccupazioni e i suoi pensieri più insignificanti.

 

Fonte immagine: Wikipedia

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