Un lupo nella stanza, il romanzo di Amélie Cordonnier: la recensione

Un lupo nella stanza Amélie Cordonnier

Un lupo nella stanza di Amélie Cordonnier: un viaggio tra follia e colori alla scoperta di sé

Esce per NN Editore nel mese di maggio Un lupo nella stanza, di Amélie Cordonnier, un romanzo psicologico sul tema della crisi della maternità e la perdita dell’identità.

La protagonista del romanzo è una donna appagata: il lavoro di docente di Lettere che ama, una bella casa a Parigi, un marito presente e innamorato di lei, una figlia, Esther, bambina dolce e intelligente che è tutto ciò che una madre potrebbe desiderare, e da qualche mese è arrivato nella sua vita anche Alban, il secondogenito.
Durante una visita di controllo, il pediatra del bambino nota delle macchie scure sulla pelle del neonato. Lapidaria la sentenza dello specialista: Alban sta cambiando colore, sta facendo la muta, come un serpente. Alban, il cui nome richiama ciò che è chiaro e luminoso come l’alba, sta diventando nero, è un bambino mulatto. Eppure Alban è figlio di una coppia di bianchi: com’è possibile? La macchiolina che appare sulla pelle del bambino, sempre più scura e sempre più grande, diventa un baratro in cui la donna cade inesorabilmente e trascina con sé il bambino, che scopre ben presto a sue spese di essere diventato un indesiderato, uno scherzo della natura i cui cambiamenti quotidiani vanno monitorati, come la donna inizia a fare, di nascosto, misurando il colore del bambino con delle bacchette colorate di un dépliant di stoffe, un indesiderato da scacciare, come il kafkiano Gregor Samsa, il commesso viaggiatore trasformatosi in scarafaggio che costantemente ritorna nelle pagine del romanzo di Amélie Cordonnier.
Amélie Cordonnier riporta sulla pagina, con lucidità disarmante, il dolore di una madre che non ama suo figlio perché costretta a causa sua a rimettere in discussione sé stessa e le proprie radici, la solitudine, l’ossessione ricorrente della metamorfosi in un indesiderabile scarafaggio. Le gambine scalcianti del neonato diventano, agli occhi della donna, le zampine dell’insetto, la schiena ogni giorno più scura diventa un guscio, gli strilli di un neonato trascurato degli incomprensibili e fastidiosi versi, un suono lancinante che le ricorda quanto in basso è caduta nella scala evolutiva, quanto sia innaturale, insano ed immorale il suo comportamento.

Il lettore insegue la donna nel suo baratro di follia e paranoia, resa con la tecnica narrativa della focalizzazione interna: paura che qualcuno possa sospettare che il figlio non sia di suo marito, paura che il marito stesso e la figlia primogenita possano scoprire il segreto di Alban, ma soprattutto immenso smarrimento di fronte alla perdita totale del controllo sulla propria vita. Chi è lei? Perché suo figlio è nero, se lei non è nera, suo marito non lo è e non risultano legami di  parentela con persone di colore?
Della protagonista di Un lupo nella stanza non si conoscerà mai il nome: la donna potrebbe essere chiunque, lei stessa non sa più chi sia ed è alla ricerca della sua identità. Un’identità che la donna credeva di avere e che ha perso a causa di un esserino di pochi mesi, un esserino che adesso le provoca soltanto orrore e raccapriccio, e che diventa dopo giorno più scuro. Un esserino da nascondere agli occhi del mondo, perché prova di un segreto ingombrante, vittima sacrificale del dolore lancinante di una donna che ha perso sé stessa e, perdendo la propria identità, ha perso il proprio istinto materno riconoscendo nel bambino la causa di ogni male, cui infliggere sofferenze almeno pari a quelle che prova lei a causa sua. Il nero della pelle del bambino risucchia l’anima della madre, che nega ciò che ha scoperto sulla sua identità e rifiuta di accettarlo perché troppo doloroso, del tutto incompatibile con l’immagine mentale che la donna ha di sé stessa e della propria storia. 

L’ossessione diviene presto follia paranoica, depressione, alienazione e straniamento: nessuno sembra davvero comprendere il dramma della donna né le orribili conseguenze che tale dramma interiore potrebbe causare, né il padre, che per troppo tempo le ha nascosto una verità fondamentale, né il marito che, preso dal lavoro, ne scambia la follia per depressione post-parto, aggravata dal peso di dover gestire da sola la casa ed i due figli. Lei è sola col suo dolore, col suo bambino troppo scuro, con il suo fondotinta ed il passamontagna di lana che ha fatto a maglia per nasconderlo agli occhi del mondo, ma innanzitutto agli occhi suoi, e nascondere col figlio il suo segreto.

Esiste una possibile redenzione per una madre che non ama il frutto del proprio grembo? Ma soprattutto, è possibile tornare ad essere una madre, riacquistare quell’istinto naturale che sembra ormai perduto, o comunque relegato alla sola cura di una bambina perfetta, bianca come la neve? La risposta che il romanzo ci dà è che non è possibile amare davvero senza esser prima scesi a patti col proprio passato: tornare ad essere figli per poter essere genitori, toccare il fondo per poter risalire, perdonare per potersi perdonare.

Un lupo nella stanza è un romanzo psicologico crudele e folle, da leggere tutto d’un fiato, scritto magistralmente. Un romanzo potentissimo e doloroso che trascina con forza il lettore in un viaggio interiore, tra il baratro più nero e la speranza della rinascita.

A proposito di Giorgia D'Alessandro

Laureata in Filologia Moderna alla Federico II, docente di Lettere e vera e propria lettrice compulsiva, coltivo da sempre una passione smodata per la parola scritta.

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