Una santa mancata di Maria Cristina Pizzuto | Recensione

Una santa mancata di Maria Cristina Pizzuto | Recensione

Una santa mancata è il titolo del nuovo libro di Maria Cristina Pizzuto, edito da Tulipani Edizioni. L’autrice parla della storia che si cela dietro al suo “nome d’arte”, ispirato da un forte senso religioso e alla figura di Filomena Pizzuto, una quasi – santa. Cristina, infatti, è il suo nome di battesimo e significa essere devota a Cristo; un nome che l’autrice descrive come «conforme alla mia anima». Maria, invece, è un nome che ha una «duplice valenza»: sia quella di avere messo pace agli intenti dissonanti tra il padre e il nonno, sia quella di richiamarsi alla Madre feconda per eccellenza. Infine, il cognome Pizzuto, ispirato a una donna che l’autrice ammira e che reputa un esempio notevole della religiosità.

Nella prima parte di Una santa mancata si racconta la storia di Filomena Pizzuto; poi, come se fosse una sorta di appendice, l’autrice esprime una serie di considerazioni personali sulla religione, nello specifico quella cristiana.

Di seguito, si riassumerà la figura di Filomena Pizzuto così accuratamente descritta e si proverà a rispondere alle considerazioni fatte da Maria Cristina Pizzuto.

La storia di Filomena Pizzuto, una santa mancata

Filomena Pizzuto viene presentata fin da subito come una giovane ragazza anticonformista, ma senza alcuna foga reazionaria. Ciò che la distingue, anzi, è proprio il suo essere mite, il suo affrontare la vita con quei valori come la gentilezza e l’amore verso il prossimo. Lavoratrice instancabile – altra caratteristica, d’altronde, dell’essere cristiani è lavorare rispettando il proprio ruolo nella società e nella vita, intendendolo un compito affidato dal Signore in dono – Filomena ben presto acquisisce una certa fama come sarta.

Il suo percorso, però, non è privo di spine: lascia il suo paese d’origine per seguire il marito, ricominciando tutto daccapo e, successivamente, suo marito stesso non si dimostrerà un uomo positivo nei confronti di lei e dei loro figli. Ma finché vive capace di intendere e di volere, Filomena non si lascia trascinare nelle grinfie del rancore o, peggio, della disperazione, riuscendo addirittura a nutrire rispetto nei confronti di chi le ha fatto male.

Maria Cristina Pizzuto delinea i tratti di una donna che quasi non sembra reale, circondata da un’aurea mistica che la presenta come una santa. Una santa mancata – appunto- solo perché non ha conosciuto la consacrazione a questo titolo, ma è stata comunque un esempio di virtù e amore. Il libro, pertanto, è la storia di chi agisce per bene sottobanco, senza osare, ma lasciando ugualmente un esempio cristiano su cui riflettere e da cui imparare.

Considerazioni su Una santa mancata

Maria Cristina Pizzuto, prendendo esempio dalla storia di una donna virtuosa come Filomena Pizzuto, si chiede quale sia l’insegnamento di Cristo: «Ebbene Cristo, nel suo girovagare da una città all’altra, chiede a tutti noi la cosa più difficile da realizzare in questo mondo: la coerenza, essere virtuosi e dedicarsi al prossimo, in un’unica parola: amore, da donare a sé stessi e agli altri».

Ma i fatti spesso sono ben diversi dalle intenzioni, perciò l’autrice si propone di indagare cosa accade nella mente di ciascun uomo in quello spazio che intercorre tra l’apprendimento dell’insegnamento religioso e la sua messa in pratica: «esige dunque approfondire questo discorso di conoscenza di ciò che accade nelle nostre menti, e attraverso una chiave di discernimento, valutare attimo per attimo cosa sia conforme a Cristo o meno».

«Beati gli afflitti perché saranno consolati»

L’idea di sacrificio è alla base delle considerazioni dell’autrice. È la sofferenza che innesta il coraggio di rialzarsi, la determinazione di perseverare nel condurre avanti la propria vita. Una vita che deve essere improntata sulla propria «persona per il divino» e non sulla materialità. In questo senso «entra in gioco la coerenza con il sentire interiore».

«Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente»

Essere buoni significa non soltanto compiere delle azioni virtuose, ma anche avere intenzioni altrettanto virtuose. La Pizzuto pone il focus sull’essere umano, che sceglie se avere coerenza di spirito o meno, percependo internamente l’amore verso il prossimo. Questo riconduce a un discorso che avrebbe meritato maggiori approfondimenti. Ella, infatti, sostiene che «ogni persona è responsabile di sé stessa in questa strada, non dipende dall’esterno, ma dalla sua volontà di aderire ai gesti del cuore», riferendosi ad un messaggio importante di non cedere al vittimismo.

È anche vero, però, che esiste pure la possibilità di avvenimenti più grandi dell’uomo, soprattutto osservando da una certa prospettiva religiosa bisogna fare entrare in gioco il mistero di un Dio che se tutto può non sempre fa tutto ciò di cui si ha bisogno. Al di là del fatto che se si crede ad un bene superiore si dovrebbe credere anche alla sua controparte, ciò su cui ci si sarebbe dovuti soffermare non è tanto sul momento della caduta quanto sul dopo: il libero arbitrio dell’uomo subentra più sulla questione di cosa farne del suo dolore, se trasformarlo in una rinascita da cui rifiorire e rendersi migliori o se lasciarlo macerare fino a che non diventi rancore, odio. Fare un fioretto, riempirsi di esercizi per «rendere più forte la nostra volontà» diventa inevitabilmente un simbolo, ma niente può preparare l’essere umano al dolore se non viverlo. Non tutti riescono sempre ad essere così forti da rialzarsi, poiché magari si è nati in un contesto pieno di spine. Questo non deve indurre a giustificare, è vero, ma non deve neanche essere scontato nella comprensione del prossimo.

«Come la società porta a scelte sbagliate»

A questo punto, l’autrice pone al lettore il dilemma della società attuale in cui si vive. In una società super tecnologizzata, dove tutti esigono le cose hic et nunc e riescono ad ottenerle, si sono persi i valori quali l’altruismo, l’amore, la generosità verso il prossimo. È un’invettiva forse un po’ troppo generalizzata, nella quale la Pizzuto non tiene conto che i mali esistono come in ogni epoca: i cambiamenti di una società che appare diversa dai tempi passati sono necessari, pur portando con sé inevitabilmente buone novelle e nuovi mali. Ma questo non dovrebbe essere fatto passare con un messaggio pessimistico di perdita, altrimenti si finirebbe col demonizzare soltanto il tempo presente senza apportare nessun beneficio. È un discorso molto delicato, ma la soluzione potrebbe essere quella di guardare alla società attuale come uno spazio, fisico e temporale in cui, per fortuna, ci sono tante novità che, come tutte le cose appena nate, vanno piano piano educate a valori più etici e morali, ricordando il valore dei piccoli gesti nel quotidiano.

«Il rispetto per la vita e per le persone»

Filomena Pizzuto è stata una donna forte, che non si è lasciata abbattere da alcuna sofferenza. Uno dei suoi tratti distintivi è sicuramente quello del rispetto: ella non smette mai di averlo, neanche verso suo marito, che è stato per lei il dolore più grande. Il rispetto, secondo l’autrice, implica tre elementi fondamentali, tra cui «la compassione verso sé stessi, la misericordia altrui e la preghiera», che alla base presuppongono il concetto che nessun essere umano è perfetto e perciò tutti sono meritevoli di considerazione, di perdono e, in un’unica parola, di rispetto.

Ma anche qui meriterebbe ulteriori approfondimenti la figura di chi, da vittima, si ritrova davanti alla scelta difficile di perdonare o meno. Ancora una volta è un gioco di equilibri: è un atto di grande forza rendersi conto della propria umanità imperfetta e perdonare guardando il prossimo come un proprio simile, ma questo non deve scadere in un perdono facile senza prese di posizione. Perdonare è un’azione che si compie comunque in risposta a un’azione di pentimento e, purtroppo, non sempre accade. Come si è detto precedentemente, se si crede alla bontà delle persone, si dovrebbe credere anche all’esistenza di persone malvagie e/o presuntuose e qui c’è da chiedere se effettivamente il rispetto che manca a sé stessi sia possibile, o quanto meno umano, donarlo. Il fulcro, quindi, diventa la capacità di esaminare ciò che accade cercando, quanto è più possibile, di guardare la realtà secondo una duplice prospettiva, ovvero quella personale e quella altrui insieme.

Un messaggio di amore

Di seguito, l’autrice ribadisce e approfondisce ancora l’importanza di vivere come fratelli, nella comprensione e nell’amore verso il prossimo per adempiere al messaggio di Cristo. Si è provato a rispondere ad alcuni punti cardine considerati dall’autrice, ma il focus di questa disamina, che Maria Cristina Pizzuto fa come se scrivesse un suo flusso di coscienza, è il vivere secondo un messaggio di umiltà: l’umanità è complessa e lo è altrettanto il messaggio portato da Cristo, che va scoperto a poco a poco, essendo frutto di riflessioni interpersonali. E, infine, il messaggio di Una santa mancata non deve essere ancorato a un discorso religioso o semplicemente cristiano, ma l’autrice da questo punto di partenza cerca di fare un discorso che valga universalmente.

Immagine di copertina: freepik

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson è giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2023. Appassionata di cultura in tutte le sue declinazioni, unisce alla formazione umanistica una visione critica e sensibile della realtà artistica contemporanea. Dopo avere intrapreso gli studi in Letteratura Classica, avvia un percorso accademico presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e consegue innanzitutto il titolo di laurea triennale in Lettere Moderne, con una tesi compilativa sull’Antigone in Letterature Comparate. Scelta simbolica di una disciplina con cui manifesta un’attenzione peculiare per l’arte, in particolare per il teatro, indagato nelle sue molteplici forme espressive. Prosegue gli studi con la laurea magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo, discutendo una tesi di ricerca in Storia del Teatro dedicata a Salvatore De Muto, attore tra le ultime defunte testimonianze fondamentali della maschera di Pulcinella nel panorama teatrale partenopeo del Novecento. Durante questi anni di scrittura e di università, riscopre una passione viva per la ricerca e la critica, strumenti che considera non di giudizio definitivo ma di dialogo aperto. Collabora con il giornale online Eroica Fenice e con Quarta Parete, entrambi realtà che le servono da palestra e conoscenza. Inoltre, partecipa alla rivista Drammaturgia per l’Archivio Multimediale AMAtI dell’Università degli studi di Firenze, un progetto per il quale inserisce voci di testimonianze su attori storici e pubblica la propria tesi magistrale di ricerca. Carta e penna in mano, crede fortemente nel valore di questo tramite di smuovere confronti capaci di generare dubbi, stimolare riflessioni e innescare processi di consapevolezza. Un tipo di approccio che alimenta la sua scrittura e il suo sguardo sul mondo e che la orienta in una dimensione catartica di riconoscimento, di identità e di comprensione.

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