Martedì 1° aprile è uscito l’album Uno, il nuovo viaggio musicale di Emanuele Colandrea per 29Records. Un disco nato senza sovrastrutture, registrato in totale autonomia, senza rincorrere la perfezione ma cercando l’autentica e pura verità.
Colandrea ha scelto appositamente di fare tutto da solo, suonando, registrando e mixando ogni traccia, senza lasciarsi condizionare da influenze esterne. Un processo che ha reso il disco inevitabilmente diretto, sincero, istintivo e privo di filtri. L’album Uno è un’esperienza che attraversa il personale e il sociale, tra immagini forti e riflessioni intime, in cui si passa dall’amore alla memoria, dalla guerra ai giorni che sembrano stagioni.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare il cantautore per farci raccontare meglio questa scelta di libertà, il significato di Uno e cosa rappresenta per lui questa nuova partenza.
Intervista a Emanuele Colandrea: il nuovo album Uno
Hai lavorato a questo disco in totale autonomia, senza filtri esterni. C’è stato un momento in cui hai pensato che ti sarebbe servito un confronto o volevi proprio che questo disco fosse soltanto tuo, evitando le interferenze?
Volevo che suonasse istintivo ed è soprattutto per questo che registravo da solo e in presa diretta. In effetti ora che me lo chiedi e me lo fai notare, durante tutta la produzione non ho mai pensato di chiedere a orecchie esterne diciamo “esperte”, se non ad alcuni fidati amici ascoltatori non musicisti a cui mi rivolgo da sempre, e alla mia compagna.
Nei tuoi testi passi dal personale al sociale con grande naturalezza. C’è una canzone di “Uno” che senti più tua di tutte? Quella che, se dovessi spiegare chi sei oggi, faresti ascoltare per prima?
Forse “Siamo fatti”. È in un certo senso una ricerca estrema dell’essenziale, quella che ci porta ad aspirare di arrivare a sentirci parte di un qualsiasi infinito.
Brani come “A forza di essere gente” o “Con le mani nella guerra” sembrano partire da immagini forti, da qualcosa che hai visto o vissuto. Cos’è che ti fa capire che un pensiero o un’emozione meritano di diventare una canzone?
La prima in un certo senso l’ho vissuta, è la storia e il midollo, ai miei occhi, di mio padre. La seconda l’ho immaginata (ma neanche troppo purtroppo) riuscendo però quasi a vederla. Spesso nelle canzoni (nelle mie perlomeno) non c’è solo l’emozione che innesca il testo. Quella serve per la partenza, poi arrivano in carovana tutte le altre in modo sparso. Per dirla in un altro modo quando comincio a scrivere un testo non so ancora di cosa parlerà di preciso la canzone e il più delle volte non ricordo da quale pensiero ero partito.
Il titolo dell’album “Uno” fa pensare all’essenziale, alla ripartenza, a un nuovo inizio. Se dovessi associarlo a una scena precisa della tua vita, quale sarebbe?
Sarebbe la nascita di mio figlio, nello specifico la prima notte che ho dormito (in realtà non ho dormito) con lui e sua madre in ospedale sulla poltrona di fianco al letto. Dopo tanta attesa è arrivato da un anno e mezzo, e lui, per me, è il nuovo inizio.
Il disco ha un’anima folk, ma senza essere legato a un solo suono o tradizione. Qual è stato lo strumento o il dettaglio sonoro che più ha fatto la differenza nel dare carattere a queste canzoni?
Di preciso non saprei dirti, forse l’aria delle voci registrate insieme alle chitarre.
Dici che per ricominciare si parte da zero, ma per ricominciare a ricominciare si parte da “Uno”. Ora che il disco sta per uscire, che significato ha per te questa frase?
Ricominciare a ricominciare prevede una consapevolezza maggiore, ha più a che fare con una scelta che con una causa. Io volevo, da questo disco, ricominciare in un altro campionato, fatto di istinto e di nessun calcolo.
Fonte immagine: Ufficio stampa.