Definiti da molti come la band americana per antonomasia, Glenn Frey, Randy Meisner, Don Henley e Bernie Leadon fondarono gli Eagles a Los Angeles nel 1971, dopo essersi trovati per un periodo, con il nome Teen Kings & The Emergencies, a seguire la cantante country-rock Linda Ronstadt come backing band. Conosciuti principalmente per la loro capacità di intrecciare melodie accattivanti, nonché per le loro armonie vocali (tanto da essere stati definiti “the best oooooh in town”) a testi a volte profondi ed evocativi, altre volte di pungente critica sociale, vantano un repertorio si limitato, solo sette album in studio di cui l’ultimo a distanza di 28 anni dal precedente, ma ricco di brani intensi e che lasciano un segno nell’ascoltatore più attento.
In questo articolo esploreremo tre canzoni degli Eagles che riescono ad offrire una rapida panoramica sulla capacità della band di raccontare storie attraverso la musica.
Desperado
Sebbene gli ascolti su Spotify non dicano lo stesso, Desperado è sicuramente una delle canzoni degli Eagles che rientra tra le più conosciute a livello globale. È uno dei primi brani mai scritti a quattro mani da Don Henley, interprete vocale del brano, e Glenn Frey e pubblicato per la prima volta nel 1973 dando il titolo all’intero album. La canzone sembra trattare della paura di amare, di come lì fuori ci siano persone che non sono in grado di amare chi li circonda a causa di quel costante senso di insoddisfazione, persone che hanno paura di mostrare la loro vera natura a causa della paura di non essere accettati. Una delle frasi più belle del testo recita: “Freedom, that’s just some people talking. Your prison is walking through this world all alone”… C’è forse qualcosa di più spaventoso del vivere la vita in solitudine? Magari all’inizio questa idea romantica dell’uomo solitario può sembrare affascinante. Tuttavia, anche le persone più introverse, giunte ad un certo punto della vita, desiderano avere qualche tipo di legame. Questa canzone parla proprio di quelle persone lì; persone troppo orgogliose o, forse, ormai troppo lontane dagli altri per poter anche solo pensare di chiedere aiuto ed essere salvate. Giungere alla realizzazione che la vita che abbiamo da vivere è soltanto una e che questa passerà molto velocemente dovrebbe spingerci a valorizzare a pieno ciò che si ha, permettendoci così di continuare o di provare ad amare ancora. È un aspetto ambivalente quello di questa canzone, che in realtà fa parte di un album che racconta l’epopea della banda Doolin-Dalton, oscura posse di fuorilegge del far west realmente esistita. Il periodo della loro storia raccontato nell’album è quello del sanguinoso epilogo della rapina a Coffeyville, nel Kansas, ma le canzoni dell’album tendono a creare un ideale parallelismo fra la figura del fuorilegge e quello della rockstar, entrambi romanticamente visti al di fuori della società.
James Dean
Una delle canzoni degli Eagles assolutamente imperdibile è James Dean. Una canzone potente, forte e dinamica, tratta dall’ album On the Border del 1974. Scritta da Don Henley, Glenn Frey, che la interpreta vocalmente, Jackson Browne e John David Souther, nasce come omaggio al famosissimo attore James Dean, figura iconica di Hollywood che negli anni ’50 rappresentava un po’ l’incarnazione del ribelle che Elvis Presley non aveva saputo ben caratterizzare, a causa di come veniva gestito dal suo manager. La strofa “Too fast to live, too young to die, bye bye / You were the lowdown rebel if there ever was / Even if you had no cause” semplifica l’epilogo e il breve trascorso del ribelle senza causa con cui Dean è iconograficamente ricordato oggi. Una caratteristica che richiama l’epilogo della sua vita è il rombo della sua Spider alla fine del brano, che si inserisce nel mood del brano per ricordare sia la velocità a cui ha condotto la sua vita che la sua tragica morte, in un incidente stradale a soli 24 anni. L’album On the border salutò non solo l’ingresso negli Eagles di un quinto elemento, Don “Fingers” Felder, ma anche la brusca virata verso il rock del gruppo, cosa che avrebbe portato poi all’abbandono prima di Bernie Leadon, nel 1976, che di Randy Meisner, nel 1978, considerando che i restanti Frey e Henley avevano ormai assunto saldamente il controllo del gruppo, sia come autori che come leader.
Hole in the World
L’ultima delle canzoni degli Eagles proposte è Hole in the World, brano che venne scritto in seguito alle profonde riflessioni causate dagli strazianti eventi dell’11 settembre 2001, un orrore che mai gli USA avrebbero pensato di poter vivere in prima persona. Scritta da Don Henley, interprete vocale della canzone, e Glenn Frey, principali autori e leader degli Eagles, fu pubblicata come singolo nel 2003 ed inclusa in un’ennesima raccolta di successi che fu anche scintilla d’avvio per quello che ironicamente avrebbero chiamato Farewell Tour – Part I. È ovvio che scrivere il brano è stato un processo catartico per la band e questo si nota dalla potente carica emotiva che ben viene espressa dall’arrangiamento molto ispirato alla soul music, una delle correnti da sempre presenti nelle canzoni degli Eagles dopo il loro progressivo allontanamento dal sound country rock degli inizi. L’introduzione “There’s a hole in the world tonight, there’s a cloud of fear and sorrow” direbbe già tutto, ma Henley è da sempre un bravo autore di testi che riesce, a seconda dei casi, nella sua sintesi ad esprimere una vasta rosa di sentimenti. Questo è il verso con cui gli Eagles vogliono far trasparire quel senso di vuoto e perdita che purtroppo molte persone hanno provato in quel maledetto giorno. Ma la speranza prende le mosse dalla stessa melodia, quando le parole cambiano in “There’s a hole in the world tonight, don’t let there be a hole in the world tomorrow”, in questa seconda parte evocativa di un sentimento di speranza verso un futuro migliore, evidenziato maggiormente dal salto di tonalità. L’ascoltatore è invitato ad una riflessione sulla necessità di tendere al raggiungimento di una volontà collettiva; quella unità necessaria soprattutto in momenti in cui il mondo sembra essere frammentato dalla paura e dalla sofferenza causate da tragici eventi. La struttura musicale data dagli strumenti, rispetto ad altre canzoni della band, è relativamente semplice, permettendo alle voci di chi canta di emergere in primo piano. L’importanza di questa canzone va ben oltre il contesto specifico degli attacchi dell’11 settembre, recando un messaggio che non vale solo per gli USA ma per tutto il mondo e nel contempo restando senza tempo.
Quattro anni dopo gli Eagles avrebbero pubblicato ultimo album in studio, Long Road out of Eden. Dopo un breve attimo di smarrimento dovuto alla scomparsa di Glenn Frey, avvenuta nel 2016, gli Eagles hanno ripreso la loro attività live, in una formazione che al fianco di Don Henley vede Joe Walsh (con gli Eagles dal 1976 in sostituzione di Bernie Leadon) e Timothy B. Schmit (dal 1978 in sostituzione di Randy Meisner). Con l’aggiunta di Deacon Frey, figlio di Glenn, ed il cantautore Vince Gill, gli Eagles in questo 2024 hanno intrapreso il loro vero tour d’addio, per ovvie ragioni anagrafiche, dall’elegiaco nome The Long Goodbye.
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