Canzoni di John Maus: 5 da ascoltare

Ci sono artisti che non cercano l’ascoltatore. Rimangono lì, in un angolo obliquo del tempo, in attesa che qualcuno inciampi nella loro voce come in un sogno che non si capisce subito. John Maus è uno di questi. Filosofo e musicista, canta da dentro un mondo che sembra venire dal futuro, ma attraverso un televisore sintonizzato male sugli anni ’80. Nelle canzoni di John Maus c’è un cocktail di dolore, solitudine, ironia, abissi e nostalgia.

Canzoni di John Maus: il pensiero e la voce dell’artista

John Maus è una delle figure più enigmatiche e affascinanti della musica indipendente americana. Ha sempre viaggiato ai margini della scena pop, costruendo un universo sonoro fatto di voci cavernose e testi ossessivi. Dopo una laurea in music composition e un dottorato in filosofia politica (ha studiato con la figura di culto Ariel Pink), Maus ha alternato lunghi silenzi a ritorni intensi e visionari.

La sua tesi, intitolata Communication and Control, esplora come tecnologie informatiche e modalità di potere distribuite caratterizzino le moderne “società di controllo”. Durante i suoi studi alla European Graduate School (Saas-Fee, Svizzera), è stato fortemente influenzato da pensatori contemporanei come Alain Badiou, da cui trae anche il celebre titolo dell’album We Must Become the Pitiless Censors of Ourselves (2011), e ha approfondito temi cari a Foucault, Žižek, Althusser e Guy Debord.

In un’intervista per The Quietus afferma che le sue scelte melodiche e testuali sono “in protesta contro gli ideali neoliberali”, mescolando elementi anni ’80 e modalità medievali nel tentativo di articolare “una risposta universale all’adesso”. Cinque brani per iniziare a sentirlo, non solo ad ascoltarlo.

Canzoni di John Maus
Fonte immagine: Wikipedia (Henry W. Laurisch)

Canzoni di John Maus: cinque consigliate

  1. Just Wait Til Next Year (dal disco Love Is Real, 2007)

Una delle canzoni più dolenti e speranzose allo stesso tempo. La voce di Maus sembra uscire da un altoparlante arrugginito mentre continua a ripetere il mantra: “Just wait til next year” (Aspetta solo fino all’anno prossimo). È una canzone sul rinvio, sulla malinconia del tempo che non è ancora arrivato ma che promette una redenzione vaga. Come se fosse rivolta a qualcuno che non tornerà più o forse al sé stesso del passato.

Secondo una chiave di lettura più filosofica, tenendo anche conto della formazione di Maus, questo brano è anche la promessa di un tempo a venire, ma continuamente rimandato. Il futuro diventa un oggetto mitico, irraggiungibile. Qui si riflette l’impotenza dell’agire soggettivo in un’epoca di post-politica, proprio come nei concetti di Badiou o Mark Fisher.

  1. My Whole World is Coming Apart (dal disco We Must Become the Pitiless Censors of Ourselves, 2011)

Qui il titolo è già tutta la canzone. È apocalittica e minimale, scandita da un synth marziale che sfonda il cuore. “My whole world is coming apart” (Il mio mondo sta cadendo a pezzi per intero) viene ripetuto come un grido robotico, che però è pieno di carne, di sangue. La musica ti travolge come una rivelazione notturna: le cose si stanno davvero disgregando, ma in questa disgregazione c’è una verità.

  1. Molly (dal disco Songs, 2006)

Molly è una delle sue canzoni più “pop” e dirette. Ma attenzione: è un pop filtrato e deformato, un po’ espressionista. È come guardare una vecchia foto degli anni ’80 bagnata dalla pioggia: c’è qualcosa di intimo e opaco allo stesso tempo. Il testo è minimale, ripetitivo, quasi ipnotico, ma dietro si intravede un’ossessione romantica. Molly è un nome, forse una ragazza, forse un’idea. In ogni caso, Molly è irraggiungibile e ogni nota di questo brano sembra volercelo ricordare in maniera tagliente.

  1. Hey Moon (dal disco We Must Become the Pitiless Censors of Ourselves, 2011)

Una ballata rarefatta e spettrale. Il brano è in realtà una cover (di Molly Nilsson), ma nella voce di Maus diventa un sussurro lunare, come se la canzone fosse cantata da qualcuno che guarda la Terra da un luogo lontanissimo dello spazio. “Hey Moon, it’s just you and me tonight” (Hey Luna, ci siamo solo io e te stanotte).

È l’invocazione di un solitario cosmico. Una ninna nanna triste, per quando il mondo dorme e tu resti sveglio a pensare. La luna diventa un tu silenzioso, immobile, come Dio o l’Assoluto. È una forma di trascendenza laica, che richiama la tensione di Badiou verso l’eterno, l’evento. L’amore non è più relazione interumana ma distanza, dislocamento cosmico.

  1. Keep Pushing On (dal disco Love Is Real, 2007)

È quasi un inno al resistere. “Keep pushing on” (Continua a spingere, a darci dentro) viene ripetuto come un comandamento personale, ma il tono non è eroico: è disperato, ferito, ma allo stesso tempo ostinato e infermabile. La musica lo accompagna come una corsa stanca sotto la pioggia, ma si va avanti, sempre avanti. Non ci si ferma, si continua a procedere. È un brano perfetto per chi si è sentito almeno una volta naufrago e ha deciso comunque di non affondare.

Può essere letta come un inno nietzschiano alla perseveranza, ma in chiave tragica. L’imperativo ripetuto ricorda l’etica dell’autosorveglianza neoliberale, ma Maus la piega verso l’esaurimento, il paradosso. Qui si sente l’influenza della critica ideologica di Žižek: ciò che sembra motivazionale è in realtà un dispositivo di controllo.

Conclusione

Ascoltare John Maus significa entrare in un territorio emotivo e intellettuale poco battuto, dove il pop si deforma, si spiritualizza quasi. In un’epoca dominata da canzoni usa e getta, Maus offre un posto dove si può ancora credere che una canzone possa dire qualcosa di vero, anche quando non si capisce del tutto cosa.

Le sue canzoni sono allo stesso tempo romantiche e distopiche, teatrali e sincere. Un attimo riescono a spiazzare per la loro semplicità, quello dopo per lo sfarzo sonoro. John Maus è più che un semplice musicista: è un costruttore di atmosfere. Un outsider vero. Un artista per chi cerca qualcosa che non sa spiegare.

Fonte immagine in evidenza: Wikipedia (Henry W. Laurisch)

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