Canzoni rap napoletane: un fenomeno in divenire

canzoni rap napoletane

Pensare al rap partenopeo e di conseguenza alle canzoni rap napoletane significa riflettere su un fenomeno in divenire che dall’inizio degli anni ’90 del secolo scorso si è alimentato di se stesso. Il rap costituisce la necessità di dare parola viva alla tradizione e alle classi sociali emarginate dal perbenismo borghese e neocapitalista che si insediò nell’Italia del boom economico. Tale necessità si realizza in una forma di espressione e d’arte che i rapper sono riusciti a plasmare, costantemente rianimati e riattizzati dalla forza, il riscatto testimoniato da amatori vecchi e nuovi. Le canzoni rap napoletane non potevano in tal senso non adottare la forma propria del vernacolo, propria in quanto genuinamente usata quale unica forma di comunicazione (possibile e necessaria) dalla classe popolare, in netto contrasto con una certa affettazione contemporanea. Una sintesi semplice, questa, delle molteplici significanze espresse dalle canzoni rap napoletane, spesso vere e proprie poesie.

Le canzoni rap napoletane, l’inizio: i 99 Posse e La famiglia

ANNUS DOMINI 1993: è questo, con precisione, l’anno in cui prendono forma, in moto ascensionale, dal basso verso l’alto, le aspirazioni di chi ha bisogno di portare avanti un riscatto non solo individuale, ma soprattutto generazionale. È l’anno della più famosa tra le canzoni rap napoletane, ovvero Curre curre guaglió, traccia che confluisce e intitola l’omonimo e primo album dei 99 Posse (già formatisi nel 1991 e costituiti da Luca Persico, in arte ‘O Zulù, Marco Messina, Massimo Jovine, in arte JRM, e Sacha Ricci). Soffermandosi sulla traccia principale, Curre curre guaglió è da considerarsi un vero e proprio inno generazionale che fa dell’esperienza individuale del gruppo (l’occupazione dell’allora spazio autogestito dell’Officina 99, tra Poggioreale e Gianturco nella periferia di Napoli) un’esperienza comunitaria finalizzata alla denuncia di una condizione di abbandono sociale a cui le stanze del potere restano sorde, salvo poi, com’è in uso dalla politica, dimostrare buonismo paternalistico in occasioni elettorali.

La voce comune e comunitaria che proviene dal basso trova la sua alta espressione nel gruppo La famiglia (Paolo Romano, Alberto Cretara e Simone Cavagnuolo, in arte rispettivamente Shaone, Polo e DJ Simi) formatosi nel 1993 e con all’attivo due album, Quarantunesimo parallelo (1998) e Pacco (2004). In particolare, La famiglia si fa, nelle forme e nei modi espressivi, diretta erede dell’hip hop d’oltreoceano, innestando sincopate timbriche apparentemente anglofone nella misura piana della lingua partenopea. Musicalmente, può essere esempio di ciò il capolavoro Odissea, vero e proprio inno all’ideale di Napoli come città eterna, in cui Sha One rappa con un ritmo prevalentemente giambico (alternanza di sillabe toniche e atone) e Polo con un ritmo dattilico (che fa seguire a una sillaba tonica due atone). Ad essa vanno aggiunte la sottile e intelligentissima, nonché esilarante, Prrr (onomatopea del napoletano ‘pernacchio’), in cui si immagina il confronto linguistico tra un italiano imborghesito e svuotato della sua pregnanza storica e letteraria e un dialetto vivo e travolgente, e la canzone La famiglia, che esprime le intenzioni dell’intero Quarantunesimo parallelo: partendo dal dato geografico del parallelo 41 che attraversa Napoli e New York si vuole istituire un legame ideologico e ideale tra l’hip hop americano e quello partenopeo, un’unica grande “famiglia” che riunisce modi e pensieri spazialmente lontani.

La cultura hip hop: alcuni epigoni

Importanti tasselli di tale panorama sono anche le canzoni rap napoletane di Speaker Cenzou (Vincenzo Artigiano), che vanta collaborazioni importanti con gruppi come i citati 99 Posse e La Famiglia; Cenzou è inoltre stato tra i fondatori dei Sangue Mostro nel 2006 (Ekspo, Ale Zin, 2phast, ‘O kiatt e Cenzou), dei quali si ricorda il singolo Stamm venenn (2013). Ritornando a Speaker Cenzou, si ricorda il suo volume #Ammostro, a cura di Krom, con prefazione di Enzo Avitabile (Napoli, Sugo Edizioni, 2017): un’autobiografia umana che finisce pregevolmente per diventare una vera e propria biografia della cultura hip hop partenopea; per quanto riguarda l’attività musicale, sono da menzionare i dischi Il bambino cattivo (1996), Malastrada (1999) e il recente BC20 Director’s cut (2018). Uno dei temi principali di Cenzou, com’è naturale che sia, è quello della “strada”: nelle sue rime essa non è semplice ambiente, ma personaggio vivo e carnoso, insanguato dalle vite di tante donne e tanti uomini che devono fare i conti con una realtà quotidiana difficile da affrontare. In questo, si inseriscono le parole di Cenzou, dedicate tanto a chi affronta e vince le difficoltà quanto — forse maggiormente — a chi ugualmente affronta quelle stesse difficoltà, ma purtroppo ne viene sopraffatto. Ricordiamo, così, L’ultima parola (ne Il bambino cattivo, 1996; remix 1997), A San Gaetano e Seguimi. L’ultima parola, (entrambe in BC20, 2018), queste ultime due in collaborazione con PeppOh (Giuseppe Sica), altra voce innovativa del contesto hip hop, in quanto al ritmo rap fonde caratteristiche vocalità soul che rendono indimenticabili brani come Chesta nott’ (in Sono un cantante di rap, 2015), Nuvole Blues, Nuvole Jazz e Nuvole Soul (in Nuvole nuove, 2019).

Questi elencati sono solo alcuni tra i grandi del genere hip hop e ugualmente quelle menzionate sono solo alcune tra le più belle canzoni rap napoletane. Come avviene nell’opera anche di altri cantautori di canzoni rap napoletane (tra cui si vuole ancora almeno accennare al gruppo dei 13 bastardi), i brani incarnano valori simili a quelli precedentemente accennati grazie ai quali, nelle tracce, si palesano realtà sociali a cui risulta necessario offrire una forma di riscatto e speranza attraverso i personali ritmi musicali.

Uno stile, una musica, un genere che trova spazio per esprimersi con forza tra le strade di Napoli.

Fonte immagine: Officina 99, Napoli, da FourSquare City Guide.

A proposito di Salvatore Di Marzo

Salvatore Di Marzo, laureato con lode alla Federico II di Napoli, è docente di Lettere presso la scuola secondaria. Ha collaborato con la rivista on-line Grado zero (2015-2016) ed è stato redattore presso Teatro.it (2016-2018). Coautore, insieme con Roberta Attanasio, di due sillogi poetiche ("Euritmie", 2015; "I mirti ai lauri sparsi", 2017), alcune poesie sono pubblicate su siti e riviste, tradotte in bielorusso, ucraino e russo. Ha pubblicato saggi e recensioni letterarie presso riviste accademiche e alcuni interventi in cataloghi di mostre. Per Eroica Fenice scrive di arte, di musica, di eventi e riflessioni di vario genere.

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