Giovanni Amirante: Movimento è il nuovo singolo

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Giovanni Amirante è un cantautore gentile, classe 1993, con il dono della parola poetica. Ad Ottobre è uscito il suo primo brano Dieci Ettari, l’11 dicembre è la volta di Movimento, secondo singolo, secondo capitolo per il cantautore, che attraverso musiche dall’ampio respiro è in grado di raccontare piccoli attimi di vita, celebrati attraverso parole mai retoriche. In un momento in cui sembra esser fermi, Giovanni Amirante pubblica Movimento, un brano che ci porta altrove, anche in un’altra dimensione storica, dove non contano i numeri, gli stream, le direzioni dell’oggi, ma contano il cuore, la verità, l’autenticità.

Abbiamo intervistato Giovanni Amirante

Dieci Ettari, Movimento. Qual è la poetica filo rosso delle tue canzoni? Come ti poni nella scelta delle parole da utilizzare?

Non so se si possa già parlare di poetica. Sicuramente queste due canzoni sono legate da un’idea sonora, che è quella di creare uno spazio comodo per le parole. Entrambe vanno oltre i quattro minuti e non hanno un vero e proprio ritornello, quindi direi che il filo rosso sta proprio in questa esigenza di dilungarsi, di sviscerare un concetto. A volte ripeto una frase già detta operando piccole variazioni, e in questo c’è proprio un intento di autocorrezione. Non c’è il lavoro di cesello di un pezzo pop, in cui ogni parola è in qualche modo decisiva e funzionale; vorrei piuttosto che si percepisse, interna al testo, la falla, o il rimuginio della scrittura.

Movimento esce in un momento storico in cui siamo fermi. A quale movimento ti riferisci nella canzone?

C’è una doppia sfumatura nel titolo. È il movimento dell’altro, che può essere un gesto minimo, una smorfia, qualsiasi cosa si presti a diventare, nel nostro ricordo, identificativa di una persona. Sanguineti ha scritto che di un uomo sopravvivono poche cose: i tic, i detti memorabili, i lapsus; quindi le estrosità o le imperfezioni, insomma ciò che ti fa sentire di conoscere davvero qualcuno. E poi c’è il movimento dell’io, che è un effetto del movimento dell’altro. Nella canzone, infatti, la parola è affidata a una persona che oscilla tra varie azioni in modo febbrile. L’irrequietezza, dunque, è una conseguenza della “dolce ossessione” del conoscere, che può rivelarsi però “sola impressione”. È una delle varianti tra prima e seconda strofa, ma lascio che ognuno scelga a quale delle due credere.

Come nasce la collaborazione con Luca Cappuccio? Come il violoncellista ha contaminato la tua idea musicale?

Io e Luca già suonato insieme precedentemente, ma questa collaborazione è nata l’anno scorso, e letteralmente in movimento: lui tornava in macchina dall’Olanda, dove stava curando dei progetti musicali, quando gli inviai una registrazione casalinga di Dieci Ettari; la canzone gli piacque molto, nonostante gliel’avessi presentata con un arrangiamento di congas decisamente non indimenticabile; archiviate le congas, iniziammo subito a lavorarci.Lavorare con Luca è stata per me una vera e propria svolta: oltre all’emozione di vedere un mio pezzo prodotto per la prima volta in maniera professionale, mi ha aiutato a capire cosa potessi essere in musica. In uno dei nostri primi incontri mi disse che un produttore non deve stravolgere, ma ampliare ciò che già sei. In un certo senso portare te stesso alle estreme conseguenze.

Oggi la musica dei grandi numeri è meno ricerca e più immediatezza. Cosa ne pensi a riguardo?

Credo che sia un periodo piuttosto imprevedibile dal punto di vista musicale. Cambia di anno in anno anche il concetto di immediatezza; basti pensare all’indie che diventa it-pop, conquista gli stadi e poi inizia ad intristirsi. Le tendenze musicali si aggiornano a ritmi più frenetici, mi pare, man mano che andiamo avanti. In realtà apprezzo chi riesce a cucire brani su misura, adatti al momento : è un lavoro che richiede molto intuito e può essere assimilato a un’opera su commissione, quindi bisogna essere bravi artigiani, in un certo senso. Però nella maggior parte dei casi è musica che non resiste alla prova del tempo. Laddove c’è ricerca, invece, c’è ricchezza di significati e spesso accade che le generazioni successive ne trovino di nuovi. La ricerca è anche un atto di altruismo.

Cosa non può mancare nella playlist che ascolta Giovanni Amirante?

Vado in ordine sparso: Sufjan Stevens, The Radio Dept., Capossela, Dimartino, Colapesce, Glen Hansard, Lisa Hannigan, Villagers, Bon Iver. Spotify dice che l’artista che ho ascoltato di più nel 2020 è John Blek, un cantautore irlandese di Cork. L’ho scoperto durante un viaggio a Dublino. In generale, però, non mi ritengo un ascoltatore forte: ho le mie fisse, diciamo, la mia comfort-zone musicale; assecondo la pigrizia del mio segno di terra anche in questo.

[foto di Ufficio Stampa]

A proposito di Alessandra Nazzaro

Nata e cresciuta a Napoli, classe 1996, sotto il segno dei Gemelli. Cantautrice, in arte Lena A., appassionata di musica, cinema e teatro. Studia Filologia Moderna all'Università Federico II di Napoli.

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