Grilli è l’ultima uscita di Lou Mornero

Grilli

Il ritorno di Lou Mornero con Grilli

Lou Mornero, cantautore milanese, è da poco uscito con un nuovo lavoro, “Grilli“, a cinque anni di distanza dall’omonimo EP, tra i prodotti più interessanti della recente scena indipendente italiana. “Grilli” è il frutto di nuova collaborazione con lo storico produttore di Lou, Andrea Mottadelli, e promette di ripetere il successo di quanto fatto in passato. Eroica Fenice ha avuto il piacere di parlare con Lou Mornero del suo nuovo disco, disponibile su tutte le maggiori piattaforme digitali, e quanto segue è il breve resoconto di quanto detto.

Ciao Lou, come è nato “Grilli”? Raccontaci la genesi dell’album.

Ciao Matteo, come forse sai, è passato del tempo dal precedente lavoro, si parla del 2017 e si trattava di un EP composto da cinque brani.

E’ semplicemente riaffiorata la volontà di condividere canzoni inedite in un formato che ne contenesse un numero maggiore e così ne ho confezionate otto nella raccolta intitolata “Grilli”.

Non si tratta esclusivamente di materiale nuovo; alcune canzoni infatti arrivano dal passato, anche parecchio in là, ma hanno trovato la giusta collocazione solo oggi.

Qual è stato l’aspetto più complesso nel registrare l’album? Hai avuto qualche influenza in particolare?

Sicuramente il fatto di lavorare a distanza con Andrea, la mente dietro agli arrangiamenti e alla produzione, non facilita le cose.

Io a Milano e lui a Londra, immersi in lunghe sessioni di video call e con l’utilizzo di software che permettono di connettere i pc a distanza.

In questo modo ne siamo venuti a capo prendendoci il tempo che ci è voluto, senza particolari pressioni.

Questo forse l’aspetto più complesso, se si considera che tutto, eccetto “Ouverture”, è stato suonato e registrato nei nostri home studio evitando agilmente eventuali ostacoli dovuti alle recenti restrizioni che conosciamo bene.

Parlando invece di influenze non me la cavo mai granché bene a citare nomi e cognomi.

Ascoltando tanta musica diversa pesco inconsciamente un po’ di qua e po’ di là ed è un lato del mio far musica che reputo essenziale.

Mi piace mischiare epoche, razze, culture e generi e fortunatamente è un approccio condiviso in egual misura anche da Andrea: per entrambi la musica è una questione che va oltre i generi e i tempi, appunto.

C’è un filo comune che lega le canzoni di “Grilli”? Hai un processo creativo ben preciso che ti porta a modellare la tua musica?

Il grande nesso tra le canzoni è la vita, di chi le scrive, che si narra al loro interno, l’intenzione sincera e umile di sviscerare i propri mondi attraverso un gusto e una poetica.

Anche le musiche, pur spaziando ed esplorando sonorità diverse che ben si amalgamano tra loro, mantengono identità distinte e peculiari accomunate alla base dal livello di produzione che si rivela attraverso la varietà di suoni, accorgimenti e soluzioni che Andrea ha realizzato durante lo sviluppo di ogni canzone.

Processi creativi consolidati non ne ho, nasce sempre un po’ tutto dal caso e dalla dose d’ispirazione che mi attraversa in quel momento.

In genere prendo la chitarra e seguo il mood.

Di certo il tutto è frutto di inesplicabili percorsi interni che si formano attraverso gli ascolti più vicini.

“Happy birthday songwriter”, per esempio, me la sono trovata in testa la notte successiva al concerto di Charles Bradley.

Evidentemente avevo bisogno di toccare con mano un po’ di musica soul.

C’è una canzone alla quale sei più legato delle altre?

Non saprei dire, non ci ho mai badato ma non credo. 

Ognuna di esse rappresenta un momento di personale immersione creativa ed espressione musicale che fotografa qualcosa di me allo stesso modo di tutte le altre.

Anche sforzandomi non riesco davvero a sentirmi legato in modo differente all’una piuttosto che all’altra, è un po’ come chiedere a un genitore quale dei suoi figli preferisca.

Il 2020 è stato un anno terribile per il mondo della musica. Come ha influenzato il tuo lavoro?

Sì, decisamente terribile e il 2021 non è che sia iniziato molto meglio, speriamo in una virata decisa e non troppo lontana.

L’assenza di concerti è una vera catastrofe da tutti i punti di visti dai quali si osserva il palcoscenico.

Detto ciò questo non ha influenzato particolarmente il disco poiché gran parte del materiale era già pronto prima che ci trovassimo catapultati in questo delirio, eccezion fatta per il testo di “Ouverture” che è stato scritto durante il lockdown ed effettivamente parla di giorni vuoti e vita lenta.

E ti dirò…la vita lenta non è poi stata così male in una città come Milano.

A proposito di Matteo Pelliccia

Cinefilo, musicofilo, mendicante di bellezza, venero Roger Federer come esperienza religiosa.

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