Il jazz di Nat King Cole: 3 canzoni da conoscere

Il jazz di Nat King Cole, oltre ad essere una delle espressioni più eleganti e sensibili del genere, si può anche considerare come un contributo alla dignità e alla visibilità degli artisti afroamericani soprattutto della prima metà del XX secolo. Con oltre 50 milioni di dischi venduti in tutto il mondo, Nat King Cole è stato inserito nella Rock and Roll Hall of Fame nel 2000 e nella Jazz Hall of Fame nel 1984 per la sua influenza e per il suo contributo determinante nello sviluppo del jazz e non solo, anche del pop e nel rhythm and blues, aprendo la strada a molti artisti che si sentiranno incoraggiati e stimolati dalla sua personalità.

I primi anni: un talento precoce

Nat King Cole, nome d’arte di Nathaniel Adams Coles, nacque in Alabama nel 1919, figlio di un pastore battista e di una suonatrice di organo; crebbe quindi in un ambiente fortemente religioso ma soprattutto dove la musica faceva parte della quotidianità. Quando, poco dopo la sua nascita, la famiglia si trasferì a Chicago, iniziò per il piccolo Cole la grande avventura nel mondo della musica: all’età di quattro anni Cole iniziò a suonare il pianoforte, aiutato dalla madre che ne riconobbe subito il talento e ne supportò la passione. Sebbene la sua preparazione fosse quasi completamente autodidatta, l’abilità sorprendente del giovane Cole lo portò gia all’età di 15 anni ad esibirsi nei locali di Chicago e da lì a pochi anni, insieme a Wesley Pince (contrabbasso) e Oscar Moore (chitarra) fonderà il King Cole Trio. Fu in quegli anni (primi anni ‘30) che Cole inserirà quel “King” prima a quello del trio, poi al suo nome: non un autocelebrazione come molti credono, ma semplicemente un gioco di parole ispirato alla filastrocca inglese “Old King Cole.

Il jazz di Nat King Cole: dal successo del King Cole Trio alla carriera solista

Nel 1937 il King Cole Trio era considerato un gruppo rivoluzionario perché in ovvio contrasto con le grandi big band e orchestre di quel periodo; eppure il loro suono intimo e raffinato, incentrato sul pianoforte di Cole, iniziò ad appassionare un pubblico sempre più vasto. La rapida ascesa del trio, grazie ad un mix di jazz, swing e ballads romantiche, li portò negli anni ‘40 a dover distaccarsi però dal loro stili puramente jazzistico e approcciare uno stile più pop, soprattutto a causa della pressione del mercato discografico. Lo stesso Cole, con riluttanza, diede più spazio alla sua voce che al suo pianoforte e al trio, quindi allo stile jazzistico, eppure questa scelta lo condusse ad una svolta epocale. Il suo primo successo da solista, “The Christmas song” (1946) gli consegnò un trionfo così importante che la sua carriera decollò a livello mondiale e gli valse addirittura la conduzione di un programma televisivo tutto suo (The Nat King Cole Show, 1956), diventando lui una delle prime star afroamericane ad avere uno spazio televisivo esclusivo. Il razzismo dell’epoca però non lo risparmiò: lo show fu cancellato dopo un anno per mancanza di sponsor; subì un’aggressione fisica durante un concerto a Birmingham, in Alabama, dove un gruppo di uomini bianchi affiliati al Ku Klux Klan salì sul palco e lo colpì violentemente alla schiena; a Los Angeles, nel quartiere in cui aveva comprato casa, ricevette intimidazioni di tutti i generi da parte del vicinato che non lo riteneva un vicino “desiderabile”. Inutile poi menzionare le altre vergognose discriminazioni che subì nei locali in cui si esibiva o negli hotel in cui alloggiava e doveva viaggiare con il “Green Book”, una guida per trovare luoghi sicuri per gli afroamericani in viaggio. A questo si aggiunsero anche le critiche di molti attivisti afroamericani di quegli anni, tra cui Malcolm X, che lo accusavano di non essere “abbastanza militante”.  Eppure Nat King Cole era la sfida in persona di quel sistema razzista: la sua musica era un vero e proprio atto politico perché in grado di sfidare apertamente i pregiudizi dominanti del periodo. 

Il jazz di Nat King Cole: 3 canzoni da ascoltare

Nonostante la fama globale Nat King Cole la raggiunse dopo l’approdo al pop, la sua anima era jazz e qui seguono tre dei suoi brani più celebri arricchiti con piccoli aneddoti.

“Route 66” (1946)

Scritta da Bobby Troup e registrata da Nat King Cole con il King Cole Trio per la Capital Records, Route 66 è un brano che celebra l’omonima strada americana che collega Chicago a Los Angeles. La versione del trio è piena di swing, è energica e ricca di virtuosismi pianistici, e diventò talmente iconica da essere reinterpretata da artisti come Chuck Berry, gli immancabili Rolling Stones e John Mayer. Un piccola curiosità sul brano riguarda Bobby Troup che scrisse il testo durante un viaggio lungo la Route 66, e Cole la incise così rapidamente da renderla un successo radiofonico in pochissimo tempo. È uno dei rari casi in cui jazz, geografia e cultura pop americana si fondono perfettamente.

“Straighten Up and Fly Right” (1943)

Co-scritto da Nat King Cole e Irving Mills, questo brano fu un punto di svolta per il King Cole Trio. La canzone racconta la storia di un avvoltoio che dà un passaggio a una scimmia (una metafora sorprendentemente profonda sulla fiducia e l’inganno, tratta da una parabola che Cole ascoltò da bambino). Musicalmente, mescola swing, blues e armonie jazz vocali in modo unico. È stata considerata una delle prime vere hit crossover afroamericane.

“Nature Boy” (1948)

Questo brano nasce da una collaborazione tra Nat King Cole e eden ahbez (scritto in minuscolo come lui preferiva), compositore, poeta e figura controculturale americana che viveva come un eremita in una tenda sotto la scritta “Hollywood” e si presentò di persona a Cole per fargli ascoltare la canzone; Cole ne fu talmente colpito da volerla registrare immediatamente: al brano fu aggiunto un accompagnamento orchestrale e, insieme ad una melodia che evoca un’atmosfera quasi mistica, il capolavoro è presto fatto. Il testo parla di un ragazzo saggio che predica l’amore come massima virtù umana, rendendo così questo brano uno dei momenti più poetici della sua carriera. 

Il jazz di Nat King Cole: conclusione

Nat King Cole era un fumatore accanito, arrivava fumare tre pacchetti di sigarette al giorno e fumava anche durante le sedute di registrazione perché diceva che “fumare rende la mia voce più calda”. Quando nel Dicembre del 1964 gli venne diagnosticato un tumore maligno ai polmoni, si sottopose a radioterapie e interventi chirurgici, ma il male era già ad un punto troppo avanzato e se lo portò via prematuramente il 15 febbraio 1965, a soli 45 anni. Nat King Cole ha lasciato un’eredità artistica impareggiabile perché è riuscito a coniugare insieme diversi aspetti di quest’arte e oggi il suo incredibile talento continua ancora a toccare il cuore di milioni di persone, amanti del jazz e non. Anche la sua personalità, composta ed elegante, lo hanno reso un pioniere (discutibile o no) dei diritti civili, che con orgoglio ha sempre messo il dialogo in primo piano e non altri mezzi, difendendo così il valore e la dignità delle comunità afroamericane; come cantava in Nature boy, le parole “the greatest thing you’ll ever learn / Is just to love and be loved in return” ci ricordano che amore e arte possono cambiare il mondo.

Fonte immagine: commons.wikimedia.org/wiki/ (By Unknown author – Ad on page 187 of Billboard 1944 Music Yearbook, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=42544150)

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