Lo scorso 10 ottobre, il musicista Guido Leoni, in arte Leoni, ha debuttato con il suo primo album FERNWEH, un progetto curato dal produttore Lorenzo Muscari. Con sette brani, l’artista si presenta al pubblico in tutta la sua fragilità ed emotività, esplorando un mondo che non esiste più ma che ritiene importante ricordare e raccontare. Il termine tedesco Fernweh descrive una nostalgia per luoghi lontani e mai visti, un concetto che permea l’intero lavoro. Con la collaborazione di Muscari alla chitarra acustica ed elettrica, alle programmazioni synth e tastiere, Tiziano Fulceri al pianoforte, Federico Bertelà alla batteria e al basso ed Emanuele Meconi alla batteria per due brani, Leoni ci regala un viaggio che va dal pop all’elettronica e al rock, affrontando tematiche come la disgregazione dell’anima, la solitudine e il dolore. Abbiamo avuto la possibilità di intervistare l’artista per comprendere più a fondo la sua storia e il racconto celato tra le note di FERNWEH.

Hai iniziato questo tuo percorso di crescita musicale con il maestro Antonio Agostini. Quali sono stati i suoi più grandi insegnamenti e quali ricordi sono a te particolarmente cari di questo periodo?
Antonio è stato una figura fondamentale nel mio percorso. Se devo in poche righe evidenziare il più grande insegnamento che mi ha trasmesso è stato sicuramente quello di differenziare l’oggettività dalla soggettività, e anche quanto sia importante lo studio, non dal punto di vista prettamente “scolastico” quanto volto ad avere semplicemente più “chiavi” da aggiungere al proprio mazzo… così da aumentare le possibilità di aprire delle “porte” che incontriamo nel nostro percorso.
I ricordi cari di quel periodo sono tanti. Ma più che a un ricordo sono molto legato a una sensazione, cerco di spiegarla: in quel periodo io avevo una posizione lavorativa già definita e una strada spianata davanti e decisi di mollare tutto per dedicarmi alla scrittura e allo studio della musica. Le cose poi non andarono come avrei voluto, ma la sensazione che provai nel “destrutturare” una vita già impostata (la mia) e non tanto per rincorrere banalmente un sogno… Ma proprio per andare verso ciò che volevo veramente, a discapito delle conseguenze… Ecco, quella sensazione è decisamente quella alla quale sono più legato ed è la più identificativa di quel periodo.
Hai iniziato a scrivere da molto piccolo. Qual è stato il tuo primo approccio all’arte e da dove nasce la necessità di scrivere?
Il mio primo approccio all’arte in generale lo devo a mio padre. Essendo stato lui un professore di storia dell’arte ha naturalmente contaminato la mia vita con essa sin dall’infanzia.
Ma lo devo anche a mia madre, in realtà. In modo più etereo, sicuramente… Ricordo quando pioveva e mi invitava ad ascoltare quanto fosse “bello” il rumore della pioggia… Beh, per me anche quella era arte.
Mentre la mia necessità di scrivere è nata appunto da un’esigenza. Non ci sono molte altre spiegazioni, è un linguaggio come un altro. Non ho avuto influenze o esempi particolari, l’ho sempre dovuto e voluto fare e basta.
Dai molta importanza all’esperienza singolare di ogni ascoltatore, più che esplicare in maniera precisa quale sia il messaggio del tuo album. Credi che nell’arte sia più importante dare un messaggio chiaro e diretto oppure lasciare che sia l’arte stessa a parlare alle persone?
Deve parlare da sé. E deve sicuramente dare vita a esperienze diverse nelle persone. Magari proprio per questo potrà domani ispirare qualcun altro a scrivere o a creare qualcosa di migliore, di più bello. Non ci deve essere un libretto d’istruzioni, per queste cose. L’arte, la musica, o qualunque altra forma d’espressione… Non è nostra, siamo noi al suo servizio. Sono molto fermo su questo concetto.
Il tuo album parla di un “mondo che non esiste più ma che è doveroso raccontare”. Di che mondo si sta parlando e che rapporto hai con esso?
Sto parlando, in maniera profonda, di un mondo che non esiste più. Sto parlando di un distaccamento che avverto rispetto a ciò che è veramente importante da parte di tutti. Sto parlando di una situazione che è degradata a livello intellettuale, filosofico, sociale… Sto parlando di quello che vedo e che è, oggettivamente, sotto gli occhi di tutti.
Il mio rapporto con tutto questo non conta niente, conta piuttosto che la mia visione, il mio punto di vista, possa in qualche modo generare qualcosa nell’ascoltatore, nel pubblico.
Chiaramente il titolo è “legato” concettualmente a tutto quanto è dentro questo lavoro…
Hai affermato di essere perennemente in fase creativa. Come riesci a canalizzare e selezionare le idee da cui poi ricavi i tuoi pezzi?
Mah, credo che sia un processo che avviene quasi in automatico. Quando ero più giovane avevo più difficoltà a selezionare e scremare tutto. Adesso è come se la scrematura avvenisse in diretta… Probabilmente perché ho sempre meno “spazio” a disposizione… Il bello e il brutto dell’invecchiare.
Lorenzo Muscari ha avuto un ruolo fondamentale nella realizzazione del tuo album Fernweh. Com’è stato lavorare con lui?
Lavorare con Lorenzo è stata un’esperienza incredibile, che dovrebbe fare chiunque lavori e soprattutto ami la musica. Grazie a lui ho avuto la possibilità non di “subire” la trasformazione del mio materiale per la produzione dello stesso, bensì di condividere tutte le fasi, tutti gli aspetti, tutte le dinamiche che riguardano il lavoro immenso che sta dietro alla produzione di un album. Mi ha letteralmente e concretamente insegnato, dalla fase creativa fino alla post-produzione, cose che non avrei probabilmente mai avuto modo di conoscere senza il suo incontro. L’esperienza che ho maturato grazie a Muscari è inestimabile.
Da quanto tempo sognavi di far nascere questo album? Quali sono ora le tue sensazioni dopo il debutto e hai già nuovi progetti in cantiere?
Non mi sono mai, e dico mai, legato ai sogni. Da questo punto di vista sono sempre stato molto concreto. Per questo sottolineo l’importanza di aver incontrato una persona come Lorenzo Muscari, perché gli obiettivi te li crei se c’è la giusta situazione. E Lorenzo è stato la persona giusta per far sì che io maturassi fortemente l’idea di fare questo album; prima non avevo questa ambizione.
Le mie sensazioni adesso sono quelle di aver “lasciato andare” una parte di me. In parte mi sento svuotato, in parte carico ed entusiasta. È una situazione piuttosto strana, ma credo sia normale.
I miei progetti sono quelli di portare live questo disco e sto lavorando duramente insieme ai miei musicisti proprio per questo. A breve comunicheremo tramite i canali social date e luoghi di esibizione.
In futuro poi vedremo, mi piacerebbe fare un altro album con l’esperienza che ho maturato facendo questo.
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