Musica elettronica, un genere in continuo movimento

Musica elettronica

Quando si parla di musica elettronica in genere si pensa a tutte quelle composizioni musicali che adoperano al loro interno strumentazioni elettroniche (sintetizzatori, computer, etc.). In realtà si tratta di una definizione molto labile e incerta, poiché nel corso della sua storia la musica elettronica è stata soggetta a tanti usi diversi: come supporto a generi già esistenti, come genere a sé stante e anche come laboratorio sempre aperto di sperimentazioni.

Proviamo allora a tracciare una storia della musica elettronica nelle sue fasi più salienti, dalle origini fino ai primi anni 2000, cercando di dare importanza tanto al suo lato di “work in progress” quanto a quello di elemento fondamentale per certe esperienze musicali. La vastità del argomento è tuttavia tale che non ci consentirà di analizzare ogni singola fase della musica elettronica, per cui rimandiamo a siti specializzati nel settore.

Storia dell musica elettronica

1900 – 1950: le prime sperimentazioni

Una prima fase di quella che si può definire “proto musica elettronica” ha inizio con l’introduzione del Terhemin, inventato dal fisico Lev Termen nel 1919. Consiste in un contenitore provvisto di due antenne, una posta verticalmente e l’altra lateralmente, le quali formano un campo elettromagnetico traducendolo in suono. La particolarità di questo strumento è che bisogna usare entrambe le mani per direzionare il suono e per regolarne l’intensità e il volume.

Tra i tanti che rimasero affascinati dal terhemin ci fu Maurice Martenot che ne sfruttò la tecnologia per dare vita all’Onde Maternot, presentato nel 1928. Si trattava di una tastiera ad 88 tasti sotto i quali era presente un nastro teso che, a differenza delle antenne dello strumento russo, poteva essere fatto oscillare per produrre suoni. Fu inventato per venire incontro a tutti quei musicisti abituati da sempre a suonare con strumenti acustici e poco inclini ad usare il terhemin.

Un anno fondamentale per la storia della musica elettronica è il 1933, quando l’ingegnere americano Laurens Hammond creò quello che fu ribattezzato come organo Hammond. Pensato come un’alternativa economica all’organo a canne, rispetto a quest’ultimo possedeva al suo interno delle ruote foniche alimentate (tonewhells). La loro rotazione formava un campo elettromagnetico che generava il suono. Questi veniva regolato tramite tiranti detti drawbars, i quali erano posti sotto la tastiera e permettevano di regolare il volume e l’intensità. In seguito l’organo Hammond fu potenziato tramite il Leslie, un meccanismo di altoparlanti montati su di un perno rotante che, una volta azionati, conferivano al suono quello che in fisica viene definito effetto Doppler. L’uso del Leslie si rivelò necessario per nascondere il fastidioso “click” dei tasti quando venivano pigiati, ma conferì all’Hammond un suono elettronico. Si può dire quindi che la musica elettronica sia nata proprio con questa “aggiunta necessaria”.

Dopo la seconda guerra mondiale iniziarono ad essere fondati studi di registrazione un po’ in il tutto il mondo, grazie anche al fatto che accanto ai già citati meccanismi furono aggiunte le innovazioni nel campo della registrazione della voce compiute durante l’ultimo conflitto. In Francia il compositore Pierre Schaeffer fu fautore di quella che è conosciuta come musica concreta, totalmente differente da quella elettronica. Infatti alla base vi era lo sfruttamento dei suoni della vita quotidiana prelevati tramite un registratore a nastro (magnetofono) che venivano poi rielaborati in studio tramite tecniche di montaggio.

Altri importanti studi erano lo Studio For Eletronic Music di Colonia fondato nel 1951 e lo Studio di fonologia della RAI fondato a Milano nel 1955. In questi due luoghi era presente ogni tipo di apparecchiatura come microfoni, altoparlanti e amplificatori che permisero a personalità come Karlheinz Stockhausen, Bruno Maderna e Luciano Beiro di dare vita a quella che viene definita “musica elettronica”.

Anni ’60 e’70, l’ascesa dei sintetizzatori e il loro uso nel progressive rock

Gli anni ’60 videro la comparsa negli studi di registrazione dei sintetizzatori, nuovi strumenti capaci di modulare il suono che si rivelarono fondamentali per la musica elettronica. Il primo nome che viene in mente quando si parla di questi strumenti è senza dubbio quello di Robert Moog, inventore nel 1963 del Modular Moog. Questo strumento sfruttava la tecnologia del theremin, ma aveva il difetto di essere molto ingombrante. Nonostante ciò ebbe largo successo, grazie anche al suo impiego presso band come i Beatles e i Rolling Stones, aprendo nel 1970 la strada al più comodo e maneggevole Minimoog.

Tra le innovazioni apportate da questo modello c’era la presenza di una rotella di modulazione che permetteva al tastierista di regolare la tonalità del suono. Tale innovazione fu largamente usata all’interno del progressive rock: Pink Floyd, Jethro Thull, King Crimson e molti altri complessi adoperarono spesso nelle loro canzoni strumentazione elettronica. Ad introdurre i sintetizzatori nel progressive rock italiano furono invece i PFM (Premiata Forneria Marconi), che usarono il minimoog nella celeberrima Impressioni di Settembre del 1979.

https://youtu.be/dBkvbdxd8JQ

Sul lato sperimentale anche Franco Battiato si dedicò alla musica elettronica nei primi anni della sua carriera. Tra i suoi brani più famosi risalenti a questo periodo va sicuramente citato Propiedad Prohibida, tratto dall’album Clic del 1979 e noto per essere da anni la sigla del rotocalco TG2 Dossier.

Anni ’70 – ’80, tra sperimentazione e mainstream

Gli stessi anni ’70 videro la nascita di gruppi che concepirono la musica elettronica come un genere a sé stante. Si trattava di complessi che intuivano l’atmosfera a cui essa rimandava: futuristica, meccanica e designatrice di scenari industriali popolati da macchine e automi.

I padri di questa tendenza furono i tedeschi Kraftwerk. Il loro stile, in continua evoluzione e fatto di un massiccio sfruttamento di componenti elettroniche quali la drum machine e i sequencer, aprì la strada a molti altri stili e tendenze della musica elettronica.

È però importante anche il fattore estetico con cui i Kraftwerk caricarono questa musica. Le sonorità sembravano richiamarsi proprio alle atmosfere futuriste e tecnologiche, enfatizzate anche dagli atteggiamenti e movimenti “robotici” che contraddistinguono i componenti della band. Non a caso, uno dei loro singoli più famosi si intitola The Robots, tratto dall’album The Man-Machine del 1978.

In questo decennio anche i compositori, la maggior parte impiegati nel mondo del cinema, sperimentano le potenzialità della musica elettronica. Tra i più importanti bisogna ricordare Vangelis, ex membro degli Aphrodite’s Child che con l’album di debutto 666 (1970) si avvicinò alla musica elettronica. Dopo lo scioglimento del gruppo Vangelis riesce nell’impresa di rendere la musica elettronica un prodotto della cultura di massa grazie anche ai spartiti per le colonne sonore di film come Momenti di gloria, Blade Runner, Il Gladiatore e molti altri.

https://youtu.be/JAwo7DPUFUM

Un altro noto compositore di musica elettronica è Brian Eno, inventore dell’ambient music. A detta dello stesso Eno si tratta di una musica che può essere «ascoltata attivamente con attenzione come può essere facilmente essere ignorata, a seconda della scelta dell’ascoltatore». L’ambient music, che Eno abbraccia fin da Discreet Music del 1975, ha quindi il compito di instillare in chi l’ascolta un’atmosfera particolare, che cambia da soggetto a soggetto.

 

Sempre negli anni ’70 la musica elettronica sfoderò il suo lato più disimpegnato e festaiolo con la disco music. Nata negli Stati Uniti tra New York e Los Angeles, è un tipo di musica destinata ad essere suonata nelle discoteche e nei nightclub provvisti di enormi sale da ballo dal pavimento luminoso e di una sfera specchiata (gergalmente nota come “palla da discoteca”) che ruotava appesa al soffitto riflettendo le luci sulle pareti. Si tratta quindi di un tipo di musica elettronica destinato all’intrattenimento più puro e sfrenato.

A comporre la musica è un DJ (abbreviazione di Disc-Jockey o Dee-Jay) che tramite una consolle seleziona e riproduce brani già esistenti e diversi per suono tramite la tecnica del mixaggio, in modo da ricavarne un’unica melodia. Alcune volte il DJ mixa anche brani della musica soul e di quella latinoamericana.

Il compositore italiano Giorgio Moroder è considerato l’inventore della disco music. Compose anche canzoni come I Feel Love del 1977, interpretata da Donna Summer. Importanti per questo periodo sono anche i Bee Gees, la cui musica fece da colonna sonora a La Febbre del Sabato sera, film di John Badham interpretato da John Travolta che aumentò la popolarità della disco music. Popolarità che tuttavia andò scemando negli anni ’80 a causa dell’ ostracismo da parte dei fan del rock, avversi alla disco in quanto emblema del disimpegno incivile. In poco tempo le canzoni disco music, che fino a quel momento dominavano incontrastate le cime di ogni classifica, andarono via via scemando.

C’è da dire tuttavia che la disco music costituì le radici di un genere come la techno. Ebbe origine a Detroit a metà degli anni’80 e guardò sostanzialmente alla musica dei Kraftwerk per dare vita ad una musica sempre destinata al ballo, ma molto più oscura e dura della disco music. Inoltre si differenziava da quest’ultima per essere suonata all’interno dei rave party, feste non autorizzate che si tengono ancora oggi all’interno di luoghi come fabbriche abbandonate o boschi e che possono durare più di un giorno. I Cybotron sono considerati tra i fondatori principali della techno.

Un altro genere che andò a svilupparsi verso la fine degli anni ’70 fu l’hip hop. In realtà bisognerebbe parlare di una vera e propria cultura nata nei ghetti americani del Bronx e di Harlem a New York, popolati da afroamericani e altre minoranze etniche che si riunivano nei Block Party, feste di strada in cui i giovani dei quartieri si davano alla danza, al writing e, ovviamente, alla musica.

Anche la musica hip hop nasce come commistione di tecniche e culture varie, ma nemmeno qui poteva mancare la figura del Deejay. Questi faceva uso di trovate quali il campionamento di basi già esistenti, la riproduzione di strumenti musicali con la voce detta  beatboxing e lo scratching, ovvero la creazione di suoni ottenuta manipolando con le mani i vinili posti sopra la consolle.

DJKool Herch, pseudonimo di Clive Campbell, è considerato il fautore dell’hip hop e dei già citati Block Party. A Grandmaster Flash va invece riconosciuto il merito di aver inventato la tecnica dello scratching.

L’hip hop ha poi subito nel corso degli anni ’80 una particolare evoluzione. Dapprima relegato nei quartieri del ghetto, attraverso la fase denominata “new school” (1984-1992) iniziò ad acquistare popolarità. Le sonorità che caratterizzavano l’hip hop classico divennero più dure e aggressive, in concordanza con i temi sociali e politici che venivano trattati nelle canzoni. Esponenti importanti furono i Public Enemy e i Run DMC, questi ultimi noti per aver duettato con gli Aerosmith nella canzone Walk This Way unendo così le sonorità hip hop con quelle del rock. Su questo versante furono famosi anche i Beastie Boys, primo gruppo rap/hip hop formato da bianchi che nelle loro canzoni fusero sonorità punk e hip hop assieme.

 

Sempre alla fine degli anni ’70 si sviluppa in Inghilterra il synth pop, uno dei tanti esiti di quell’enorme movimento detto New Wave che vide molti gruppi rock abbandonare le radici blues in favore delle sonorità pop e disco. In particolare il synth pop, traducibile in italiano come “sintetizzatore pop”, univa le atmosfere della musica pop con gli elementi tipici della musica elettronica: drum machine, computer e sintetizzatore

Una delle band che fecero resero il synth pop un prodotto mainstream e quindi commerciabile furono i Duran Duran, con le loro melodie orecchiabili e facilmente apprezzabili. Stesso discorso vale per i tedeschi Alphaville, autori della ben nota hit Forever Young del 1984.

Identico successo lo ebbero anche i Depeche Mode, seppur la lunga carriera di questi ultimi si concentrò sulla ricerca di uno stile molto più oscuro e meccanico a partire dall’album A Broken Frame del 1982, lontano dall’immediatezza tipica di Duran Duran e simili.

Con queste premesse i Depeche Mode fecero da precursori ad un altro genere, quello delll’industrial rock. Rappresenta un’evoluzione dell’industrial music, in quanto unisce suoni e rumori tipici del mondo cittadino e industriale con le chitarre e le batterie del rock. I Cabaret Voltaire sono considerati una dei primi complessi industrial rock, anche se le loro sonorità sembrano molto più legate alla disco.

Un sottogenere delll’industrial rock è l’industrial metal. Come è facile intuire si tratta di unire le basi tipiche della musica metal (chitarre, parti cantate in scream o senza) assieme alle caratteristiche della musica elettronica (sintetizzatori, batterie elettroniche, computer). Tra i gruppi più importanti di questo genere vanno almeno citati i Nine Inch Nails e i tedeschi Rammstein.

Anni ’90 e 2000: eurodance e non solo.

Per la musica elettronica gli anni ’90 e 2000 rappresentano un periodo molto florido. Il prezzo delle apparecchiature elettroniche comincia a calare e così aumenta il numero di compositori che, in un certo modo, cambiano le regole della musica.

Fino ad ora abbiamo visto come la musica elettronica fosse un’aggiunta, un supporto per generi già esistenti o per la loro evoluzione. Adesso, con la diffusione dei computer e di relativi software per produrre suoni, era la musica elettronica ad iniziare a dettare le regole.

Tra la fine degli anni ’80 e gli ultimi anni dei ’90 spopola l’eurodance, le cui melodie sono costituite dall’uso dei riff e arpeggi del sintetizzatore a cui si unisce un cantato costituito da una voce principale femminile e da una secondaria maschile a cui, di solito, viene affidato il ritornello in strofe rap.  Con tutti questi elementi si capisce come l’eurodance fosse un genere destinato alle discoteche e indirizzato ad un pubblico di giovani, motivi che ne decretarono il successo commerciale grazie anche al passaggio radiofonico e televisivo e a festival estivi come quello che si tenne ad Ibiza nel 1994. Tra gli artisti più iconici si possono citare gli Aqua, Scatman John e Haddaway, divenuti famosi grazie solo a una o due canzoni iconiche.

La “rinascita” dell’eurodance si ebbe negli anni 2000 grazie ai Basic Elements, gli Eiffel 65 , O-Zone e persino Madonna, con quella che viene definita la “seconda generazione eurodance“. Ognuno di loro aveva ovviamente il proprio stile: ad esempio gli Eiffel 65, a loro volta esponenti della Italodance, si rifacevano molto al pop mentre gli svedesi Basic Elements arricchivano le sonorità eurodance con elementi rap e hip hop.

 

Gli anni ’90 videro poi il rock unirsi alle atmosfere della musica elettronica (e non più il contrario). Lo si vede soprattutto in Inghilterra con i Prodigy, la cui musica era un sodalizio tra elementi techno ed elementi punk. A tale proposito la band di Keith Flint, scomparso a marzo di quest’anno, viene considerata spesso una delle esponenti principali della techno hardcore.

Sempre tra gli anni ’90 e i 2000 la Francia risulta essere un territorio felice per le sperimentazioni sulla musica elettronica. I Daft Punk, duo formatosi a Parigi nel 1992, sembra riprendere l’idea di matrice kraftwerkiana della musica elettronica come futuristica e tecnologica. Nelle apparizioni pubbliche infatti i due musicisti appaiono vestiti da robot (con due enormi caschi sulla testa) e la loro musica, che viene indicata come French House, è una commistione di elementi provenienti dal funk, dalla techno e da molti altri generi che conferiscono uno stile molto eterogeneo. I Daft Punk raggiunsero la fama con gli album Homework del 1997 e soprattutto Discovery del 2001.

https://youtu.be/yca6UsllwYs

Nel 1999 esce invece Play, album di Richard Melville Hall che verrà conosciuto con lo pseudonimo di Moby. Anche qui ci troviamo davanti al caso di un artista molto eterogeneo, la cui formazione è costituita da elementi hip-hop, blues, funk, disco, ambient ed elettroniche. Tutto ciò porta Moby ad avere un enorme successo, dovuto al fatto che le sue canzoni vengono spesso usate in spot pubblicitari, promo televisivi, trailer cinematografici e in molti altri media.

Ciro Gianluigi Barbato

Fonte immagine copertina: https://pixabay.com/it/photos/tastiera-elettronica-tastiera-musica-1867120/

Per chi volesse approfondire la storia e gli artisti fondamentali della musica elettronica, consigliamo il blog Europa e cultura elettronica.

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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