L’arpista e compositrice italo-svizzera Kety Fusco si appresta a lanciare il suo nuovo e secondo album in studio, “BOHÈME”, in uscita domani, 19 settembre 2025. L’opera promette di essere un manifesto di anticonformismo e libertà artistica, ridefinendo il ruolo dell’arpa nel panorama musicale contemporaneo. Fusco, forte di una solida formazione classica, continua il suo percorso di sperimentazione radicale, trasformando lo strumento in una voce inedita e potente.
Da “Per Elisa” a “Für Therese”
Un elemento centrale del nuovo album è la rilettura del celebre brano di Beethoven “Per Elisa”, che Fusco ha scelto di rinominare “Für Therese”. Questa scelta si basa sulla teoria che il pezzo fosse originariamente dedicato all’allieva amata dal compositore, Therese Malfatti, e che il titolo sia frutto di un errore di trascrizione. Con questa operazione, Fusco non si limita a un omaggio, ma restituisce voce a una storia d’amore e fragilità rimasta nell’ombra, trasformando la melodia in un “grido elettronico” attraverso un’arpa distorta e potente.
“BOHÈME” è un viaggio sonoro che esplora territori inaspettati, come dimostrano le registrazioni subacquee dell’arpa e le manipolazioni sonore che caratterizzano l’intero album. Questa ricerca di nuovi linguaggi musicali è frutto di un percorso che ha portato Fusco ad abbandonare un’estetica che non le apparteneva più, per abbracciare l’urgenza e la libertà della sperimentazione.
La collaborazione con Iggy Pop
L’album vanta anche una collaborazione d’eccezione con la leggendaria icona del rock Iggy Pop nel brano “SHE”. L’incontro tra il suono etereo dell’arpa di Fusco e il timbro profondo e ruvido di Iggy Pop è nato dopo che l’artista americano aveva menzionato il lavoro di Fusco sulla BBC Radio, sottolineando come l’arpa sia uno strumento troppo spesso relegato a un ruolo secondario. “SHE” è una celebrazione di questo dialogo tra mondi apparentemente lontani, una “lettera d’amore” all’arpa stessa.
Con una carriera che l’ha vista calcare palchi prestigiosi come il Montreux Jazz Festival e collaborare con artisti di fama internazionale, Kety Fusco si conferma una delle voci più innovative della scena contemporanea. Il suo lavoro non si limita alla performance, ma si estende alla creazione di progetti come “Harp Chapter II”, con l’obiettivo di creare una “coscienza collettiva” tra arpiste e di rivoluzionare la percezione di questo strumento.
L’intervista a Kety Fusco
1. La scelta di rinominare “Per Elisa” in “Für Therese” contiene una rilettura importante del capolavoro di Beethoven, sia dal punto di vista musicale sia della lettura della storia dietro questo brano. Quando e perché hai deciso di lavorare su questo classico? Senti una certa “responsabilità” artistica nei confronti del tuo brano?
Ho scelto di lavorare su questo brano perché mi affascinava l’idea di ridare voce, dopo più di due secoli, al nome di Therese. È come se avessi voluto aiutare Beethoven a far conoscere la vera destinataria del pezzo, restituendo al brano la sua storia più autentica. Certo, sento una responsabilità: non è mai semplice toccare un classico così amato, ma proprio per questo ho scelto di affrontarlo con il mio linguaggio, non rimanendo fedele al sound originale. Ho immaginato questo pezzo come se, dopo duecento anni, fosse arrabbiato e avesse bisogno di urlare, e l’ho fatto con un’arpa distorta che rompe l’immagine fragile e “carina” di Per Elisa. La mia responsabilità è stata quella di non tradirne la forza nascosta, ma di darle nuova voce, nel presente.
2. Qual è la parte della teoria sul vero destinatario del brano di Beethoven che ti ha colpito di più tanto da intitolare la tua rivisitazione “Für Therese”?
Quello che mi ha colpito di più è stato scoprire che dietro un brano così famoso si nascondeva una dedica dimenticata. Il fatto che, per un errore di trascrizione, il nome di Therese sia stato cancellato dalla storia mi è sembrato quasi un’ingiustizia. Ho sentito il bisogno di restituirle la sua voce: chiamarlo “Für Therese” è stato come ridare vita a una storia d’amore, di ispirazione e di fragilità che era rimasta nell’ombra per due secoli.
3. Trasformare un capolavoro romantico in un grido elettronico sottolinea una forte tensione tra rigore classico e ribellione sonora, anche perché tu sei passata nella tua carriera da un percorso classico a un tipo di sperimentazione radicale. Cosa ti ha spinto a iniziare a riscrivere la tradizione?
Non vengo dall’underground in senso stretto: la mia formazione è stata classica, fatta di conservatori, orchestre e partiture. Ma per me la musica non ha confini. Quello che ho imparato nel classico oggi lo porto dentro spazi che hanno molto più a che fare con l’urgenza e la libertà dell’underground. In fondo condividiamo la stessa tensione: non accettare che la musica sia soltanto intrattenimento, ma viverla come un linguaggio vivo, capace di scuotere. Per anni mi sono sentita intrappolata in un’estetica che non mi apparteneva più. L’arpa, con tutta la sua immagine angelica, rischiava di diventare una gabbia. Così ho iniziato a distorcerla, a spingerla oltre i suoi limiti, fino a trasformarla in uno strumento che potesse urlare e vibrare come me. Riscrivere la tradizione, per me, significa proprio questo: attraversarla, contaminarla, darle nuova linfa.
4. Nel tuo ultimo album compare la collaborazione con il leggendario Iggy Pop, voce del brano “SHE”. Cosa ha significato per te poter avere la sua voce nel tuo brano e soprattutto che tipo di impressione hai avuto di Iggy Pop “persona” e non personaggio pubblico?
Iggy Pop l’ho sempre ascoltato fin da ragazzina, avevo i suoi vinili a casa e facevano parte del mio mondo musicale. Ritrovarmi oggi a intrecciare la sua voce con la mia arpa è stato per me uno sconfinamento: la conferma che strumenti come l’arpa possono dialogare con mondi che sembrano lontani, ma che in realtà condividono la stessa urgenza e autenticità. La sua voce in “SHE” era perfetta: ruvida, profonda, intima, capace di graffiare e avvolgere allo stesso tempo. Si è unita al mio suono senza bisogno di forzature, come se fosse sempre appartenuta a quella dimensione. Quanto alla persona, quello che mi ha colpito è che Iggy Pop è esattamente ciò che ho sempre percepito quando ero fan, prima ancora di parlarci: un artista fedele alla sua musica, al suo stile, che non si è mai tradito né “venduto”. Questa coerenza lo rende unico, e incontrarlo è stato per me un’esperienza che va oltre la collaborazione artistica.
5. Hai calcato palchi importanti e internazionali nella tua carriera, passando dai festival alla radio, al cinema. Quali sono però i progetti che trovi più stimolanti?
Per me non conta la dimensione, conta l’intensità. Che io sia su un palco come la Royal Albert Hall o che stia lavorando con il coro del mio paese, quello che mi stimola è il processo creativo, l’energia che si sprigiona quando riesco a costruire qualcosa di autentico. Amo i progetti in cui posso avere una visione completa, in cui posso intrecciare ricerca sonora, memoria e immagini. Anche trascrivere un brano può diventare stimolante, se mi permette di spingere l’arpa in una direzione che nessuno si aspetta. In fondo, quello che cerco è sempre lo stesso: un’intensità vera, che arriva e scuote.
6. Ci sono altre strade sperimentali che senti di voler percorrere? Cosa speri di suscitare nei tuoi ascoltatori proponendo questa tua lettura di libertà artistica?
Sto già lavorando al mio prossimo progetto sperimentale, Harp Chapter II. L’idea è di creare una sorta di coscienza collettiva, unire più arpiste e dimostrare che questo strumento può davvero stravolgere la propria storia, liberandosi dall’immagine che tutti si aspettano. Parallelamente continuo a esplorare la dimensione corale e quella più acustica e tradizionale, che per me restano fondamentali. Quello che spero di trasmettere è un senso di libertà: l’idea che l’arte non debba per forza rispettare un cliché, che si possa essere fragili, rumorosi, visionari, e che dentro la ribellione ci sia sempre una forma di bellezza.
Fonte immagine: ufficio stampa