Leon Seti: inno alla vista, inno all’evasione

Artista sempre di grande trasgressione e di inevitabile fascino metropolitano Leon Seti, penna dell’underground dai colori prettamente internazionali, che ha sempre contaminato la sua musica di quel quid digitale che qui trova in Pancratio una collaborazione foriera di ispirazione per quelle soluzioni mai scontate nonostante questi suoni che rimandano alle hit radiofoniche anni ’80 e ’90. Ecco dunque questo nuovo singolo, “Japan”, diffuso su tutti i consueti canali digitali, anche ricco di un video diretto da Thomas Rebour con la fotografia di Shaun Waldie: inno alla vista come atto sensoriale ma anche inno alla libertà d’espressione e di vita, di evasione verso luoghi che metaforicamente il nostro identifica appunto in Japan. Citazioni e preziose reminiscenze dentro un lavoro che come al solito si arricchisce di un potere visionario e di una introspezione emotiva d’autore molto raffinata.

Di Leon Seti conosciamo questa versatilità poco aderente ai cliché. Aspetti urban, metropolitani, oserei direi quasi berliniani pensando a certe estetiche visionarie degli anni ’80 e ’90. Oggi invece in questo nuovo singolo cerchi una strada più “pop”… un certo modo di aderire ad un gusto di massa?

La canzone è nata come pezzo pop spontaneamente, non cerco mai di forzare la direzione di un pezzo.

Ma in generale cosa pensi che convenga fare? Adeguarsi al linguaggio che la massa sa ben codificare o provare ad imporsi con il proprio dizionario artistico?

Dare agli altri quello che non sanno possa piacergli. Io faccio musica che piace a me, la massa segue il gusto che le proponi.

Oggi parliamo spesso di un monopolio che le grandi case discografiche esercitano sulle piccole realtà. In qualche modo questo non accade con l’editoria dei libri anche se… tu cosa ne pensi?

La scena indipendente cruda è completamente staccata da case che si dicono indie e poi sono pubblicate da Universal o Sony… qua non ci sono nè limiti di espressione ma neanche opportunità.

Siamo di fronte ad un nuovo blocco della vita quotidiana, soprattutto riferendoci alla cultura e ai suoi eventi. Pensi che i mezzi digitali siano comunque una piazza dove la cultura possa vivere? O siamo di fronte all’ennesima riprova di come il mondo digitale abbia ucciso il valore di ogni forma di espressione?

Il mondo digitale è solo un mezzo. ovviamente non ha ucciso niente, quando l’espressione perde valore su internet è colpa delle persone che non lo usano bene, non di internet. se le persone svalutano la musica non è colpa di internet, è colpa di chi ruba ascolti e streams perchè non vuole pagare 9.99 al mese.

Con “Japan” parli di evasione. Pensi sia una soluzione ottimale per l’individualità di ognuno di noi?

Assolutamente. io non ce la faccio a stare troppo da solo nella mia testa.

Paolo Tocco

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